OMAGGIO A BRUNO CONTE di Plinio Perilli

OMAGGIO A BRUNO CONTE

Artista poliedrico e pluriverso, scrittore anche, di poesie caustiche e dolcemente ironiche, stoiche narrazioni, racconti altri. Romano cittadino del Mondo, classe ’39, ha cominciato ragazzo ad essere artista, artista e uomo insieme – indissolubilmente. Dopo una lunga malattia con cui ha combattuto e convissuto, gli ultimi anni, come si dialoga con un ospite scomodo ma egualmente arcano, se n’è andato con la sua solita eleganza, pacatezza, saggezza geometrica e avvolgente. Si apriva, si apre forse davvero una sua ultima mostra: no, non alla Galleria d’Arte Moderna, dove l’abbiamo ammirato anche ultimamente, ma nei locali ariosi e immensi dell’Iperuranio.
Lassù, oltre le nuvole che da artifex loico ha trasformato anche in silhouettes, sagome di legno, biunivoche profilature concrete e astratte, materiche e concettuali egualmente rispecchianti, avrà certo portato – trasmutati in echi – i suoi ultimi “Racconti altri”, che gli curai per l’editrice Empirìa (Roma, 2019), e facemmo in tempo a presentare con Marisa Di Iorio a via Baccina, ancora nei mesi prima della pandemìa, quando l’angolanimo del “lockdown” poteva sembrare solo uno dei suoi ultimi, metafisici racconti, drammatici e affettuosi d’irrealtà, di affollata solitudine contemporanea. Omaggio a un artista vero, giudizioso e goloso di Realtà. E un ricordo, un compianto per l’Amico vero, umile e maiuscolo: come lui era, e certo può e deve essere chi ama da uomo e artista, lo cito – la “Favola dell’opera unica” che per ciascuno e tutti è la Vita. Plinio Perilli

VERSO L’INVERSO

Conta che il racconto

non la conti giusta…

O finalmente gliela canti!

 

a Bruno Conte, scrittore-artista

che dipinge storie e installa parole

 

Conta che il racconto non la conti giusta… nelle storie (ine)narrabili di Bruno Conte (percorribili, cioè e per fortuna, soprattutto VERSO L’INVERSO – non solo col mero piglio o il metodo tradizionale)… Anzi, che finalmente gliela canti! (A chi? Ma all'”ipocrita lettore – mio simile – fratello”, s’arrovellava e dolcemente motteggiava Baudelaire)…

  “… È diversa questa profondità. Non è né esteriore né interiore. Dell’astratta consistenza dell’ipotesi del nulla. Una terna ombra che suggerisce la negata consistenza in un univoco tonfo muto.

   Da queste depressioni, divenute così pressanti, si vuole fare emergere, lateralmente, delle sagome di apprensione che divengano di conforto, delle sagome di nuova invenzione. …”

È lo stile che cambia l’opera, o viceversa? Sempre questo il busillis, specie per uno scrittore-artista che oramai, ma del resto da sempre, dipinge storie e incornicia, installa le parole dentro minime o grandi scenografie da meccano sintattico, abile ed arduo “lego” lessicale…

Arduo infatti e ammirevole come nello spazio felicemente esiguo dei suoi racconti “brevi”, Conte riesca sempre a condensare – distillare, ergo risolvere – gran parte dei problemi, dei viluppi conoscitivi, teorici, perfino etici, sempre e comunque (contro)estetici che il Moderno si pone e di cui si nutre, intanto come categoria della Storia, spirito del tempo: e poi come sentimento, epochè ricettiva e senziente.

  “… Voci. Semplici voci di bambini hanno gli oggetti, atttraverso la luce istantanea di un eterno mattino. Dicono di un ingombro oscuro, del pieno di una curva, di uno stringendo gelido. …”    

Quieti, loici, serafici almeno quanto taglienti, affilati e arguti, scettici e parodici, risentiti o effusi d’imponderabile, questi 41 teoremi dell’Indicibile, portano molta acqua al mulino della Scrittura come esimio, ponderato e impavido esercizio dell’intelletto (lascito insieme della filosofia antica – delle operette morali – ma anche della verve illuministica: un riscritto, fluidificato insomma e compendiato dizionario filosofico neovolterriano)…

 “… Nella stanza ogni cosa fa parte di ogni cosa. Questa è la verità. Un assente che non l’ha mai vista potrebbe percepirne il continuo sibilo. …”

Già un paio d’anni fa, con le sue calibrate prose, suggestioni sliricate di Angolànimi (Mimesis, Milano-Udine, 2016), Bruno ci aveva deliziato e temprato d’Apocalissi sintattica, di un inesorabile, iridescente ma fragrante, goloso day after lessicale…

 Dalla polvere del silenzio

   si modella il segno esclamativo

   segno di essere

   seppure altero

   come altro

   assentendo svettante

   grigio assente

Scritto collegato a un disegno, come recente, episodica ripresa del testo-immagine, sperimentato tra il 1959 e il 1962, in solitaria e in parallelo alle pitture…

Se Italo Calvino scriveva già negli anni ’50 del “Mare dell’Oggettività”, e poi negli “80” presentiva, indagava e forse denunciava (o invocava) l'”Opaco”… qui il Nostro arguisce, discetta all’interno di un dismesso, ma anche ipertrofico, oramai, Lago della Soggettività… E comunque si fa vedetta di un illimpidimento spasmodico, ed egualmente emotivo, in nome del trasparente, della Trasparenza emotiva… Che assurge infatti, ancor più che a categoria di pensiero, a modus stesso di comportamento… Dilatato d’imponderabile…

 I pensieri

   rimasti in sospeso

   da soli nella stanza

   posano sulle cose

   ecco una conchiglia bottiglia

   “una volta qui c’era il mare”

In principio fu l’École du Regard… La Sarraute, Robbe-Grillet, Butor…

Poi fummo tutti promossi ai corsi serali dell’Oulipo (tenuti da Queneau, Perec, lo stesso Calvino & Soci)… Parigi era diventata la capitale dei teoremi e delle barzellette, di tutti i giochi più caparbi e adorabili dell’Avanguardia “potenziale” e potenziata: Zazie dans le métro prima guardava, poi forse rompeva le vetrine in cui in fondo l’aspettavano dei bei regali da rubare (un Pierrot amico mio, la Piccola cosmogonia portatile, Il cane col mandolino)… Il Visconte dimezzato e Il Barone rampante erano via via diventate oramai solo maschere da carnevale… Del resto, il nostro Alberto Moravia, l’esimio romanziere de Gli indifferenti, dopo una stagione di sincera Noia ispirata, e un’altra terapeutica di doverosa Attenzione, oramai dialogava solo come Io e Lui. Sì, l’Ego e il suo pene: ridicole e assolute vicissitudini, certo…

Anni briosi – ma anche “Anni di Piombo”… Terrorismo e zombie… P38 e rock demenziale… Il saggio di Maria Corti sugli Skiantos, pubblicato sulla rivista “Alfabeta”, irriverente e à la page: come tutta o quasi la letteratura nuova, ex-novissima di allora…

Ricordiamo l’entusiasmo inestinguibile di Umberto Eco, la pazienza rapita e affabulata di Malerba, la poesia combinatoria dei vari Balestrini, Porta, Giuliani… Pagliarani romanziere in versi… E per Queneau – convochiamolo ancora – i reboanti o affilati Esercizi di stile, come per Calvino tante astruse, astrali Cosmicomiche

Anni in cui Bruno Conte artista (Roma, 1939), ardiva l’Entrocontro, (1974); ordiva lo Stridentro (1977); ardeva i Nostanti (1990); fino al Tra oltre (2009)… Eppure, anche lui veniva da lontano, da una libera ma accanita militanza di vera, e mai recitata avanguardia:

   ” Nell’uomo del futuro, ormai passato, non più la velocità meccanica ma la velocità ambigua, del lontano già qui, che possiede o non possiede le cose. I messaggi arrivano in sé. È la volontà che li fa sentire, apparire. Se ancora di volontà si può parlare, dato che le scelte impregnano e sfuggono nel liquido, nel brodo globale. (…) Il mal di testa è tecnologico. …”

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   Bruno Conte ha ben vissuto, periziato, indagato e digerito, tutto questo. Ogni sua semplice parola o fonema, ecco, è memore e complice dell’Opera aperta, di un Laborintus prima soffuso e poi mefitico da cui voler uscire; insomma messaggera di un’eterna o neo-avanguardia che mai finirà, eppure, causa il troppo che stroppia è già finita, irriproponibile… Scorrono inesorabili i titoli di coda… Bisogna, se vogliamo farne un altro film, racimolare le energie neurovegetative, e i materiali biodinamici per un’altra impresa trama provocazione trasgressione agnizione… no, meglio: riconciliazione, illuminazione paginomenica direbbe Bruno…

Un delizioso sonetto sinestetico di Mario Lunetta (da Morsure, Edizioni Florida, Roma, 1982), sembra testimoniare quegli anni, quel così è se vi (mi) pare di Bruno Conte, in modo lucido e ineffabile, bizzarro e affettuosissimo. Ecco le prime due quartine:

 L’ombra dei chiodi. I falsi libri. Il regno

   della necessità, che rende opere estinte.

   La morte materiale. L’ombra. Il segno

   omicida di interpresenze tinte

 

   di grigio. L’ombra che non lascia pegno.

   Spine. Cornici. Cubicorni. Finte

   cassettiere nell’ombra. Ovuli. Il legno

   muto, eloquente, magico. Le spinte

   …

Novissimi, possiamo esserlo sempre – ma mai più come presa di posizione, impennata polemica, barricadera scuola di pensiero…

Perché il Mare dell’Oggettività ha avuto il suo tsunàmi, la società consumistica è diventata globalizzata, pensa con un pensiero unico che si finge e soprattutto ci finge liberi, ed anche l’arte, dopo la sua hegeliana magnanima morte, paventata o registrata dai critici-medici legali, merita come Lazzaro miracolato di rialzarsi e ricominciare da capo, reinventare gesti segni parole equivoci soluzioni stati d’animo angoli e angolature, nuovi punti di vista, angolànimi

   “… Qual è l’infelicità imposta dai desideri, quando si propongono in sogno come oggetti? Si posseggono, si sta per possederi, e poi, al risveglio, non ci sono più. Che cosa si può toccare, nel vuoto? …”

Di quanti angoli o angolànimi è fatta l’architettura intima e trasparente d’una poesia? Fa bene, Bruno, a cercare, e trovare spesso la sponda, il la, la chiave di violino di un amico poeta. Valerio Magrelli che in “Xochimilco” evoca una fondazione “rituale / e insensata”: “e sorsi sul franare / e nacqui dal mancare / palafitta del nulla / palo nel nulla fitto.” O questa volta Elio Pecora, in mimesi rievocativa del “Bagatto” (Le bateleur), una carta, un arcano importante dei Tarocchi, che Bruno Conte, del resto, ha reinterpretato, visitato ed incarnato da par suo:

L’uomo saltella sull’abisso e mostra

   nella destra uno scettro: ché s’illude,

   creatura del dubbio e della pena,

   di sorreggere il mondo e rivoltarlo.

   …

Cominciò presto, Bruno a indagare desideri e sogno, vuoto e realtà, il vuoto pienissimo della realtà… O delle realtà?! Chi l’ha detto che la realtà è una sola? Nel secolo del relativismo, già Pirandello ci aveva insegnato che la verità non è mai univoca – ognuno anzi s’addomestica, giura e spergiura la propria…

Trentenne, nel ’69 roboante della Contestazione, e  d’un grande rimescolamento – approssimato per eccesso – degli animi, delle coscienze, della cultura e dell’estetica… Bruno Conte pubblicò su “Carte Segrete” (rivista cult del caparbio “Delirama” espressivo di allora: rispolvero un vecchio titolo di Bruno Barilli, fantaisiste coi fiocchi) i Racconti della serie O: delle prose profondamente intriganti, già sapienti e insieme inquiete, rapinose di metafisica. Come del resto, via via, tutta la sua arte. Rivelatrice d’ogni piega dell’ombra, fosforico teorema (o diverticolo) concettuale, chance o tic gnoseologico; d’ogni quadrato, diciamo, non tanto costruibile quanto sgeometrizzabile sull’ipotenusa (di ogni racconto o triangolo rettangolo)… Insomma, pitagorica ma all’estrema potenza e risorsa…

La sua scrittura si nasconde a volte sottotraccia, sempre sollecitata dalle idee emergenti: ma essa resta in realtà continua e fervida, un inestinguibile supporto, correlativo oggettivo della sua medesima produzione artistica… Un “doppio” esemplare, lo disse già un critico-filosofo come Cesare Milanese, prefandogli i Racconti del più e del meno (Empirìa, Roma, 2002):

   “… Questo manipolare l’oggetto per farlo diventare quasi oggetto è il risultato di un doppio sguardo che viene rivolto all’oggetto stesso: come si diceva, al di qua e al di là della materialità opaca dell’oggetto, nel di più e nel di meno a cui si può ridurre un qualunque oggetto reale e di qualunque esperienza reale, di cui si intenda penetrare l’essenza. È una operazione di astrazione che consente il sorgere di una penetrazione del reale sotto il clima di una emozione inedita, che si compiace della sua sicurezza di essere una emozione singolarissima nel suo stare in disparte, in un altrove di senso e di misura.”…

Libro anch’esso strano, alchemico, soffice e affilato, innescato a esploderci dentro, ma intendiamo nel senso di liberare tutti i puffi o mostriciattoli dell’Es che ci annidano dentro, elfi cittadini, inopinabili fatine domestiche, fantasmini metropolitani…

Anche nelle scelte e nei distinguo lessicali, del resto, Conte in itinere non fa che rimarcare questa via altra o altra via (annoto i suoi stessi titoli), tutta cadenzata, parcellizzata e lampeggiante di spostamenti, ribaltamenti, capovolgimenti, lessicali e sintattici, cognitivi ed in fondo esperienziali: Spostamento verso il grigio, 1972; Un Uno, 1977; Anennodi, 1980; Ambeuno, 1987; Il collezionista di vuoto, 1987; Nuboidi, 1993; Traessere, 1996; Estremi, 1998; Impercezione, 2001…

Una continua “esplorazione del modo in cui gli oggetti (tra cui  gli uomini e le cose)” – precisa Milanese – “sono inseriti  nell’essere: nella leggerezza dell’essere, nel quasi essere, al limite del non essere.”

Originale e fervoroso, Bruno Conte ha insomma portato avanti – con discrezione ed eleganza, laborioso stoicismo, pazienza acquisita e accresciuta – tutta una tradizione diremmo novecentesca (da altro versante,  felicemente libera ed eterodossa), che dal Realismo magico di Bontempelli, comprendendo le vie di fuga di Giorgio De Chirico (Hebdòmeros è del ’29) e dell’altrettanto geniale fratello Alberto Savinio (La casa ispirata è del ’25), e prove non trascurabili di “surrealismo” italiano (il Morovich di Miracoli quotidiani, 1938), giganteschi talenti o monoliti isolati come Delfini e Landolfi, s’inturgida poi di sani, briosi empiti emiliani (Zavattini, Parliamo tanto di me, 1931), dialoga con la sana follìa lucida di un Luigi Malerba (Il serpente, 1966; Salto mortale, 1968), di un Tonino Guerra (L’equilibrio, 1967; L’uomo parallelo, 1969); e poi s’imbarca anch’essa nel calviniano “Mare dell’Oggettività”… Ma per approdare – attenzione – a ben altre terre, continenti, oceanie, australie del corpo e dello spirito:

“… Si rimane disarmati di fronte al biancore del niente, che appare ogni dove si scalfisce la realtà. Non si può stare ancora fermi. Si deve andare. Affermare con il proprio moto errante un confronto con l’estensione assente, rendere reale con il toco di ogni passo il modellato cieco del suolo.”…

Qui, tra il più e il meno, di perle ce ne sono tante. Tra una tranquilla “Città ideale” e un “Esiguo infinito”, “La casa d’acciaio” e un misterioso, amorfo “Oggetto del sonno”, “Tredici disapparizioni” e la spiaggia di pietra, insieme spazio e sentimento d’attesa di “Nuvòvo”, annotiamo almeno due o tre identikit indimenticabili:

“Il cosoide”: “… Cosa fare? Era un essere mai visto, ed era vivo”…

“Memorie di un ranato”: “Sono seguito da una rana, che cammina sbilenca e sempre con la stessa moderata andatura”…

“Io millenario”: “… Il mio fisico è, forse opportunamente, come diluito nell’estensione dell’essere.”…

Perfino una prosa lirica che toglie il fiato, manganelliana forse d’inconscio e angoscia di stile, “La beviluce”:

“… visione che nasceva  e si espandeva, esplosione della visione, cruda nella sua essenza accesa che lo attraeva in questa punta iniziale da raggiungere col piede, e già era in strada ad assaltare la punta dell’inizio per spingersi in avanti”…

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   “Che cosa si può toccare, nel vuoto?” – si è sempre chiesto il Nostro. Oh tante cose… In fondo, noi lo abitiamo, il vuoto: lo riempiamo ogni giorno di noi stessi e dei rapporti con gli altri… Gli altri perfettamente rispecchiati in noi, o, viceversa, “altri” dal nostro sé. Bruno Conte intercetta questo spazio, questo anelito, questo enigma… Diciamo pure, citandolo: l’Oltremente che accade… e che ci fa accadere.

Lo scrisse in una sua anti/contro/entro/oltre poesia, editata nelle deliziose edizioncine di “Pulcinoelefante”:

   Noiose poesie

   Seppure

   Insistendo ad aprire una pagina

   Tra la novanta e la novantuno

   Si apre la ovantuno

   Tradipagina

   Attraente

   Oltremente

Forse davvero la chiave della sua poetica – questo decifrare le cose, gli oggetti, nel vuoto oltremente che contengono; in qualche modo decrittare la realtà col sogno della fantasia, o viceversa.

Poi farne racconto, cioè cadenzarne, solfeggiarne la tentata partitura di un romanzo perfettamente inscrivibile (come mero concetto geometrico), e insieme ascrivibile, non scrivibile cioè inenarrabile – ma solo perché ancora inenarrato.

Bruno Conte comincia a farlo, a occuparsene – e questi nuovi Racconti altri sono forse le sue ricerche, scritture migliori, caparbie e fragranti: test, schizzi, progetti, per un’alchimia sapienziale (e lessicale!) che aspettava, esigeva prove così abili, una dedizione così fresca, eppure esperta, di-vertita, sperimentata… Bruno che ha letto fin troppo bene il miglior Roland Barthes (e noi con lui, s’intende):

   “… Sì, ma scrivere significa collocarsi in ciò che chiamiamo oggi un immenso ipertesto, cioè porre il proprio linguaggio, la propria produzione di linguaggio nell’infinito stesso del linguaggio. (…) Ma perché non sarebbe esaltante? Proprio lì si produce una specie di crisi del soggetto. E la crisi del soggetto, la crisi della stabilità del soggetto che si produce nella scrittura è così esaltante da essere l’oggetto stesso di tutte le esperienze limite, marginali (…). Per me la letteratura – per cui preferirei chiamarla scrittura – è sempre una perversione, cioè una pratica che mira a far vacillare il soggetto, a disgregarlo, a disperderlo direttamente sulla pagina. …”

(da: Roland Barthes, Scritti, “Società, testo, comunicazione”,

a cura di Gianfranco Marrone, Einaudi, Torino, 1998, pp. 246-247)

Ecco il caso esemplare del libro già letto, da rileggere:

   “… Nel libro letto cinquanta anni prima si incontra a sorpresa una frase sottolineata a matita. È importante? Per chi? Sono stato io, ovvero altrio?”…    

Ecco lo sguardo cinico, ozioso e quasi perfido dell’incursore che riesce a filmare i sogni:

  “… Il risultato godibile sfuma tra allettante e inquietante. Alcune zone si sente di volerle rimuovere, per scegliere anche soltanto dei quadri, da isolare in unica immagine poster.”…

O ancora, la figura oramai mitica, e comunque apotropaica, del Gobbostorico:

   “… Hanno occhio per l’estetica i Berillei. (Hanno un solo occhio). Ognuno sa anche produrre i propri quadri per il salotto.”…

Ancora, il carattere, il destino staremmo per dire fisico, dei “Cacciatori di lumache” (colleghi e sodali, si direbbe, dei “Cacciatori di niente” di Del più e del meno)…

  “… Si confrontano il tempo delle lumache e il tempo del cacciatore. L’uno immerso nell’altro. L’istinto dischiuso viscido diramato in sottili sonnambuli itinerari e il percorso a passi, ugualmente cauto, in una nube di silenzio presa dagli sterpi, nebbiosa in mente, di goccia in goccia sugli spini.”…

Ma non togliamo suspense né ai nuovi lettori potenziali, né ai vecchi, amicali aficionados… come del resto noi stessi. L’unica cosa che ci preme dire, è che qui la Metafisica trova forse il suo buffo (ed egualmente estremo, drammatico) punto d’arrivo; del resto pronosticato, (s)materializzato in tutta la sua produzione:

   Una malattia

   impersonare le cose

   sentite prominenti invadenti

   essere sedia spagliata

   essere macchia del muro

   …

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Sono fenomenali, tra gli altri, tutti i “pezzi” di Bruno Conte dedicati all’Arte, alla sua arte in progress e a quella in genere dei poveri, estrosi artisti contemporanei, alle prese con un periodo difficile già in se stesso… Il Contemporaneo, dunque, come deriva non solo di stili, ma anche di significati, significanze, certo anche in-significanze… Due o tre esempi immemorabili; la vera e propria dichiarazione di poetica di “Pitture ultime”:

“… Oggetti quindi soltanto da colmare con la pittura, ovvero con la luce che si sovrappone e incupisce dalla propria oppressione.”…

Ma poi, a ruota (quasi un sillogismo unico, o meglio il corollario del precedente teorema espressivo), ecco la Favola dell’opera unica:

   “… Il pittore guardava il suo quadro finito, sfinito, lo assorbiva per alcuni giorni e, quando l’idea veniva a riprenderlo, si rimetteva al lavoro.

   Così invecchiava il pittore, lavorando sporadicamente, tra sempre maggiori pause di sonnolenza.”…

E noi del resto, sempre, se non altro nell’oltremente, accanto ai suoi quadri, alle sue opere, o reoconfessi, sbalorditivi “quasi oggetti”, installazioni o architettate figurazioni di un artista che da cinquant’anni eccelle in ricerca e ce ne dona i risultati (i “coaguli della materia della realtà…”), collochiamo, trasfiguriamo come in una luce di filigrana, diciamo delle brevi, appunto, ma sapienziali, definitorie didascalie lirico-concettuali (le sue poesie di pensiero, folgorazioni mentali, arzigogoli rivelatori quanto mentitori… Beh, La letteratura come menzogna di cui tanto s’occupò Manganelli…).

Anche Angolànimi, tanto per dire, era pieno di questi adagi ribaltati, di tali controsensi, oramai irrinunciabili, e per squisito paradosso, finalmente rivelatori:

  Mettersi in viaggio

   cambiare paesaggio

   senza cambiare se stesso

   Mettersi in viaggio

nello steso circostante

cambiando se stesso

 

   Una cartolina

dal paesaggio di se stesso

E il suo paesaggio di sé medesimo, come in un’autografata “girata” da assegno bancario, Bruno Conte aveva cominciato a focalizzarlo presto, frequentarlo in fondo già mentre andava inventandoselo, incorniciandoselo  Tra oltre l’anima, e le mappe epidermiche, le rughe gnomiche della Memoria:

   “… Riguardando i miei primi lavori, dopo la metà degli anni Cinquanta, elaborati entro un microcosmo surreale, mi sembra già di avvertire, nel disegno delle forme lineari, una segreta scrittura. Il carattere della poetica che si è andato sviluppando e mutando fino a oggi si può identificare nella tematica di una misteriosa, eppure coinvolgente, materia della realtà: oltre il macrocosmo, il cosmo assunto nella stanza in cui si opera. …” 

(dal dépliant “BRUNO CONTE – Realtà in equilibrio”,

per la recente mostra presso la Galleria Nazionale

d’Arte Moderna, Roma, 19 giugno – 30 settembre 2018)

Non c’è più confine all’arte, e occorre – tanto più amandola – riposizionare, riformattare e mixare tutta l’Arte cosiddetta Moderna, tra 8′ e ‘900, a relazionarsi, dialogare ma anche re-agire, contro-vertere, con ogni febbre o posa Contemporanea…

L’arte, la vita, l’arte come vita (non più), e quella che sopravvive: la vita (il mondo) invivibile che l’arte disinquina, vaccina, ci propina…

   ” Un collezionista di quadri prediligeva ritratti, e aveva una strana mania, nella sua vasta casa in cui viveva da solitario li teneva attaccati alla parete capovolti. …”

Joke ed assunto sublime, qui ogni racconto parte da un’immagine: è ferma, statica/stoica, o anche mirabolante sequela, paesaggio d’immagini… Dove per paesaggio s’intende, è chiaro, un orizzonte anche interiore.

E da quell’immagine, si estende, brulica poi un’intera declinazione di immagini, a variante, a mappa interiore e poi liberata, accesa a ordirsi. Viaggiamo ora fino all’Isola di Pasqua – anzi Isola di Pasquetta:

   “… Chi ha lasciato questi zampinanti messaggi racchiusi, e per chi?

   Per il mare. Per qualcuno che arriva, o non arriva dal mare. Quindi per l’assoluta estensione della lontananza.”…  

 

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Bruno Conte è molto bravo, in epoca di fastidiosa e sovraesposta Realtà Virtuale, a distillarsi (e sorvolarci) profondamente virtuale, ma fuori comunque da ogni equivoco… Il più raffinato scrittore del realismo francese, Gustave Flaubert, chiuse del resto la carriera con un romanzo parodico, risibile e ridicolo, ma poderoso come denuncia sia dei nostri limiti, che dei nostri infiniti meriti, potenziali eppure avverabili… Cioè, con lo stile impassibile e l’umorismo nero di un Bouvard e Pécuchet… E non è più solo allenamento all’ossìmoro o talento per il ribaltamento, la sovrastruttura, la sovrapposizione… O la già di gran moda “de-costruzione”…

“Squadra di due”, ad esempio, è  l’inizio di un romanzo che non importa più scrivere, ma molto di più immaginare, sintetizzare…

E poi “Notte quasi giorno” – che è la testimonianza rinarrata e resa visiva come di un limbo profetico e insieme ipotetico…

 “… È questo quasi, interdetto tra due volumi che si scuriscono schiariscono, che si vuole cogliere nel brivido dell’istante uno. Non è un momento che appartiene all’orologio ma un punto da catturare nel colore del tempo.”…

O “Il pittore del grigio”, racconto ancora più evocativo, una vera e propria dichiarazione di poetica… Gangli, plot narrativi di rapinosa, annodata fascinazione…

   “… I quadrati sono dipinti in grigio, un grigio composto da bianco e nero, senza stucchevoli intromissioni di altri ricordi di colore, in diverse intensità, più che altro varianti di chiaro.”…

La moderna scrittura, del resto, scrive sempre dell’impossibilità di dipingere… Così come tanti artisti raccontano, confessano allo stesso modo il malessere oramai, di continuare a dipingere, a manierare bellamente l’Arte…

Cosa cercava “L’oggetto invisibile”, l’aspra, contorta aura magica ed esistenzialista di Giacometti? E cosa rincorrevano il rigore astratto ma anche l’acuta tensione lirica, i “Teatrini” in terracotta colorata, la magia rarefatta e segnica, profilata, l’invenzione ritmica e strutturale di Fausto Melotti?… Cosa anelava Arp “neoplastico” in cerca della massima purezza formale, col suo legno dipinto tutto bianco, a “Foglie e ombelichi”; e Tàpies, invece, con le sue vaste superfici desolate; ancora, Cy Twombly tra graffiti iscrizioni numeri e segni, con la sua Roma sul muro; o lo stesso Gastone Novelli rapito dalla pittura-scrittura de Il grande linguaggio?…

Perché l’arte non è mai morta, né la poesia o il romanzo…

Cambiano i protagonisti – o i nostri alter-ego, i nostri anonimi Inconsci, indirizzi (o disguidi) archetipici da cui veniamo e torniamo: rispetto ai consueti, azzimati romanzi borghesi, o ai cipigli lancia in resta della neo-avanguardia, tra Giochi dell’Oca e Cavalieri Inesistenti in lizza per un fazzolettino profumato, una (falsa, infingarda) promessa amorosa di Madonna Avanguardia…

I personaggi improbabili ma tanto più radicali di Bruno Conte, stanno invece coraggiosi in trincea, difendono la linea del Piave della Fantasia, l’ultima Grande Guerra dello spirito.

C’è chi faticosamente lavora in sogno…

Chi fa il collezionista di libri figurati…

Perfino uno Scrittore fantasma (oh, Philip Roth!), ma giammai fantasmatico…

 “… E voi, che state lì a guardarmi? Si rivolge alle cose della stanza.

   Finché, da alcuni segnali più o meno sottintesi (l’abbattersi senza ragione del manico della scopa che stava appeso, il socchiudersi da chiuso di uno sportello dell’armadio, una voce lamentosa che sembra non venire dalla strada ma da sotto il letto) ha una rivelazione: non sono io ad essere malato, ma la circostanza delle stanze, le cose che le abitano, che mi guardano con invidia pressante, e che devono loro essere guarite.”…

Per fortuna tutti i malanni se ne vanno, e questo libro stesso ci diventa forse vaccino contro ogni germe, morbo o malessere… :

  “… E quindi il malato di prima, ora così lodevolmente impegnato come volontario verso l’inverso, si sente bene.

   Fa bene fare del bene.”   

(Roma, novembre-dicembre 2018)   Plinio Perilli

 

 

Bruno Conte nato a Roma nel 1939. Inizia la sua attività in campo figurativo con opere di carattere grafico astratto surreale. Espone alla VII e VIII Quadriennale di Roma,1955 e 1960. Nel 1956 alla XXVIII Biennale di Venezia. E’ in relazione con la Galleria dell’Obelisco di Roma che lo presenta in mostre negli Stati Uniti. Tra il 1959 e il 1961 elabora immagini con testi poetici e sviluppa la sua parallela attività letteraria. Nei primi anni ‘60 le pitture acquistano consistenza materica. Successivamente prevale una scelta oggettuale che si distingue nel tempo in concetti formali atti a definire delle emergenti immagini – evento. Una autonoma quasi scrittura vegetante viene suggerita nei suoi libri lignei, scrittura che tende a spegnersi nelle quasi pagine dei più recenti, essenziali metafisici, “paginari” a parete.

Filmato e Intervista

“Realtà in equilibrio”
alla Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Roma
le opere di Bruno Conte

Sito: Bruno Conte Il precario equilibrio dell’oggetto introvato L’altro versante della ricerca

Bruno Conte Arte


Una risposta a "OMAGGIO A BRUNO CONTE di Plinio Perilli"

  1. Bruno Conte è un’oltremente creatoide che amavo in modo particolare e che – amavamente chioso – mi mancherà. da incorniciare l’articolo di Plinio Perilli: non solo m’appare assai pregnante, ma brilla d’insoluta brunità e in più mostra d’aver grande contezza del rizonte.
    mentre leggevo il post pensavo: un altro creativo (defunto da tempo) col quale a mio sentire il nostro mostro (di bravura) ha molto più di un’attinenza cerebrale vaga è Marcello Marchesi. si fossero incontrati in vita (sarà successo?) sarebbero di certo diventati buoni amici.
    un grazie di cuore a Plinio Perilli.

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