Giancarlo Locarno: Trobairitz

 
Non è stato facile per gli studiosi identificare un elenco delle trobairitz, cioè delle donne che poetavano come trovatori nelle corti Occitane, e un corpus delle loro opere. Alcuni come Jean Charles Huchet hanno sempre negato addirittura la loro esistenza, ritenendo le loro canso opere di trovatori che per motivi puramente testuali assumevano una voce femminile.

Oggi non è più così,  i filologi hanno stabilito alcuni criteri in base ai quali un testo deve essere attribuito ad una trobairitz:

  • Deve essere esplicitamente indicato il nome come autrice del testo.
  • Quel nome deve essere presente in qualche Vidas (biografie degli autori che spesso accompagnavano le raccolte di manoscritti).
  • Presenza di elementi che si possono definire “tipicamente femminili”.
  • Uso dei tempi verbali al condizionale, al congiuntivo o al passato, mentre nei trovatori prevale il tempo presente.
  • L’uso diretto di io e tu, mentre i trovatori preferiscono parlare di “lei” in terza persona.
  • Una sequenza verbale più articolata, spesso su due gradi di variazione (presente-condizionale-congiuntivo).
  • Superamento della dicotomia domna \ femna. Per i trovatori, ma anche in generale nel medioevo, anche in Dante, quando dicono “donna” non intendono “una donna” nel senso attuale del termine, ma è la Domina, colei che nella sua distanza siderale domina i pensieri dell’amante di fin’amor, di amore puro. La donna reale della vita vera è la femna, nei trovatori sono due figure completamente scollegate, nelle trobairitz, e si capisce chiaramente dai testi, le due figure si fondono in una sola.

Questi criteri enunciativi e testuali, che ho solo semplificato, hanno portato a riconoscere una cinquantina di testi attribuibili a trobairitz, molti dei quali  anonimi, e a una ventina di poetesse note.

Ho scelto quattro testi, tre di autrici note, uno di autrice anonima. Per la traduzione ho consultato anche diverse versioni in francese, ed è stato utilissimo il dizionario dell’antico occitano dell’Università di Salerno, al link:

DOC: Dizionario Online per l’Occitano (unisa.it)

Purtroppo nella traduzione si perde la rima e la melodia  che non sono in grado di riportare.
Però per le tre autrici riporto il link all’esecuzione musicale delle poesie. Un approfondimento di questi problemi si può trovare nel saggio di  Esther Ouellet al link:

05_fl27_ouellet_a (semanticscholar.org)

E a quello di Frédérique Le Nan
Voix de femmes dans le monde – Na Bieiris De Romans, poétesse occitane du xiiie siècle, ou le genre auctorial en question – Presses universitaires de Rennes (openedition.org)

 
Beatriz de Dia

Nota anche come contessa di Dia, ha operato nella seconda metà del XIII secolo, sembra sia stata la moglie di un Guglielmo di Poitiers, nelle sue canso canta l’amore per Rimbaud D’Orange, anch’egli un trovatore ma anche signore di Orange. Quella che riporto è una canso composta da tre coblas (strofe) dobles composte da 8 versi, coblas doble vuol dire che la struttura delle rime cambia ogni due coblas, in questa canso si vede come le prime due coblas hanno la struttura di rime identiche, la terza cambia. Ho mantenuto nella traduzione l’uso del noi e del voi come nell’originale.

Al link seguente un’esecuzione della canzone eseguito dall’ Ensemble Hesperion XX diretto da Jordi Savall con la voce di Monserrat Figueras

https://www.youtube.com/watch?v=poq0otTzmCM

 
Sono stata in grande pena
per un cavaliere che ho avuto,
voglio che tutti i tempi lo sappiano
come tanto l’ho amato;
ora da sola mi sono tradita
perché non gli diedi il mio amore
soffro di questo grande errore
sia a letto sia quando sono vestita.
 
Come vorrei tenere il mio cavaliere
la sera tra le mie braccia nudo
so che lo farei felice
sarei il suo cuscino per tutto ciò che vuole
sono troppo invaghita
più di Florio per Biancofiore
gli concederò il mio cuore, il mio amore
Il mio senno, i miei occhi la vita.
 
Caro amico così bello e buono
potrò tenervi ancora in mio potere?
e giacere con voi tutta una notte
a riempirci di baci d’amore!
Sappiate che ho una gran voglia
d’abbracciare voi, non mio marito,
voi, perché m’avete promesso
che mi farete tutto ciò ch’io voglio.
 
*

Estat ai en greu cossirier
per un cavallier q’ai agut,
e voill sia totz temps saubut
cum eu l’ai amat a sobrier;
ara vei q’ieu sui trahida
car eu non li donei m’amor,
don ai estat en gran error
en lieig e qand sui vestida.
 
ben volria mon cavallier
tener un ser e mos bratz nut,
q’el s’en tengra per ereubut
sol q’a lui fezes cosseillier:
car plus m’en sui abellida
no fetz Floris de Blanchaflor:
eu l’autrei mon cor e m’amor
mon sen, mos huoills e ma vida.
Bels amic, avinens e bos,
cora us tenrai e mon poder?
E que jagues ab vos un ser
e qu’us des un bais amoros!
Sapchatz, gran talan n’auria
qu’us tengues en luoc del marit,
ab so que m’aguessetz plevit
de far tot so qu’eu volria.
 


 
Clara D’Anduza

E’ una trobairitz della prima metà del XIII secolo, apparteneva alla famiglia dei signori di Anduze, è la donna amata dal trovatore Uc De saint Circ, di lei si conosce un’unica canso, composta da tre coblas unissonans, cioè tutte con la stessa struttura delle rime, e una tornada finale di quattro versi con la struttura di rime dell’ultima mezza cobla.

Nella traduzione ho provato a sostituire il noi e il voi con l’io e il tu, per vedere come si legge con una forma più moderna.

Al link seguente un’esecuzione della canzone da parte di Robin Snyder  col gruppo Rossignol:

https://www.youtube.com/watch?v=zPxoVoZqEJs

 
Provo un grande sconforto e una grande preoccupazione
I maldicenti e i falsi profeti,
hanno messo il mio cuore in grande errore
sembravate ambasciatori di gioia e di gioventù,
ma colui che amo più di ogni cosa al mondo
me l’avete fatto fuggire lontano,
non posso più vederlo e rimirarlo,
dunque muoio di dolore, d’ira e di risentimento.
 
A adesso mi biasimi e rifiuti il mio amore
Ma non puoi modificare i moti del mio cuore
né il dolce desiderio di te che aumenta sempre più
né la gelosia, né la voglia, né la bramosia
E non c’è uomo sia pure mio nemico
che non mi sia caro se ben parla di t
Ma se ne parla male, niente che dica o faccia
me lo farà mai piacere.
 
Non devi, caro amico, spaventarti
E pensare che il mio cuore è ingannatore
Io non ti cambierò con nessun altro amante
anche se altre cento donne mi pregano di farlo
l’amore che ho per te mi custodisce
vuole che io sia al sicuro e conservata per voi
Ah!, se potessi riprendere il mio corpo
da colui che tanto non lo vuole.
 
Amico sono tanto piena di rabbia e gelosia
perché non posso vederti, e quando tento di cantare
piango e sospiro, perché non posso far fare alle mie strofe
quello che il mio corpo vorrebbe da te.
 
*
En greu esmay et en greu pessamen
an mes mon cor et en granda error
li lauzengier e ·l fals devinador,
abayssador de joy e de ioven,
qar vos q’ eu am mais que res qu’ el mon sia
an fait de me departir e lonhar,
si q’ ieu no ·us puesc vezer ni remirar,
don muer de dol, d’ira e de feunia.
 
Selh que ·m blasma vostr’ amor ni ·m defen
no podon far en re mon cor mellor,
ni ·l dous desir qu’ ieu ai de vos maior
ni l’enveia ni ·l dezir ni ·l talen;
e non es hom – tan mos enemicx sia –
si ·l n’ aug dir ben, no ·l tenha en car
e, si ·n ditz mal, mais no ·m pot dir ni far
neguna re que a plazer me sia.
 
Ia no ·us donetz, belhs amicx, espaven
que ia ves vos aia cor trichador,
ni qu’ ie ·us camge per nul autr’ amador,
si ·m pregavon d’autras donas un cen;
qu’ amors que ·m te per vos en sa bailia
vol que mon cor vos estuy e vos gar
e farai o; e, s’ ieu pogues emblar
mon cors, tals l’ a que iamais non l’auria.
 

Amicx, tan ai d’ira e de feunia
quar non vos vey, que quant yeu cug chantar
planh e sospir, per qu’ ieu no puesc so far
a mas coblas que ·l cors complir volria.
 

 

Autrice anonima

Questi versi anonimi sono attribuiti a una trobairitz sulla base di considerazioni stilistiche dell’enunciato, nel saggio della Oullet vengono usati come esempio del passaggio verbale dal presente, al condizionale (saria) , al congiuntivo (devengue, vengue), per poi ritornare al presente.

 
Tutta notte sospiro e rimugino
trasalisco anche addormentata, davvero,
come sentissi che il mio amico si sveglia.
Oh Dio, come sarei subito guarita
Se succedesse
che una notte, per mia fortuna
venisse da me.
La donna che tiene all’amore
deve averne tanto di coraggio.
 

*
Tota noit sospir e veill
e tressalh tot’endormida,
per oc car vejaire m’es
que.l meus amics se ressida
A Deus, com seria garida
s’aissi devengues,
una noit per escarida
qu’a me s’en vengues.
Domna qui amors aten
be deu aver fin coratge.
 


 

Bieiris De Roman
 

Quello di Beiris o Beatriz De Roman è un caso letterario unico per la letteratura medievale, è una canso  d’amore che una donna dedica ad un’altra donna.

Diversi filologi pensano che che Beiris non esista, ma che la canso debba essere attribuita al trovatore Alberis De Roman, per un errore di trascrizione. Il manoscritto sul quale si trova il testo è conservato nella Bibliothèque Nationale de France ed è un catalogo di autori provenzali compilato il secolo successivo, non è un manoscritto artistico e miniato, ma serviva come un testo di consultazione, e sembra anche sia pieno di errori. In realtà Alberis de Roman ha un capitolo suo, e non si capisce perché una sola canso debba essere stata staccata dal resto del corpus e inserita isolatamente. Inoltre il nome Beiris è attestato come sostituto di Beatriz. Come semplice lettore, se cerco di applicare i criteri a questo testo, trovo qualcosa di interessante.

C’è un verso dove dice “la gaia acundanza”, la gaia familiarità, un trovatore non ha mai familiarità con l’oggetto del suo amore, che è una domina, spesso moglie del suo datore di lavoro e inavvicinabile, e a lei ci si rivolge sempre in terza persona, mi sembra invece una parola “femminile”, che esprime la familiarità tra donne nella stessa casa o corte.

Altri due versi dicono:

 
“E car beutas e valors vos enansa
Sobra tutas, c’ una nos e vos es denan”
“E poiché la bellezza e il valore vi innalzano
su tutte le donne che nessuna prevale su voi o su noi,”
 
Nessun trovatore si paragonerebbe a “tutte le donne” pensando di prevalere su di loro,
paragoni di questo tipo si fanno solo all’interno dello stesso genere.

Comunque oggi parecchi critici l’accettano come una voce autentica femminile, qualcuno pensa che siano riportate nei versi delle manifestazione affettive formalmente in voga nel medioevo, anche tra uomini, di cortesia e non d’amore.

Come lettore ho pensato dapprima ad un’autrice che compie un esercizio poetico, recitando la parte di un trovatore, però nel secondo saggio di cui ho riportato il  link, Frédérique Le Nan osserva che in quel periodo era indicibile esplicitare un rapporto omosessuale, perché una donna (e anche un uomo) rischiava di essere condannata a subire delle mutilazioni e addirittura al rogo, e cita delle raccolte di leggi in proposito, come il Livre de jostice et de plet.

Quindi potrebbe benissimo essere la descrizione di un rapporto amoroso tra donne sotto il senhal   del formalismo cortese.

C’è l’ultimo verso che rafforzerebbe questa ipotesi a seconda di come lo si interpreta.
 
E tutz lo bens c’ om e dona deman” .
 
Sul manoscritto è scritto “om”, si può leggere come un errore per “on” oppure per “hom”.
 


 
(in voi c’è) Tutto il bene che si chiede a una donna
(in voi c’è) Tutto il bene che uomo e donna ti chiedono

 
E quest’ultima interpretazione rafforza l’ipotesi di amore tra donne, dove l’uomo è  l’amante ingannatore, la donna è l’autrice.
 
Alcuni studiosi osservano che si può leggere in effetti “om” come “hom”, però il corrispettivo maschile di domna non è hom, ma senhor, hom è il corrispettivo di femna. Ma sempre come lettore, dato il criterio 7, allora l’autrice potrebbe fondere anche la dicotomia hom \ senhor, e questa è l’interpretazione che preferisco nella mia traduzione.

Al link seguente un’esecuzione della canzone sempre a cura di Robin Snyder  col gruppo Rossignol .
 

https://www.youtube.com/watch?v=TotOqUvune0

 

 
Manoscritto ms. unicum, fr. 15211 T de la Bnf (xive siècle).

Donna Maria, il pregio e l’alto valore
la gioia, il senno, la grande bellezza
l’affettuosità, il pregio, l’onore
il dolce parlare e l’avvenenza unica
il dolce viso e la gaia familiarità tra noi
il caro sguardo e l’amorosa sembianza
sono tutti in voi e non hanno eguali,
e mi attirano a voi, col cuore senza inganni.
 
Per questo vi prego, se volete, che questo amore puro
i suoi godimenti e la dolce umiltà
possano avere da voi un soccorso
bella donna, se vi piace e se volete
donarmi ciò che vorrei con gioiosa speranza
perché ho riposto in voi il mio cuore e la mia volontà
è da voi che proviene tutta la mia allegria
ed è per voi che vado sempre sospirando.
 
E poiché la bellezza e il valore vi innalzano
su tutte le donne che nessuna prevale su voi o su noi,
vi prego, per favore, usate il vostro onore
per non amare un amante ingannatore.
 
Bella donna a cui valore e gioia ne avanza
come le vostre nobili parole, a voi i miei versi mando
perché in voi è gaiezza e allegria
e in voi è tutto quel bene che l’uomo e la donna cercano.
 
*
 
Na Maria, pretz e fina valors
E·l giois e·l sens e la fina beutatz
E l’ acuglirs e·l pretz et las onors
E·l gintz parlars e l’avinens solas
E la doz cara e la gaia acundanza
E·l ducz esgartz e l’amoros se[m]blan
Ce son e vos, don non avetz egansa,
Me fan traire vas vos, sis cor truan.
 
 
Por zo vos prec, si·us platz, ce fin’ amors
E gausimentz et doutz’umilitatz
Me puosca far ab vos tan de socors
Ce mi donetz, bella dopna, si·us platz,
So don plus ai d’ aver gioi esperansa,
Car en vos ai mon cor e mon talan
E per vos ai tut so c’ ai d’ alegransa
E per vos vauc mantas ves sospiran.
 
E car beutas e valors vos enansa
Sobra tutas, c’ una nos e vos es denan,
Vos prec, se vos plas, per so ce vos es onransa
Ce non ametz entendidor truan.
 
Bella dompna, cui pretz e giois enanza
E gientç parlars, a vos mas coblas man,
Car e vos es gaessa et alegransa
E tutz lo bens c’ om e dona deman.


4 risposte a "Giancarlo Locarno: Trobairitz"

  1. Sempre originali, raffinati e coltissimi i post di Giancarlo Locarno. Personalmente non sapevo dell’esistenza delle Trobairitz: è una scoperta. Grazie!
    Un saluto,
    Rosaria Di Donato

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  2. rassegna filologica molto ben documentata. però, confesso in massima sincerità, mi suona molto “realtà archeologia da letterati aventinati”…
    : ))
    intendo, se Ciccio era uomo o donna o se si amano tra donne mi tange poco assai.
    ohi, è indubbio che chi dimentica la storia è condannato a ripeterla ma forse, proprio per questo – ammesso e non concesso che gli spazi virtuali internautici abbiano ancora un senso – non si potrebbero affrontare temi più signifi/canti?
    boh, sicuramente sono io, ma negli ultimi anni ogni volta che apro gli occhi vedo il Titanic e l’orchestrina che continua a suonare.
    ok, sia chiaro, il mio attuale sfogo è uno “sciupon” d’istinto (poco distinto), e forse meno d’ogni altro c’entra in buon Giancarlo (che in generale è tra i più vivi nel sociale)… ecco, non so cosa m’ha preso, ma potrebbe essere *proprio* per questo (una sorta di “tu quoque”)!
    vabbè… ho appena riletto ciò che ho scritto ed è un delirio. portate pazienza, amici neobarocchi, poco male: tanto ormai quasi nessuno legge.
    : )

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  3. Certo, poesia lirica agli albori e forse non conoscevano i greci e la grande Saffo. I trovatori erano cantori, o si affidavano a dei giullari di corte, per divertire con letizia. Anche se Arnaut Daniel fu considerato da Dante il miglior fabbro, queste poesie femminili mi piacciono non per una tecnica particolarmente interessante, ma, come mi stupisco sempre quando leggo le “Mille e una notte”, della libertà erotica che le donne hanno goduto in certi periodi storici. È possibile che fossero stati uomini, oppure semplicemente donne, letterate che, con una sensibilità poetica spiccata, siano state influenzate dai loro compagni poeti, ma, in ogni caso, con una cosciente libertà (forse data anche dagli agi della casta). A volte quando leggo certa poesia Novecentesca femminile, mi svilisco. Qui, mi pare di leggere un bel erotismo paritario. Grazie Giancarlo

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