BYTE
Bevvi una gavetta a pieno raso di laudano, accesi l´Acer e una Camel, e allegai il curriculum con spunta prioritaria a una e-mail di potissima rilevanza. Al clik dell´invio il modem perí.
Il destinatario, un’azienda conciaria specializzata nella lavorazione di pelli di rettile, avrebbe dovuto ricevere la mia ambasciata, per termini di scadenza contrattuali, entro e non oltre le 13 di quel giorno stesso.
I sagaci strizzacervelli dell´human resources, selezionavano dei mezzi legionari disposti a emigrare in qualche giungla del pianeta per affidar loro l´incarico di trucidare anaconde assassine, pitoni reali da un quintale, boa costrictor, bestie da karung, draghi di Komodo, cobra dagli occhiali ma anche senza, serpentelli corallo, vedove nere, formichieri killer, alligatori mangiateste, mamba africani, rane dei tre passi, vipere del tricorno, iguane fosforescenti, caimani albini, coccodrilli nilotici e quant’altro di schifosamente strisciante si fosse mai stanziato in quelle atterrenti latitudini terrestri.
Il management aziendale, una volta ricevuto sui banconi lignei le fiere, le avrebbe scuoiate e trasformate in faraonici stivaletti e borsette per quei simpatici ed estroversi proctonauti di Dolce & Gabbana.
Il baluginio di quell’offerta rappresentava, oltre a un mensile di 750 euri all-inclusive, anche un´arguta scappatoia da banche usuraie, burocrazie logoranti, yin furibonde e quant’altro di demolente possa capitare nella vita di un qualsivoglia incolpevole essere umano come il sottoscritto.
Impartendo una liberatoria manata alla Bud Spencer sulla capoccia del modem, in tal guisa tentai invano di rinsavirlo. Infatti, alle 13.01 dovetti rassegnarmi al blocco totale. Dapprima snocciolai una cornucopia di turpiloqui ma, alla fine, riflettendoci accigliato, evinsi che quella mansione sarebbe stata meglio congeniale a un invitto “crocodile dundee”. Tout court non era ció che intendevo adempiere al fine di guadagnarmi i maccheroni quotidiani conditi con la Mutti.
A ogni modo non potevo assolutamente privarmi della connessione poiché, ludopata come Bobby De Niro, ero aduso giocare a poker on line da mane a sera.
Accompagnai la bocca al citofono del villone di Carletto, mio deus ex machina informatico, al quale rivolsi la supplica di raggiungermi prima di subito, presso il mio camper, al fine di rianimarmi la rete contusa.
Cru…cru…cru…cru…e giá, era l´onomatopea del ribollio bruciacchiato della moka a due tazze che scordai sul fornello monofiamma. Pertanto adieu a quei grammi di caffeina che avrei condiviso da lí a poco con Carletto.
Dopo qualche minuto si presentó a cospetto del mio Wolkswagen da hippy itinerante, il quale radicai abusivamente in una viuzza periferica del paese.
Lesto come una mangusta, coprii con un panno bagnato il busto in creta di Carletto in posa mussoliniana, che m´avea commissionato grazie a un insperato atto pietista che volse a favore del mio sottile taccuino.
Una volta terminato il pretenzioso modellato, sarebbe stato pantografato e successivamente fuso in argento puro, rispettando, come da sua volontá, la macrodimensione della statua di Stalin, ovviamente prima del suo trafugamento e conseguente distruzione per mano della Stasi “orecchiona”. Il monumento di cinque metri d´altezza per sei tonnellate d´argento, lo avrebbe surrettiziamente fatto erigere su la The Hollywood Walk of Fame di Los Angeles.
Giunse a bordo della sua Bentley Flying Spur, la quale carrozzeria brillava di una verniciatura policromatica a spray fluorescente che gli scarabocchió Bansky al ridicolo prezzo di 3 milioni di dollari. La vettura da Padrino, era stata affidata ai guanti bianchi del suo autista fac totum: nonno Ambrogio.
Omonimo dello spottizzato maggiordomo dell´altrui languorino, l´autista parentale, veniva inoltre sfruttato dal nipote, in qualitá di sherpa, durante i suoi plutomani shopping compulsivi. Carletto vi caricava, sulla settuagenaria soma ingobbita, quintalate di confezioni regalo; una volta persino una moto Honda 1000 cc.
A ogni modo, nonostante l´ampio gap generazionale, si confrontavano con profonde interazioni. Carletto gli confidava con dovizia di particolari le problematiche legate al suo spensierato tempo delle mele e, Ambrogio, con esposizioni infinitamente meno particolareggiate, quelle legate al suo tempo delle mele cotte.
Saltellando con passo cadenzato e fischiettando a vanvera, entró tronfio nella mia bicocca viaggiante. Marcando sulla voce cavernicola d´eco Leonard Cohen, per il suo intervento di riparazione mi chiese 100 euri sull´unghia, probabilmente includendo la sovratariffa per la trasferta.
Gli bastó guardare minaccioso il modem, e l´apparecchio tornó pimpante col proprio rassicurante brillio di led colorati.
Carletto era l’Houdini dei byte e, per inciso, un temutissimo hacker coi lineamenti facciali da adulto. Era orfano per metá. Il padre, un nullafacente nullatenente, appena scorse il visino del figlio fuoriuscire dall´utero dell´amatissima coniuge con le sembianze senescenti di Benjamin Button, fuggí immediatamente chissá dove a gambe levate. Morale, fu allevato ed educato dalla madre, fino alla fantastica meta del diploma di terza media inferiore. Poco male per la genitrice, la quale giá intuí sin dalla culla, le straordinarie peculiaritá del figlio votate alle tecnologie informatiche avanzate.
Carletto, oltre a percepire polpose mazzette di centoni dalle centinaia di tipi informaticamente imbranati come il sottoscritto, avea incrementato la montagna di denaro per mezzo di un´azione vagamente concussiva, determinata allo stringere per lo scroto, taluni fra i piú illustri e maneggioni industriali, dittatori, politici, attori, presidenti e prelati della terra con siffatta compromessa reputazione.
Il silenzio secretato di Carletto per gli incarichi di spionaggio industriale e per la creazione di mirabolanti fake news che codesti impudenti manigoldi gli commissionavano a ciclo continuo, costavano loro cifre a sei zeri.
Dato il conferimento auratico attribuitogli dall´universo virtuale e reale, fu contattato persino dal capo della sede centrale della CIA di Quantico il quale, giá al corrente delle sue reboanti violazioni assangiane, gli avea proposto di assumere la cattedra ad honorem in Hackeraggio. Lui declinó la proposta snobbando l´iniquo contratto annuale di 500.000 bills offertogli dal super sbirro. D´altronde, “the big guy”, era diventato un nerd multimilionario ancor piú del plagiatore harwardiano di Palo Alto, come giá sappiamo, curatore del narcisismo identitario di un miliardo di pecorelle smarrite.
Se n´era sempre bellamente sbattuto le palle dei bambini che fanno oh, lui voleva solamente guadagnare e sperperare una montagna di denaro al fine di possedere i piú disparati beni mobili e immobili esclusivamente di foggia luxury.
Appena newbie, in terza elementare, avea giá progettato un portale d´informazione sui piú accreditati bordelli internazionali presenti e operativi: PussyJump.com, fu il nome col quale battezzó la sua ditta individuale d´indefettibile consultazione. Un hub che si riveló di monolitico riferimento, lá dove vi convogliavano le curiositá morbose e i portafogli pasciuti dei maggiori puttanieri recidivi del pianeta.
Persino il Tay Mahal Casino di Trump di Atlantic City, ebbe stabilmente affisso il proprio advertising sul portale di Carletto, esborsando, senza mai batter ciglio, una milionata di dollari al dí.
Essendo un ragazzino gift, praticamente una materia grigia da 180 QI, piuttosto che giocare con soldatini di piombo, gru col meccano, trenini elettrici o bolidi Polystil- puttanate da santa Lucia che stigmatizzava assiomatiche all´infanzia viziata e perdigiorno- Carletto preferí svilupparsi con l´esplosione delle nuove istanze comunicazionali internettiane, tant´è, che appena decenne, giá fortemente appassionato al suo genere speculare, era divenuto nel giro dello speed-date virtuale trombaiolo, uno stimatissimo chatteur. S´era iscritto a ogni chat dell’emisfero e, via via in progressione temporale, era divenuto celebre come, se non di piú, di papa Francesco.
Con i suoi quattordici anni da novello mandrillo, logicamente le pulsioni ficaiole iniziavano a bussare pervicacemente dentro le frenate dei suoi Tommy Hilfiger in cotone. S´era pertanto creato un avatar con un aspetto fisico ringiovanito da ganzo diciottenne, e immerso nella ricerca capillare di teen ager graziose e sessualmente ricettive, deperibilmente reperibili in ogni social network sprizzante olire di passera ”mordi e fuggi”.
Essendo un mago di chiara fama, avea elaborato, scraccando un programma di fisiognomica in licenza d’uso esclusivo alla CIA, un corpo cresciuto a muscoli dopati al Plasmon, ingentilito da un volto angelico da putto del ‘600. Infine, avea copincollato la foto di un membro elefantiaco da un sito porno di dubbio gusto, sovrapponendolo alla patta del corpo della propria invenzione grafica. Dopo 48 ore di sedute intensive di chat, Carletto era riuscito a radunare sotto le volte Art Decó della stazione centrale di Milano, un assembramento adulatorio di cento squinzie d´incommensurabile bellezza. Indubbiamente anche questa ciclopica impresa di seduzione virtuale ad alta diffusione virale, contribuí risolutamente a corroborare l´immagine del suo mito internazionale. D´altro canto, egli venerava la (|) parimenti un cazzone dell´Isis venera Allah.
Carletto, pago d´avermi risorto internet nonché d´aver incassato il centone lasciando la fronte scevra di sudore, constatò che stavo bighellonando per il camper fingendo di far qualcosa, ovvero una beata minchia. Ergo mi propose di far compagnia alla sua frenetica agenda, fitta di impegni di businnes & divertssiment.
Sospettosamente imputabile allo sforzo paranormale che esercitó per la riparazione del modem, gli era venuta una terribile fame chimica che nemmeno un negretto drogato di una bidonville di Johannesburg avrebbe mai accusato.
Salimmo sulla sua regia Bentley, diede una pacca patrizia sulla spalla di nonno Ambrogio, ordinandogli perentoriamente di recarsi all´aeroporto di Verona.
Arrivati sulla pista di decollo, Ambrogio impartí il dietro front all´ammiraglia, e noi ci imbarcammo sull´imperiale Dassault Falcon 900 che acquistó da David Letterman per una manciata di 50 milioni di dollari. Dopo un volo di dieci minuti scarsi, atterrammo freschi come rose alla Malpensa.
Con una fenomenica azione poltergeist, intercettó e fermó un uber, sul quale mi portó da Cracco a degustare la sua celeberrima chicca culinaria, ovvero il chiaccherato ovetto in camicia da ´na piotta. Lui se ne pappó dieci, mentre io, ancora stordito a cagione del jet lag, allungai di sottecchi la mia proteina scamiciata a un bengala che miagolava sui mocassini in vernice degli scoglionati avventori. L´enfant prodige, sazio e felice come una pasqua, pagó a cash l´ammontare delle undici ova e del bottiglione di Sassicaia, dopodiché staccó un cheque da 100.000 dollari per la mancia al cameriere il quale, come mestamente subodoravo, letta la sia pur ragionevole cifra, s´accasció a terra probabilmente defunto.
Fuori dalla bettola dell´epica Milano da mangiare, Carletto stoppó un tiratore indiano di risciò. Salimmo in carrozza, impartí un colpo secco di frustino sulle reni del locomotore umano, e ci dirigemmo verso la cazzo di Galleria Vittorio Emanuele.
In una merceria extra luxe, Carletto acquistó un paio di bretelle griffate da picciotto che avrebbe consegnato il giorno successivo a nonno Ambrogio per il suo settantaduesimo compleanno. Detto fatto, risalí in carrozza, e ficcó nell´ugula del portatore fattosi affannato, una bustina ricostituente di ottima mescalina mexicana. Poi aprí il cestino della merenda incistato di un pancarré con la Nutella, un succo di frutta alla pera e una banana Chiquita; nella fattispecie la merenda al sacco che gli avea amorevolmente confezionato la mamma al mattino. Veloci e felici, fummo giá alla Malpensa a cavallo delle turbine in fase di rullaggio.
Raggiunta quota diecimila, lo squolafobico Carletto mi chiese di aiutarlo a strutturare un tema d´itagliano che gli avea affidato come compito la sua insegnante privata di Lettere.
Probabilmente a cagione della manina che stava frugando nelle mutandine della sua stratosferica hostess stante incurvata col Moccio Vileda sul corridoio del passaggio, notai Carletto per niente concentrato. Guardava fuori dall´obló, tuttavia, contrariamente al cantore italico, senza annoiarsi un po´.
Era rapito dalla suggestiva visione della distesa dei campi di grano che via via slittavano lenti sotto gli 800 chilometri orari della carlinga.
Mi confidó, coi lucciconi agl´occhi, che quegli irregolari poligoni ocra di spighe, gli ricordavano terribilmente il suo primo ditalino che, novenne, favorí la topallegra della zia catechista Adelina. Sotto l´idilliaca scenografia di un tappeto di stelle, stavano dissimulati all´interno di una stalla, inserita nel latifondo della sciamannata sorella monozigote di sua madre.
Carletto mai piú scordò quel buio ove tanto lucean le stelle e soprattutto la stalla, infatti, l´anno seguente, per un miliardo di dollari acquistó dalla Nasa la Stella Polare, regalandola con regolare certificato di autenticità all´ iniziatica contadinella incestuosa.
Carletto, tutt´a un tratto, evocó mnemonicamente il “Campo di grano” a olio di Van Gogh, cui vide il giorno antecedente sfogliando il libro di Educazione Visiva. Stravaccato sulla poltrona massaggiatrice in pelle d´elefante, afferró senza indugi il satellitare, e chiamó il direttore del Van Gogh Museum di Amsterdam al quale, per il mitologico dipinto, gli offrí 150 milioni di euri; addirittura 60 milioni in piú del velopietosico coniglietto in acciaio, presumibilmente scolpito nel corso di un party allucinogeno, dall´ex coniuge americano della maialina in pensione, Cicciolina.
Dinanzi la profferta di quella cifra gargantuesca, i cittadini del paese dei tulipani, in comune accordo col direttore, gli tirarono dietro Vincent giá avvolto a dovere in un paro di metri di nylon a bolle.
Carletto, emotivamente in estasi per l´evasione del capriccio, mi disse che lo avrebbe liberato dalla pesante cornice barocca e successivamente appeso, facente veci di poster, nella Las Vegas della sua eldorado. Lo avrebbe affisso con del biadesivo in mezzo ai poster delle tette di Miley Cirus e di quello raffigurante la villa giostrara di Michael Jackson, immagini giá fruibili tra il paglione elettronico delle freccette e il flipper digitale parlante.
Strilló educatamente ai suoi due comandanti -assorti nella delicata fase d´atterraggio all´aeroporto di Giulietta e Romeo- di effettuare un touch & go e di impostare la rotta per la grassa Bologna. In un tempuscolo atterrammo rilassati al Guglielmo Marconi.
Scendemmo dalla scaletta, e salimmo cuffiati sopra un secondo velivolo di Carletto: l´elicottero Apache verniciato in oro brillante, verosimigliante alla tinta di quello di El Chapo.
A 100 metri di quota, volammo in loop sopra una scuderia di cavalli da corsa locata in mezzo alla soave campagna romagnola. Apparteneva a un conte hongkongolese bilionario trafficante nel business dei virus di ultima generazione.
Carletto, che in una settimana apprese perfettamente dodici lingue su Babel incluso il mandarino scritto e parlato, telefonó al magnate genocida a mandorla, esaltato dalle melodie stupratimpani delle Spice Girls, sparate dai mille watt delle Bose installate in cabina.
Approfittai del suo entusiasmo mettendogli sotto il naso i conti inevasi del tagliando del camper e di qualche rata dell´Equitalia. Purtroppo fece orecchi da mercante. Mi disse che l´indomani avrebbe dovuto rilevare l´intero parco auto del sultano del Brunei, e che pertanto presagiva il rischio di un tracollo finanziario. Adirato, gli assestai un secco ceffone di dorso sul guancino. Mi ringraziò in lacrime per il gesto educativo paterno, e si addormentó sereno con lo stampo scarlatto della mano impresso sul volto.
Il suo smodato amore per i cavalli, si allacciava alle cicliche riesumazioni del ricordo del carousel sopra il quale, ogni domenica pomeriggio assieme a mamma, girava ininterrottamente in circolo cantando a squarciagola l´hit di Pippicalzelunghe, interscambiando esagitatamente la monta dei cavallini di plastica, imbullonati sul piatto rotante della giostrina.
Propose all´uomo giallo di barattare la sua scuderia con una sorta di Concordia spaziale. Un´affidabile nave volante, che poté costruire grazie all´inculaggio del segreto industriale del progetto dal blindatissimo server del suo collega visionario Elon Musk. Affare fatto! Il giallo giá si immaginava cazzeggiare sull´ipossia delle metafisiche montagnole rossastre di Marte. Atterrammo sull´H, anch´essa gialla, dell´area equina.
Il futuro marziano, che speculativamente era incline sussurrare ai cavalli dentro un tondo recintato, di botto abbandonò il lazo al collo a un Furia purosangue inglese, e ci venne incontro. Prese la rincorsa e, sorridente, saltó alla fosbury la staccionata del recinto con la medesima leggerezza e fair play di Nino Castelnuovo nel remoto spot dell´olio Cuore.
Lanciatogli dal suo maniscalco, prese al volo il boccione di Dom Perignon, finalizzato al brindisi per l´avvenuta transazione. Vabbé, li lasciai festeggiare la loro permuta per i cazzi loro. Non avendo ancora digerito l´albume stellato che donai al launch al gatto maculato, dovetti imboscarmi per mezz´ora nel bugliolo della blasonata scuderia.
Fra un assaggio di sfilacci di cavallo e qualche goto di bollicine, a Carletto giunse un advise sullo schermo dell´ultimissimo iPhone 15 Mega Plus Titan B 312/01 in platino e diamanti neri. Si trattava di un allarme, segnalatore di una sgradita intrusione di umanoidi nel villone.
Le videocamere stavano filmando due accattoni che stavano spolpando una forma di rinomato Pata Negra all´interno della sua emula Las Vegas. Stavano inoltre animosamente disputando una partitella di Goriziana sullo strabiliante biliardo d´antiquariato appartenuto a Re Sole. Lo storico panno verde, glielo dovette domiciliare a Carletto l´Eliseo, come forma di pagamento per la risoluzione di uno scandalo flamboyant di natura sessuale che implicava ad personam, le cosce scalpitanti e cornaiole della premiére dame.
Le testate giornalistiche internazionali, erano giá in procinto di pubblicare lo sputtanamento globale. Il presidente cervino francese, convocò a corte Carletto e gli espose il delicatissimo intoppo. L´hacker riuscì a fottere dai computer del Quarto Potere ogni foto immortalante gli atti copulatori bondage della dama, assieme a un corollario di news indiziarie piú che attendibili, in tal modo occultando brillantemente alla vista dei popoli pettegolai, il piccante impasse presidenziale.
Carletto digitò una complicatissma combinazione alfanumerica sul cellulare, preposta a rilasciare dei getti nazisti di gas nervino nel saloon ricreativo.
Dopo alcuni secondi i malfattori perirono cianotici in piedi, con la bocca traboccante di prosciutto crudo e coi toraci ripiegati sui birilli del filotto.
Carletto contattó immediatamente i suoi addetti al “lavoro sporco”, sollecitandoli di deambulare spediti presso la sua signorile dimora per raccattare l´ambo di gasati e gettarli nel gabbiotto della sua coppia di grizzly del Montana, questa avvitata sopra una tensostruttura ad arco, abbracciante la larghezza della piscina olimpionica collocata nel parco della Neverland padana, progettata dal tecnigrafo del senatore a vita Piano Renzo, le quali sbarre, il giovin genio, pagó due occhi della testa.
Sculatamente per Carletto, la gravità di quel disguido gli venne ammansita dalla sorprendente ricezione del selfie di un tanga azzurrino indossato dalla ventunenne Sazyamai. Una tipina comunicativa cui Carletto conobbe in mezzo clik su Tinder, agli orinatoi ambrogini dell´egregio scolapastaio.
Si palesava come una ragazza di facili costumi e dalle intenzioni deliberatamente libertine. Preso atto di cotanta intraprendenza, Carletto, in tre mosse che manco un campione russo, le avea inflitto scacco matto grazie all´invio del geniale arrocco, portato a segno con la mossa di torreggiante Nerchia e regia Bentley.
Ella giá si configurava spennellata di coccoina e incollata in vestito nuziale e otto damigelle a strascico, sulla prima pagina dell´album in cuoio decorato con melensi motivi floreali incisi a pirografo. Tuttavia, una volta riaffermata l´immane potenza del proprio grado seduttivo, egli la bannó impietosamente dai contatti.
Fra un´inane puttanata e l´altra, scoccó il tramonto.
Bisbigliai a Carletto che m´echeggiava l´urgenza di rientrare alla mia traveling home poiché dovevo assolutamente abbeverare i peperoni neonati del mio orto, situato in circa tre metri quadrati di giardino pubblico, non ancora provinato dalle incontenibili merde dei copiosi quadrupedi meticci.
Carletto, in prima istanza guardó l´orario sul Patek Philippe Nautilus da trecentomila euri, per mezzo del quale il tycoon evangelista Edir Macedo saldó il servizio per un´incriccata storia di coca & puttane la quale, Carletto, riuscí a oscurare dalla stigma dell´opinione pubblica; poi orientó i fari nocciola sul Richard Mille McClaren da un milione di dollari che, grazie all´intervento di una seduta di fino hackeraggio, si guadagnó dal colonialista dell´universo George Soros a saldo delle sue ascondibili prestazioni professionali, finalizzate alla copertura degli svariati genocidi commessi dal demente miliardario. Entrambi i Swiss Made, Carletto li portava discretamente uno per polso a mó d´Avvocato, sopra i polsini del chiodo in pelle di armadillo amazzonico.
Attestata l´ora vespertina corrispondente sulle ambedue lussuose meridiane, assecondó il mio desiderio di far fagotto di gran carriera.
Bació la terra della sua scuderia da corsa, salimmo sull´elicottero, poi a Bologna sul Jet, e in otto minuti arrivammo al Valerio Catullo.
Ambrogio era giá sull´attenti in livrea e bell´e pronto a caricarci sulla nuova Rolls Royce Mansory di Carletto, dato che la Bentley, oramai con 3000 chilometri sul tachimetro, la dirottó ad assumere la funzione di pollaio nel campo della scapestrata zia Adelina.
Mi scaricarono davanti al Wolks, li invitai all´interno per un caffé, ma Carletto mi rammentó la guarnizione della moka bruciata in mattinata.
Disanelló dal portachiavi un pen drive contenente tutte le cinquanta edizioni del calendario Pirelli, assieme alle dettagliate monografie di ogni singola modella e attrice, stampate ignude sugli erotici Frate Indovino. Mi ficcó la cazzo di pennetta nella tasca dei calzoni alla turca e, appoggiandosi l´indice sulla bocca, mimó il gesto del silenzio. Poi finalmente se ne andó fuori dai coglioni, saltellando e fischiettando fastidiosamente come sua consuetudine.
La settimana seguente, da una soffiata giuntami dal sottobosco mariolo, seppi che Carletto era stato rapito da un mio lontano parente proprietario di un cimitero d´auto, comunque anch´egli affezionatissimo cliente di Carletto.
Per la sua liberazione, debbo riconoscermi il merito di quanto mi attivai fattivamente con complesse trattative di negoziazione.
Il gaglioffo lo tenne segregato e panacquato dentro la carcassa di una Fiat Topolino per un anno intiero, tuttavia graziandolo con l´utilizzo della Play Station 18 Slimline 6 TB-03 Turbo.
Lo scarceró solo quando gli assicurai che Carletto, gli avrebbe riparato gratuitamente i reiterati impalli del suo computer antesignano, fino al gaio giorno del suo trapasso. E cosí avvenne. In tal modo evitai alla sua nutrice il disgusto della riscossione di un´anonima busta postale, contenente le orecchie recise del suo pargolo.
Carletto, a un quarto d´ora dalla sua liberazione, motivatamente vendicativo, assoldó nel Mariana un killer che pagó con una caterva di bitcoin il quale, il giorno dopo, sezionó le agitate membra del rapitore, avvalendosi di una sega a nastro da boscaiolo.
Obiettivamente, Carletto mi fu sempre grato per come condussi quella leggiadra operazione di Intelligence. Rammento che si sdebitó regalandomi una Bialetti Cafe Express in alluminio da 24 tazze, in disuso da anni nella cucina di mamma.
Giorgio Brunelli
Nato a Verona nel 1962, mi formo in Scultura all´Accademia di Belle Arti nella stessa città. Artista situazionista, mi occupo di scultura, digital art e grafica industriale. In merito lo scrivere, la mia penna vola notturna, saldamente sorretta da un´insonne passione antispeculativa. Dal 2012 vivo in Brasile fra macumbe, anaconde e, talora, saltuarie gioie minimali.
Cover: Favela 458 (Giorgio Brunelli 2014)
Il ritorno come story-teller su neobar del mitico Giorgio Brunelli. Ovvero tutta colpa (merito) di un modem, di una mail che non vuole partire, per un loop sedentariolabirintico a velocità di trasmissione del byte. Di terreno rimangono i ricordi dell’infanzia: dalla stalla alle stelle con la zia catechista. Perché dopo, dai quattordici anni – l’età media degli hacker – in poi, il mondo e gli esseri umani si fanno virtuali. Ricollegandomi al racconto del malos qui sotto, “La siepe”, anche qui ci si chiede come andrà a finire. Se lì l’ascensore ci annulla nel Niente, qui ritorniamo, da iperbole a iperbole (onda su onda), “tranquillamente” a capo. Tutto sembra normale come una “Bialetti Cafe Express in alluminio da 24 tazze”. Morale: non si può mai sapere cosa veramente si nasconde dietro a un regalo disusato di mammà. Thanks!
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Ab, grazie di nuovo per quest´altro inserimento, infiorato dalla tua laconica visione fulcrata sulla drammaticitá parodica che emerge dal racconto. Tuttavia, che il lettore mai si scordi, passeggiando queste righe, dell´escursione ricreativa in una plaga scrittoria amaramente adultescente. Ma é certo, come bene interroghi in chiusa, che dietro al regalo riciclato di mammá, frigge la solita lotta, giá persa in partenza, contro la moltitudine di dati sociali discriminanti.
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E’ sempre un piacere leggere le cose di Giorgio Brunelli, con quel loro linguaggio vegetale che prolifera come una jungla sui ruderi di una città abbandonata, e quei personaggi e le loro peripezie che sembrano usciti da un romanzo greco dell’ellenismo, tipo Luciano di Samosata o Apuleio, personaggi estremi, forse tipici dei periodi storici di decadenza.
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