Paolo Vincenti: A ogni giorno il suo affanno – Il fighetto (5)

Il fighetto

Spesseggiano in questo mondo di imbecillità, anche i signorini, i damerini, versione  anni duemila del “gagà” dei tempi passati.  Per loro l’abito fa il monaco. L’abito, ossia l’apparire, è tutto, forma e sostanza. Qualcuno li tiene per autorevoli, arbitri dell’eleganza. Se sono squattrinati, fanno i personal shopper, i dog sitter, i wedding planner, alla bisogna i gigolò, i puttani d’alto bordo. Se invece sono fuori dalle ambasce, provengono da famiglie facoltose, allora sono degli scioperati che dissipano il tempo. A loro le lancette degli orologi ricordano solo l’appuntamento dal parrucchiere o dall’estetista, oppure la gita in barca. Mantenuti, vivono a spese del papà o di mammà, oppure della milf che li ingaggia come toy boy, bambolotti erotici. Questi fatui, imbellettati Gastoni, li vedi sempre affaccendati, ogn’ora presi dalle loro donnesche occupazioni. Quando li cerchi, non li trovi mai, il loro telefonino è sempre occupato. Idolatrano tutto ciò che è apparenza, glamour, devoti del fashion, adepti del make up, epigoni del nulla. Il loro mondo è fatto di pin, puk, password, username, whatsup, tag, like, ashtag, situation, meeting, vision, file, attachment, fotoshop, tattoo, nail, sky, premium, personal coach, welneess, conversation,  emoticons. I loro motti di spirito sono banali, i loro discorsi, vaniloquio, fanfaluca.

Il damerino si cambia d’abito anche tre volte al giorno: la mattina per la colazione nel bar del centro, lo shopping e l’aperitivo rinforzato con i debosciati suoi accoliti, il pomeriggio per l’happy hour e l’incontro intimo con l’amante, la sera per l’ingresso nel tempio della lussuria e del divertimento, anzi del “divertentismo”, come recitano gli analfabeti deejay che infestano le radio locali.

Con i loro abiti firmati e le loro t shirt inamidate col colletto alzato, vanno a passeggio sul corso oppure stanno sul muretto del circolo della vela. A volte ci troviamo, nostro malgrado, in mezzo al vuoto chiacchiericcio di questi ominicchi. Allora li senti parlare della discoteca di tendenza, del lido più in di Gallipoli, della vacanza ad Ibiza, del deejay appena arrivato da New York, del concerto di Lady Gaga, e l’aggettivo che ricorre immancabilmente per descrivere qualsiasi cosa vada loro a genio è “figo”. La loro è pochezza, pruderie, cretineria.

Sempre fashionable, si recano al cocktail party ciarlottando fra di loro dei miracoli dell’ultima crema anti age oppure delle prestazioni del nuovo iphone. Spendono somme spropositate in trattamenti estetici e quando palestra, massaggi, saune, anti età, maschere, peeling, scrub, pressoterapia, drenaggi, bendaggi, cataplasmi, savonage, manicure, pedicure, Ayurveda, non bastano più, ricorrono alla chirurgia estetica per rifarsi naso, labbra, glutei, ecc. Nessun figurino fa a meno di un lifting ad una certa età. Loro lo chiamano restyling.  Entrano, con i pantaloni coi risvoltini e i mocassini lucidi senza calzette, nel bel mondo, che sembrava aspettarli a braccia aperte, e parlano con la erre moscia come i muscadins,  quei giovani francesi del Settecento che si vestivano in maniera alquanto ricercata e per snobismo parlavano in siffatto modo, tanto che venivano messi in burla. E proprio come i moscardini, questi molluschi, esponenti della odierna jeunesse dorée, finiscono spesso come cavalier serventi di autorità, grossi imprenditori, politici, ai quali dispensano i loro preziosi consigli estetici per tenerli lontani dalla minima volgarità o sciatteria e invece sempre al passo con qualsiasi tendenza. Si definiscono bon vivant, ma sono dei microcefali. E per bilanciare la scarsezza del loro cervello, posseggono cani di grossa taglia, con pedegree, che esibiscono portandoli a passeggio per le strade di città e in campagna. Quando questi omuncoli si incontrano con gli altri della propria risma, allora è una gara a chi la spara più grossa.

Una sottocategoria dei fighetti è dotata di un livello di istruzione medio, e costoro, per il fatto di aver letto appena un poco di più dell’etichetta delle camicie o del foglio di istruzioni dell’iphone, definiscono sé stessi “dandy” o “ flaneur”. Rido per non piangere. Questi perdigiorno non hanno proprio nulla della celebre categoria letteraria, descritta magistralmente da Louis Huart nel 1841 in “Fisiologia del Flaneur” (recentemente ripubblicato da Stampa Alternativa). Creduloni, superstiziosi, vezzosi, superficiali, smorfiosi, i profumati bellimbusti rappresentano l’involuzione della specie umana.


Una risposta a "Paolo Vincenti: A ogni giorno il suo affanno – Il fighetto (5)"

  1. Una parafrasi allegorica e comica che trasversalmente mi ha fatto sentire un sapore di epoche antiche immaginate dai libri o dai film e che poi ricade attualissima nell’oggi. Purtroppo in alcuni punti ho rivisto il quotidiano, superficiale di apparenza e scarno di contenuti e d’un tratto mi è balzato in mente come la storia faccia il suo corso segnando vie e apportando migliorie, inaugurando ponti e punti seppur a volte, quanto invero scrosci come acqua alla deriva che alla foce riversa senza trattenersi nulla.
    La lente di ingrandimento dello spirito critico sembra appannarsi in rapporto inversamente proporzionale ai secoli, purtroppo.

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