Paolo Vincenti: Visioni di G.K. Chesterton

by Daniel Adel

VISIONI DI G.K. CHESTERTON

“Conquistatevi un’anima nuova, la vostra non basta neanche per un cane. Conquistatevi un’anima nuova!”, disse il giudice al Ministro, prima di essere considerato completamente pazzo e dover troncare la propria carriera. Così, Basil Grant affittò una mansarda a Lambeth e si ritirò a vita privata. Da quel momento, si divertiva a risolvere curiosi casi che gli venivano affidati dal cosiddetto “Club dei mestieri stravaganti”, di cui egli era socio affezionato. Ma qualcosa di veramente stravagante doveva ancora capitargli. Un giorno nella sua soffitta piccola ma ben arredata doveva fare l’incontro più assurdo di tutta la sua vita. Venne a trovarlo infatti un distinto signore dall’aria molto inglese ma con una grande pena nel cuore, che si manifestava all’esterno attraverso la concitazione dei suoi movimenti e il rossore che cerchiava gli occhi intelligenti. Anch’egli era socio del “Club dei mestieri stravaganti”: si trattava del famoso Gilbert Keith Chesterton, giornalista e scrittore, originario di Kensington, dalla vita molto piena e travagliata. Chesterton, di vaghe idee liberali, era stato anche in politica per un certo periodo ma se ne era allontanato, disgustato dal clima di corruzione che regnava in quell’ambiente e dalla assoluta impossibilità di attuare quelle riforme sociali delle quali egli era intimamente convinto che vi fosse bisogno nell’Inghilterra dell’epoca. Aveva viaggiato molto: in Irlanda, in Francia e soprattutto in Italia. Fondatore e direttore del giornale “G.K.’s Weekly”, aveva pubblicato romanzi di successo come Il Napoleone di Notting Hill e L’uomo che fu Giovedi, ma soprattutto I racconti di Padre Brown, la sua opera più importante e conosciuta. E proprio a quest’ultima si dovevano i suoi guai. Il libro era la causa di una grande agitazione e il motivo che lo aveva portato quella mattina di dicembre nella soffitta dell’ex giudice Grant, in uno stato di confusione mista a terrore. L’avanzante sviluppo industriale in Inghilterra, il mito del progresso, di cui sembravano impastate le nuove generazioni, esercitavano su di lui un profondo senso di angoscia che esprimeva nell’intreccio delle vicende e nell’introspezione psicologica dei personaggi dei suoi romanzi. Il rifiuto di consegnarsi ad una visione assolutamente meccanicistica della realtà era determinato da una latente aspirazione moralistica e da una quiescente spiritualità, di un cristianesimo sofferto, però, dal quale si era allontanato molti anni prima salvo sentire, negli ultimi tempi, come un bisogno intrinseco di tornare all’abbraccio caldo e rassicurante della romana madre chiesa e della religione cristiana. Questa crisi religiosa, il rifiuto di un mondo meccanico che espelle l’immaginazione e la fantasia a favore del calcolo e del compromesso, l’orrore per una società basata essenzialmente sui valori positivistici della scienza, dell’efficientismo, della razionalità, un certa vis polemica che lo aveva portato spesso al centro di aspre polemiche con politici e colleghi giornalisti, facevano di lui quello che si può definire un irregolare, un ribelle, leggermente anarcoide, e, né più né meno, un “rompiscatole”. Quella mattina, lo scrittore era davvero fuori di sé. Una serie di indizi, dei bigliettini con strane frasi che misteriosamente negli ultimi giorni trovava un po’ dappertutto ma indubitabilmente indirizzati a lui, la precisa sensazione di essere seguito, anche mentre veniva a casa del giudice Grant; tutti questi strani fenomeni erano lì lì per convincerlo che stava diventando pazzo. Ma quale fu il suo strabilio, quale la sua meraviglia nel trovarsi, a un bel momento, proprio di fronte al suo personaggio, Padre Brown in carne ed ossa, uscito dalle pagine dei suoi racconti! In un primo momento, Chesterton pensò si trattasse di uno scherzo che gli stava giocando la fantasia troppo fervida di scrittore fecondo e geniale. Si tirò anche un pizzicotto in pieno viso. Poi pensò che qualche suo amico, un buontempone, gli stesse facendo un simile tiro. Ma niente di tutto ciò era lontanamente vicino alla realtà di quel personaggio che gli si parava davanti agli occhi e che era vero, come vera la luce del sole. Ad un certo punto pensò che questa fosse la vendetta del suo amico prete cattolico romano, Padre Jhon O’Connor, al quale egli si era ispirato per creare il personaggio di Padre Brown, e cercò di valutare, in quei brevi e concitati momenti, la possibilità che, celato dietro le fattezze del suo prete letterario, ci fosse proprio l’amico, pastore dell’Essex. Ma non era così. A quel punto, dopo aver strabuzzato gli occhi più e più volte e cercando di mantenere la calma, dovette prendere atto che quell’omino brizzolato, vestito con una nera tonaca e dall’aria un po’ stralunata, fosse proprio Padre Brown, la sua creatura più conosciuta, il suo parto letterario più riuscito. Ma non aveva fatto in tempo a parlargli, a fermarlo. Si era materializzato dalle pagine dei suoi libri per chissà quali arcani motivi e quale strana combinazione alchemica. Ed era per questo che adesso Chesterton, il grande scrittore, si era recato dal giudice Grant, del quale aveva sentito parlare molto bene, nella speranza che l’abile investigatore dell’occulto potesse risolvere il suo problema. Raccontò tutto quanto al giudice, comprese le sue paure di stare diventando pazzo. Grant stava cercando di capire in quale assurda situazione lo scrittore si fosse cacciato, chiedendogli che cosa avesse mangiato o bevuto negli ultimi giorni, in quale predisposizione d’animo fosse quando aveva avuto la visione, se avesse dei nemici che gli volevano nuocere, dei debiti che non riusciva ad estinguere, degli amici amanti degli scherzi feroci e ben architettati, ecc. ecc., ma Chesterton non fece in tempo a rispondere che, passando davanti alla finestra dell’appartamento, si accorse che all’angolo della strada c’era proprio il suo prete, ancora una volta  materializzatosi.  Sì, lo poteva vedere distintamente, con la sua aria sardonica, ed invitò anche l’amico a dare un’occhiata per sincerarsi di quella presenza inquietante, ma il prete era già sparito. Difficile dire poi in base a quali elementi Chesterton si fosse convinto che quel prete così sfuggente fosse proprio Padre Brown, il protagonista dei suoi romanzi, che lo tallonava negli ultimi giorni. Tutta la buona volontà e l’esperienza nei casi di mistero di Basil Grant non furono sufficienti perché l’investigatore allontanasse il sospetto che davvero lo scrittore fosse vittima di allucinazioni o di un terribile stato di prostrazione dovuto ad un qualche esaurimento nervoso; e in questo Grant non ci trovava niente di strano, supponendo che la predisposizione di un creativo, di un sognatore quale Chesterton doveva essere, fosse quella di farsi trasportare, suggestionare dalla propria fervida fantasia, fino a non distinguere più il confine tra immaginario e reale. Del resto, ogni genio – e Chesterton lo era nel campo letterario,-  è portato a tenere la testa fra le nuvole, a sognare ad occhi aperti, a confondere insieme l’elemento fisico con i cieli metafisici, e questo dovrà pur comportare qualche scompenso. E chi sia abituato a giudicare ogni cosa con il metro della logica o peggio del profitto e della razionalità, pensava Grant, non può capire quanto invece l’elemento fantastico, l’arcano, l’ignoto, l’eccezionale possano interferire nella vita degli uomini di genio fino a pericolose derive, finanche alla dissociazione, nei casi più estremi, allo sdoppiamento di personalità, al conflitto interiore, alla patologia. Questo poteva essere il caso dello stravagante Chesterton, pensò fra sè e sè l’investigatore privato, quando ad un tratto quello ebbe un soprassalto, mollò l’amico e si precipitò fuori da casa, in strada, seguendo chissà quale disegno della sua mente, quale orchestrata sinfonia, quale magica parvenza, quale sopravvenuto ghiribizzo, quale fola di scrittore, quale desiderio di creativo. Dall’altra parte della strada, Grant, che lo seguì precipitosamente, scorse in effetti un omino brizzolato con una tonaca nera che andava troppo veloce per farsi riconoscere (ma, pur essendo un prete, rimuginava l’investigatore, chi poteva confermargli che si trattasse di una specie di fantasma, ovvero proprio di Padre Brown?).  Chesterton, mentre attraversava furiosamente la strada senza badare al traffico metropolitano, impattò in una macchina di passaggio e l’urto fu violento, così forte che non ci fu scampo. Lo scrittore morì sul colpo, non prima di avere pronunciato queste ultime incomprensibili parole: “quel pretucolo da strapazzo, lo avrei dovuto sapere, ahhh… quel dannato prete cattolico,…sarei dovuto restare protestante!”

PAOLO VINCENTI

Liberamente ispirato alla vita e alle opere di G.K. Chesterton (1874-1936).


5 risposte a "Paolo Vincenti: Visioni di G.K. Chesterton"

  1. Grazie Paolo! E chissà se non aveva ragione alla fine visto che i cattolici, che volevano farlo santo, hanno poi interrotto la causa di canonizzazione di Chesterton, mentre la Chiesa episcopale degli Stati Uniti, parte della Comunione anglicana, invece commemora Chesterton il 13 giugno di ogni anno.

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  2. ah ah… infatti Abele, ho voluto giocare proprio su quello nella mia conclusione e ad un raffinato conoscitore di letteratura quale sei non poteva sfuggire…

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  3. Chesterton è un autore che amo in modo particolare, soprattutto per “il Napoleone di Notting Hill” e ancor di più per “le avventure di un uomo vivo” piuttosto che le opere con padre Brown. e detto questo (che in fondo non c’entra niente), aggiungo che a mio avviso non gliene fregava una cippa di essere fatto beato, santo o meno…
    : )))
    resta il fatto che il racconto è ben scritto (qualche concetto ribadito/reiterato più volte poteva essere sfrondato) e si legge d’un fiato con soddisfazione.

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