
Vendette 2000 copie, cadde nell’oblio e diventò un best seller cinquant’anni dopo.
Ripubblicato nel 1972 e tradotto in Francia nel 2011, raggiunse il successo planetario diversi anni dopo la morte del suo autore.
John Edward Williams nasce nel 1922 da una famiglia di modeste condizioni economiche. Prende parte alla Seconda guerra mondiale dal 1942 al 1945. Dopo il ritorno in patria, si trasferisce a Denver per frequentare l’università e studiare storia dell’arte. Scrive il romanzo “Nothing But the Night” (1948) e la raccolta di poesie “The Broken Landscape” (1949). Conseguito il dottorato di ricerca in letteratura inglese all’università del Missouri, nel 1954, ritornerà all’università di Denver come insegnante di scrittura creativa.
Nel 1965 pubblica il suo terzo romanzo “Stoner”, nel 1972 pubblica “Augustus” e vince il National Book Award nel 1973. Muore nel 1994, durante la stesura del suo quinto romanzo, rimasto incompiuto.
“Stoner”: “il romanzo perfetto”.
La storia è lineare. Stoner – così si chiama il protagonista – nasce da una famiglia di poveri contadini nel 1891. Diventa professore di letteratura nonostante la delusione dei genitori che lo credevano iscritto alla facoltà di agraria. Si sposa con Edith, una strana e misteriosa ragazza che trasforma il loro matrimonio in un vero incubo e manipola la figlia sotto gli occhi impotenti di Stoner. Dopo i fallimenti della vita famigliare Stoner convoglierà tutte le sue energie nell’insegnamento e alla carriera che sarà stroncata quando Stoner rifiuterà di piegarsi agli intrighi dell’università che lui considera una sorta di “tempio laico”, un luogo puro, dedicato allo studio dell’Arte e della Verità. A pag. 41, Stoner, neoassunto all’università, conversa, seduto a un tavolo del loro bar preferito, con Masters e Finch, suoi amici e colleghi: “ Masters alzò un uovo sodo dal buffet come se fosse una sfera di cristallo e disse: Signori, avete mai riflettuto sulla vera natura dell’università? Mr Stoner? Mr Finch? –
I due sorrisero e scossero la testa.
– Scommetto di no. Il qui presente Stoner, immagino, la vede come un grande deposito, come una biblioteca o un magazzino, dove gli uomini entrano di loro spontanea volontà e scelgono ciò che li rende completi, dove tutti lavorano insieme come api in un alveare. La Verità, il Bene, il Bello. Sono appena dietro l’angolo, nel corridoio accanto; sullo scaffale più in alto, dove non sei ancora arrivato. Ma un giorno ci arriverai. E quando succederà…quando succederà… – Contemplò l’uovo ancora per un istante, poi gli diede un gran morso e lo passò a Stoner, con le mandibole all’opera e un lampo negli occhi scuri.” (pag. 41 ed. Mondadori 2020)
Questo grande deposito, il magazzino, l’alveare che è l’università, il centro del Sapere è però anche metafora della vita stessa, degli ideali e delle grandi speranze, anche di crescita personale, disilluse. Stoner si potrebbe tradurre come “l’uomo di pietra” . Stoner, come una pietra gettata nell’universo della vita, resta impassibile agli eventi, morendo nel suo letto abbracciato al suo unico libro scritto.
Perché i romanzi con protagonisti i professori ci piacciano tanto.
Da “Senilità” di Svevo, a “Vergogna” di Coetzee nel quale il protagonista professore è accusato di molestie sessuali, al professore ebreo di Saul Bellow, ai docenti e critici letterari di 2666 di Bolaño, molti sono i professori protagonisti di romanzi. In generale, le storie si assomigliano (che farà mai di tanto speciale un professore?), ma ognuna sottolinea la grandezza del suo autore. “Stoner”, il professore di Williams, è totalmente in balia degli eventi (“Sentiva di avere poco da offrire a se stesso, e che non c’era molto da scoprire dentro di sé.” Pag. 49). Ambizioso, ma non abbastanza scaltro, si lascia andare alle passioni e poi rinuncia per questioni di praticità.
Stoner, e gli altri professori descritti nei romanzi, un po’ ci assomigliano: l’uomo medio, con le sue debolezze, gli ideali sempre accantonati. I romanzi che narrano di professori risvegliano in noi i sentimenti ambivalenti verso questa figura professionale con la quale abbiamo a che fare sin dalla tenera età. Entità misteriose, idealizzate, dedite alla nostra crescita intellettuale, che un po’ amiamo e spesso odiamo; che abbiamo ascoltato per giorni e anni sempre e solo da dietro la cattedra. Ecco: l’uomo dietro l’insegnante, è quello che vogliamo conoscere.
“Stoner” è di lettura gradevole.
Niente sottotrame, intrecci. Il romanzo inizia con la nascita del personaggio e finisce con la sua morte.
Bisogna resistere alla tentazione di abbandonare durante le prime pagine che servono per acclimatare il lettore a una lettura lenta, così lontana da certe caotiche letture postmoderne. “Stoner”, poi scorre come le rive del Nilo viste dalla barca: affascinanti, sempre uguali, ma a ogni piccolo cambiamento di paesaggio avviene un sussulto interiore. “Stoner” è un libro di sussulti. Difficile non affezionarsi a ciascuno dei personaggi di questo libro che, come Stoner stesso, sembrano degli oggetti abbandonati, dimenticati, senza importanza.
Non ne faranno mai un film. È un libro cult. Il mondo ha scoperto un grande narratore con cinquant’anni di ritardo. Piace a tutti. È necessario leggerlo se ne vogliamo parlare, perché non ne faranno mai un film.
Patricia Schneider
Grazie, Patricia, aggiungo anche questo alla mia lunga lista di libri da leggere. Forse la novità del romanzo è proprio nella sua linearità, nell’”iniziare con la nascita del personaggio e finire con la sua morte”. Non ci siamo, probabilmente più abituati – pensavo, ad esempio, a 2666 di Bolaño, che citi e che invece è fitto di trame e sottotrame. L’idea che mi sono fatto della storia di Stoner è quella della vita come perdita continua, di un procedere per “sottrazioni” che coincide con la solitudine estrema; leggendolo, capirò quanto questo procedere sia, in Stoner, più o meno inevitabile…
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Grazie Abele per aver letto. Tutta la letteratura parla di solitudine, diceva D.F.Wallace. Per lo meno, a scrivere si è meno soli e a leggere, spesso in buona compagnia…:-)
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