
a tarda sera cancellare le anomalie dell’imprudenza un bicchiere, il resoconto e il debito inevitabile quanto darei per le fughe di houdini * attorcigliato sconquassato soltanto ipotizzato: stritola piano, questo pantheon di itterici la meccanica uno due e poi ancora uno due tre quattro ansie inconsapevoli circonvenzione di carapaci virgole, al massimo sul letto, a trascorrere morituri moribondi un rintocco, è l’ora e la luce si spegne da sola * un po’ come se fossi sotto esame per quella eclatante miopia che è impossibile non sottolineare una soluzione perseguibile potrebbe essere quella di coprire il soffitto con un’etichettatura dal contenuto immutabile negli ultimi giorni stavi ipotizzando anche un ispessimento della membrana pensa invece a quanto sarebbe più facile mostrare la fronte al vento * per chi? per te, forse, ma non per me l’hai spezzato tu quando hai voluto e, con le sembianze di atropo, mi hai trasformato in un ritmo secco recalcitrante mi sono aggrappato alla polvere delle lenzuola, alla mole delle inibizioni volevi convincermi dell’urgenza della fenice e se ti dicessi ora che la ruota non ha forza? continueresti a volteggiare come un’ancella pur sapendo che il tramonto si accende solo se lo ascolti? mi sei costata troppo, anima di sapone

Postfazione
di Ilaria Triggiani
Cosa fa di un verso, una poesia? Cosa rende un uomo, anche un poeta? Sono queste le domande da porsi al termine di Affreschi strappati, terza pubblicazione di Giuseppe Settanni, arrivata un po’ insieme alla stessa maturità anagrafica dell’autore. Forse perché, già dal titolo, si avvertiva un senso di rottura, un piccolo momento – o motivo? – di ribellione, un’inquietudine non ancora risolta, ma finalmente rivelata.
Come fece l’immenso Montale negli ultimi anni di vita e in risposta a coloro che incessantemente chiedevano cosa la poesia fosse, quale atto – umano o divino – la rendesse tale, dopo questo libro è lecito ancora domandarselo. Se lo chiede il lettore, ma ancor prima l’autore. Poiché è l’autore il primo destinatario del suo stesso poiéin. Poiché la riflessione sul linguaggio, determinante nella poesia di Settanni, qui diventa umanamente urgente. Poiché da questi versi emerge prepotente una curiosità nuova, rinvenire chi si cela dietro la poesia, e poi ancora dietro il poeta. Come in un gioco di scatole
cinesi. Come se la poesia, l’arte, si potessero spiegare empiricamente. O psicanaliticamente.
Ma il poeta ha la straordinaria dote di affrontare tutto con naturale leggerezza. Anche ora che la materia prende corpo, che il pantone lascia spazio alla scala cromatica, l’ansia non prevale sulla ragione. Il linguaggio si fa più asciutto, quasi tagliente. Il senso metafisico permane, nella forma e nella sostanza, ma questa volta, purezza e misticismo si alternano a modi crudi, talvolta indelicati, quasi l’autore avesse trovato coraggio. Coraggio di squarciare il velo classico della perfezione e gridare al mondo istanze nuove e potenti.
Ecco che allora la celestiale geometria piana dei pensieri si concretizza, lasciando trapelare un umanesimo talvolta sconosciuto. L’inconsistente fluttuare delle prime poesie si sporca un poco di terra e sangue, rendendo l’atmosfera più carnale, esiziale. Pur continuando a giocare abilmente tra sacro e profano, ora il poeta sceglie di stare nel mezzo, in un interstizio corporale fino a oggi inesplorato. Sicuro solo all’apparenza, il poeta procede in una sorta di “dialogo allo specchio”. Talvolta insorge, a volte ripiega, illudendo il lettore di aver smarrito la via.
Sempre più la lirica di Settanni si fa qui ricerca e non risposta. Stupore e disturbo insieme. Verso il mondo e verso se stesso. Come a evocare una verità, ma allo stesso tempo rifiutando di volerla ascoltare. Che sia questo il momento della maturità, anche artistica, dell’autore?
Settanni sembra ancora non curarsene, perché sa che l’arte è libertà e la libertà è da assecondare.
È questa la sua sicurezza, sicurezza della maturità dell’artista: sapere, appunto, che non esiste sicurezza. Così come non esiste risposta. O forse sì. Dietro la poesia c’è il poeta e dietro il poeta c’è l’uomo! È l’uomo che fa dell’uomo stesso un poeta. Inutile nasconderlo! Nasconderlo mai. Confonderlo a volte.
Bravo l’Autore! Questo libro di poesie è AUTENTICO!!!
Sono poesie ricche di emozioni e sentimenti intrise di speranza che tutto ciò che, apparentemente, sembra essersi “dissolto” invece lo si può fissare come quando si appende un quadro ad una parete!
In moti versi e per molti aspetti, le poesie di Giuseppe Settanni mi ricordano l’antica arte del “kintsugi” secondo cui rompendosi, la ceramica prende nuova vita attraverso le linee di frattura all’oggetto, che diventa ancora più pregiata…così le poesie del Settanni proprio attraverso le loro “cicatrici” riescono ad abbracciare il danno senza vergognarsi delle ferite ma, al contrario, rendendo unico quel momento eterno!
Davvero unico!
Super consigliato!!!
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In queste poesie ermetiche di Giuseppe Settanni ci vedo tutta l’inquietudine e la vacuità di certi aspetti del nostro tempo…e il desiderio di ritrovare le vere essenze della vita…
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