
Romanesque di Antonella Rizzo
Autore: Antonella Rizzo
Curatore: Iolanda La Carrubba, Valerio Di Gianfelice
Illustrato da: Stefano Salvi
Collana: Poesia-Imago
Pagine: 36
EAN: 9788831380157
€: 10,00
La plaquette nata dall’unione delle poesie romane-sque di Antonella Rizzo e le opere in tecnica mista di Stefano Salvi si sviluppa su due linee narrative parallele. Se da un lato la profonda esperienza poetica femminile, colta e raffinata, conduce in una riflessione interiore, in un’intimità che non devasta ma assume valore di ri-nascita, dall’altro l’elemento pittorico, energico, ri-vitalizzante si fa portavoce di esperienze altre. Il segno, il gesto, l’evoluzione del tratto suggeriscono una mappa segreta, inconscia, fatta di sentieri oscuri e dedali onirici.
Le poesie sono legate a luoghi della città con echi visionari che prendono forma nelle opere, dando origine a un viaggio immaginifico in una Roma attraversata da figure in penombra e forme psichedeliche.
Qui nella città eterna le strade diventano incontro e non distanza o separazione. L’eternità viene così rappresentata dall’unione di due stili distinti e riconoscibili nella loro espressione, dove si estende la visone del Logos, adesso trasmutato in viaggio esperienziale.
EscaMontage (I.L.C. – V.D.G.)
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Prefazione di Ilaria Palomba
Romanesque è una silloge dedicata ai luoghi e ai fantasmi di Roma, una Roma barocca, dove la vita è morte e la morte è vita, una Roma rosselliana e pasoliniana, dove al posto delle lotte politiche campeggiano spettri. Spettri, parola che sembra contraddistinguere il nostro tempo, segnato da pandemie e false ideologie, da una rinascenza orrorifica, testimoniata anche dal rinnovato interesse delle case editrici per questo genere in passato così bistrattato. Antonella Rizzo, nei suoi eleganti versi, che sempre mi hanno fatto pensare a un’Antonia Pozzi, o a una Sibilla Aleramo trasposta in poesia, nell’eleganza gotica di sguardi immateriali, dipinge un presente intriso di morte. Ciò che torna è il biancore irreale di una civiltà in declino, un biancore che stinge sulle crepe dei palazzi, che misura la distanza delle piazze, delle strade, tra loro. Sono città infestate le sue, disabitate dai vivi e abitate da fantasmi, che oltre a essere ombre di singoli esseri umani, come l’uomo che fuma veleno, sono i fantasmi dell’intera umanità. Ci stiamo congedando dal tempo, e dallo spazio, abituati ormai a un virtuale che ha deglutito il reale, a una sovversione di tutte le ideologie in vuoto, il vuoto abnorme che separa i vissuti dai fatti, come se non esistessero più, e anche il presente, talvolta risucchiato dalla presenza di un’alterità disarmante e radicale, ci pone dinnanzi a ciò che può essere diventato il quotidiano. Il paradiso diventa una pace tra le cromie che sudano sangue, i divani sono pieni di spiriti, le cui risate le sente il cielo. I rioni, le strade, le piazze qui presenti sono una fotografia color seppia di una Roma che si avvia al suo infinito declino. Largo Ventosa Visconti, Isola Tiberina, Via dei Serpenti, Teatro di Marcello, Piazza Caterina Cicetti, Scalo ferroviario di San Lorenzo, via Piemonte, Salita del Grillo, Orto Botanico, Borghesiana, Fontana di Trevi, sono altrettanti luoghi di oblio, dove regna la memoria e si dissolve il presente. E i luoghi, che tanto ci sono cari, diventano palcoscenici di un al di là.
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