
Mario Scalisi (Tunisi 1892 – Palermo 1922) nasce a Tunisi da padre italiano emigrato da Palermo e da una madre di origine sarda e maltese. Allora la Tunisia era una terra di emigrazione per gli italiani, che erano molto più numerosi dei francesi. La famiglia era umile, il padre lavorava come scambista ferroviario, e la madre come donna di servizio, inoltre avevano sette figli, dei quali Mario era il maggiore. Da bambino all’età di cinque anni cadde dalla scala di casa e si ruppe la colonna vertebrale rimanendo storpiato.
Dopo la scuola esercitò la professione di contabile, collaborando nel frattempo con diverse riviste letterarie tunisine pubblicandovi poesie e articoli di critica letteraria, francesizzando il suo nome in Marius Scalési.
Aderì anche alla Société des É֤crivain de L’Afrique du Nord, pensava che la lingua francese potesse fungere da faro nel costruire una letteratura e uno sviluppo sociale nell’Africa del nord.
Morì a trent’anni per neuroastenia, dall’ospedale di Tunisi fu portato a Palermo in una clinica per malattie nervose, dove morì poche settimane dopo e venne sepolto in una fossa comune.
Le sue poesie vennero pubblicate un anno dopo la morte nel 1923, col titolo: “Les Poemès d’un maudit”, a cura e con l’introduzione della Société des É֤crivain de L’Afrique du Nord. Viene ora considerato come uno dei principali fondatori della letteratura del Maghreb di lingua francese. Leggendole non ho potuto fare a meno di pensare a Baudelaire, a partire dalla prima Lapidation che si rivolge al lettore, e ha la stessa musica della prima poesia dei Fleurs du mal. Ma se la musica è quella, le parole e la sostanza sono profondamente diverse.
In Baudelaire il problema morale del bene e del male è visto in senso profondo ma abbastanza astratto, e riguarda l’uomo in generale nella sua essenza. In Scalési il problema morale e il senso della vita è visto nei suoi aspetti pratici, il dolore per il suo stato, la miseria della sua famiglia e quella di tutti i lavoratori sfruttati e i disoccupati, su tutti pesa come una maledizione leopardiana il destino: un “ brutto poter che ascoso a comun danno impera”.
Di Scalési in italiano c’è il bel volume a cura di Salvatore Mugno edizioni Transeuropa 2021, riporta 46 poesie, ed è molto ricco anche di note e di apparati critici.
Per le mie traduzioni mi baso sull’edizione originale del 1923, che riporta 70 poesie e una nota della Société des É֤crivain de L’Afrique du Nord, la quale dice che il volume costituisce l’opera completa e non sono note altre poesie
Riporto di seguito cinque poesie.
Dove ho potuto, in particolare per la prima Lapidation, che apre il volume, e per Nombres ho cercato di ricreare anche un po’ il ritmo e la melodia.

Traduzione di Giancarlo Locarno
Lapidazione Questo libro se ne frega della gloria non nasce da un gioco cerebrale niente a che fare con “ Le muse nere” gli “Abissi” o i “Fiori del male”. Se contiene qualche verso lugubre sono grida di una vita rivoltata da un’esistenza nelle tenebre non da malinconia premeditata. Storpiato, chiamo la mia giovinezza storia di un paria in lacrime. Sfruttato nella mia debolezza. Deriso per lo spasimo che mi opprime. Poiché , tra i più antichi assiomi lettore, ecco l’asserto più assodato: la maledizione degli uomini asseconda il destino non voluto. Nell’abbandono, nella fame e nella smania, disprezzato come un appestato ho fiorito la mia vita in agonia con un ideale disperato. Raccattando queste pietre affrante nel fondo di un inferno sconosciuto vi lancio le mie ametiste, tutte quante o fratelli che mi avete fottuto. [ “Le muse nere “ citate in questa prima poesia sono un volume di Stanislas de Guaita, uno scrittore che si occupava di occultismo e aveva una certa inclinazione verso il satanismo.“Abissi” è un volume di poesie di Maurice Rollinat anch’egli incline al satanismo e al macabro, ma in modo più ironico, si esibiva con un suo cabaret al “ Chat Noir”.]
Lapidation (Stanislas de Guaita, Maurice Rollinat) Ce livre, insoucieux de gloire, N’est pas né d’un jeu cérébral: Il n’a rien de La Muse Noire, De l’Abîme de Les Fleurs du Mal. S’il contient tant de vers funèbres Ces vers sont le cri révolté D’une existence de ténèbres Et non d’un spleen prémedité. Infirme, j’ai dit ma jeunesse, Celle de parias en pleurs, Dont on exploit la faiblesse. Et dont on raille les douleurs. Car, des plus anciens axiomes, Lecteur, voici le plus certain: Les malédictions des hommes Secondent celles du Destin. Dans l’abandon, dans la famine, Honni comme un pestiféré, J’ai fleuri ma vie en ruine D’un idéal désespéré. Et, ramassant ces pierres tristes Au fond d’un enfer inédit, Je vous jette mes améthystes, Ô frères qui m’avez maudit! L’incidente L’instante in cui cessai di vivere l’avrò per sempre davanti agli occhi. (Quando la speranza chiude il suo libro si capirà di essere morti). Musa, voglio che celebri questa vecchia e banale scala che spezzandomi le vertebre mi forza a non poterla dimenticare. Tu conosci la storia, penso, perché visitavi sempre quei fantastici sogni d’infanzia dove ridevano le mie ingenuità. Era natale, l’inverno d’Africa questo inverno che sembra aprile, fioriva nell’aria balsamica sotto gli spruzzi d’oro del sole. Salivo a prendere il mazzo di carte alla maniera antica ci giocavamo le torte le fave cotte e le noci. La scala era scura io, felice di portare il gioco quando il mio piede scivolò nell’ombra mentre sognavo un cielo blu. Si dice che, fuggendo il sudario di notte, a volte, un trapassato infesti il suo letto di morte per rivivere il passato. Ma queste macabre fughe tutti le negano, ma a torto: io sento scappare i miei pensieri lungo la scala dove sono morto. L’accident L’instant où j’ai cessé de vivre, Je le verrai longtemps encor. (Quand l’espoir a fermé son livre On peut bien dire qu’on est mort). Muse, je veux que tu célèbres Ce vieil et banal escalier Qui, m’ayant brisé les vertébres, Me force à ne point l’oublier. Tu connais l’histoire, je pense, Puisque étaient par toi visités Ces fantasques rêve d’enfance Ou riaient mes naïvetés. C’était Noël. L’hiver d’Afrique, Cet hiver aux avrils pareil, Fleurissait dans l’air balsamique Sous le dorures du soleil. J’allais là-haut chercher des cartes. Une coutume d’autrfois Voulait que l’on jouât les tartes, les féves cuites et le noix. L’escalier était un peu sombre. Heureux, je rapportais le jeu, lorsque mon pied glissa dans l’ombre Comme je songeais au ciel bleu. On dit que, fuyant le suaire, Parfois, la nuit, un trépassé Hante sa chambre mortuaire Pour y revivre le passé. Et ces macabres escapades, Voyez comme on les nie a tort: Je sens fuir mes pensée malades Vers l’escalier où je suis mort. Numeri Se le strofe venissero a sorprendere le mie oscure addizioni? L’aritmetica non è tenera con le baggianate nelle suddivisioni! Contabile, conserva il tuo prestigio! ma sui miei registri aperti imperturbabilmente volteggia l’insidioso sciame dei versi. Sotto la polvere degli armadi sulle scrivanie bisunte di orpelli le mie cifre diventano rami neri per quello stormo blu di uccelli. Nombres Si les strophes venaient surprendre Mes obscures additions? L’arithmétique n’est pas tendre Pour la sottise des rayons! Comptable,garde ton prestige! Mais sur mes registres ouverts Imperturbablement voltige L’insidieux essaim des vers. Sous la poussiére des armoires Or sur le pupitre graisseux, Mes chifres sont les branches noires Où se posent ces oiseaux bleus. Tentazione Mamma, mi hai salvato. Ti dirò come. Ieri Guardavo fuggire le rotaie d’ombra e di ferro, i lunghi binari assassini della linea elettrica, nella bruma, lungo il lago malinconico; il luogo stanco mi sollecitava al lungo sonno. Tra le luci della stazione, su grandi insegne, decifravo, vinto da una sorda speranza, quelle parole misteriose e solenni: “Vietato attraversare i binari. Pericolo di morte.” Ero solo pensavo con tormento: “Le persone temono la morte come si teme una pena, è la mia bella fidanzata dagli occhi d’ebano che mi chiama senza fine al suo letto tenebroso, Da pazzi! Temere il suo bacio amoroso!.” Mi stavo avvicinando tranquillo ai binari, e stendevo la mano sulla rotaia che uccide, quando ho sentito in un singhiozzo improvviso, la tua povera e vecchia voce cercare del pane!. Tentation Mère, tu m’as sauvé. Voici comment. Hier Je regardais s’enfuir les rails d’ombre et de fer, Les long rails meurtriers du chemin électrique, Dans la brume, le long du lac mélancolique; Et, le site assoupi m’incitant au repos, Aux lumières du hall, sur des grand écriteaux, Je déchiffrais, gagné d’une sourde espérance, Ces mots mystérieux et solennels: “Défense De traverser jamais les rails. Danger de mort.” Et je me trouvais seul, pensant avec effort: “les gens craignent la mort comme on craint une peine, La belle Fiancée aux prunelles d’ébène, Qui m’appelle sans cesse à son lit ténébreux, Ô le fous! Redouter son baiser amoureux!” Je m’etais approché, tranquille, de la voie, Et j’etendais la main vers le rail qui foudroie, Mais je perçus alors e un sanglot soudain, Ta pauvre vielle voix qui demand du pain! Il castigo Una notte del trionfo invernale, rabbrividito, entrai in un caffè. Bevvi qualcosa. Era caldo, stavo bene. La pioggia e il vento che morde e attraversa le ossa rendevano la strada un pantano caliginoso. Un deserto; pioggia e vento si flagellavano tra loro. L’acqua inzuppava i marciapiedi e appannava i vetri Dal bar, e sotto il lampione colavano luci stanche, nel punto in cui si biforcavano le linee del tram mostrando rotaie lucenti e terse. Ho intravisto tra fili di pioggia fitta e le ombre il mio vecchio padre avvolto nel cappuccio scuro. Là praticava il suo mestiere di scambista. Senza nessuna speranza di un futuro migliore, Non aveva un riparo, l’acqua scrosciante e vigliacca gli colava nel collo, gli infradiciava i baffi. Lo sentivo tossire al punto di strapparsi i polmoni nello sforzo di sputare. Senza dubbio il mio vecchio espiava qualcosa. Un uomo non viene consegnato, senza motivo, e nell’indifferenza, al furore del cielo. Certamente mio padre era un criminale. Vediamo, trentasei anni di matrimonio con la miseria, lavorava per un magro salario, sempre integerrimo, sempre esatto, sempre sottomesso. Se parlava dei suoi capi li chiamava “I miei amici!” Ma allora, che cosa in lui puniva questa tempesta, il crimine di essere povero, di essere onesto, e di amare il lavoro fino alla passione? A meno che non punisse la sua rassegnazione. Le châtiment Une nuit que l’hiver avait trop triomphé, Tout grelottant de froid, j’entrais dans un café. Je bus. Il faisait chaud. Il faisait bon. L’averse Et la bise qui mord les os et le traverse Avaient fait de la rue un bourbier tenebreux, Un desert; pluie et vent se flagellaient entre eux. L’eau baignait le trottoir et ternissait les glaces Du bar, et, sous le gaz versant des lueurs lasses, Au point où,bifurquant, les lignes des tramways Montraient leurs rails luisants abondamment lavés, J’aperçus,à travers la pluie énorme et l’ombre Mon vieux père voûté dans sa capote sombre. C’est là qu’il exerçait son métier d’aiguilleur. Il n’avait pas l’espoir d’un lendemain meilleur, Il n’avait point d’abri. L’eau ruisselante et lâche Lui coulait dans le cou, lui mouillait la moustache. Je l’entendais tousser au point de s’arracher Les poumons dans l’effort qu’il faisait pour cracher. Sans doute ce vieillard expiait quelque chose. Un étre humain n’est pas ainsi livré, sans cause, Par l’homme indifférent à la furor du ciel. Certainement mon père était un criminel. Voyons. Trente-six ans, épuisé de misère, il avait travaillé pour un magre salaire, Toujours probe, toujours exact, toujours soumis. S’il parlait de ses chefs, il disait: “Quels amis!” Mais alors, ce qu’en lui punissait la tempête, C’était le crime d’être pauvre, d’être honnête, Et d’aimer le labeur jusqu’à la passion? A moins que ce ne fût sa résignation.
Grazie a Giancarlo per queste traduzioni, molto belle, da Marius Scalési, poeta che merita di essere scoperto e sulla cui vicenda esistenziale segnalo il libro di Beatrice Monroy, “Ragazzo di razza incerta”, che racconta come Mariano Scalisi diventa Marius Scalèsi ed è costretto ad abbandonare la Tunisia per concludere la sua vita in Italia in condizione di isolamento. Beatrice Monroy parte dalla definizione che viene data di Scalisi in una cartella del manicomio di Palermo, “ragazzo di razza incerta”, per ricostruire la vita del protagonista che lo porterà ad essere chiuso in manicomio per tre anni, dove muore e il suo cadavere viene sepolto in una fossa comune.
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