Dario Goffredo: da “Alfabeto Affettivo” e “I Cieli della Preistoria”

Dario Goffredo – foto di Mietta De Giosa
Da Alfabeto affettivo, Musicaos Editore, 2020


Lodo molte cose: gli amici
E i bicchieri, il riso e il silenzio,
Il male e il cielo dentro.
Le assurde pretese e la luce
Dell’alba. Lodo il minuto,
Il piccolo, l’invisibile.
La lama che taglia e le dita,
La ruota che gira, la strada lunga,
Lodo la gioia e la vita.
La mia umanità, che muove a tenerezza.

***

La mia tristezza è frutto
Di anni di esercizio,
Una dura disciplina
A cui mi sottopongo.
La prova di esistenza
Di un me stesso che non conosco.

***

E questo mio secolo ferito, straziato,
Di fosfeni malati e insistenti,
Lampi agli occhi, emicrania, aura
Che ti circonda, m’ammala.
È un secolo nuovo il nostro
Già vecchio l’odore, la luna
Più grande, segnali da sogno.
Una gioia grande, un dolore immenso,
Un giorno da vivere
Parlando al presente.
Il corpo, amor mio,
Abbiamone cura, sia cauto il respiro.
Spegnere tutto, un giorno soltanto.

***

Sono tutte nelle gambe
Le ore di sonno mancate.
Spiegami tu come ci si sente,
Abbassa la radio, dimmi di te.
Ci soffia accanto il vento, s’incanta
Tra le pieghe delle mie rughe.
Ne seguo il profilo col dito,
Affondo, grido.
È tutta una replica, è sempre
Una replica.
Stupisci, spalanca gli occhi.
Lo sapevi che il cielo
Si organizza da sé?
Non è barba ma ruggine
Quella che vedi.

***

Impilo residui di vita,
Come briciole sulla tovaglia.
Tu le raccoglievi, le briciole,
Con la spazzola a rotelle,
Ne cancellavi il segno
A riportare a virginal candore
La vita e le sue conseguenze.
Io impilo e contemplo,
Lascio segni e li cerco,
Mi segno la pelle
E la macchio.
E pace, la chiamo.

***

L’assenza è presenza mutata in silenzio.
Le stagioni non mutano forma
E il gatto muore da solo.
A chi resta dico soltanto
Di non guardarmi troppo male
Troppo a fondo nel bicchiere
Ché non ho nulla per nutrire
La pianta della gioia
O il rispetto per me stesso.
Porto i segni della notte,
Di una lotta troppo dura
Perché resti qualche cosa:
Un po’ di sesso fatto bene,
E l’angoscia gettata nel secchio
Fra residui
Di rara gioia mattutina.
Chiamami scemo, pazzo o coglione,
Sarò la soglia della mia comprensione,
A un passo dal rinascere
Che non colmerò.
Non si impara a vivere vivendo.


***

Poggiare
Il dito dove fa male
E spingere fino a non poterne più.
Sono su un tavolo operatorio.
È una promessa a cui credo
Per amore di vita,
Per una gioia improvvisa,
Per te, che ancora mi chiedi
Soltanto un minuto alla volta.
L’amore non basta e la vita
Non è dove la vedi.
Portami allora un po’ più lontano,
Sono pronto ad andare,
A crederci ancora.

***

Abbiamo mangiato il panino in silenzio,
Il mio amico e io, e bevuto la birra.
Abbiamo guardato il cielo
E mandato in alto due fili di fumo sgraziati.
Ho salutato chi dovevo salutare
E ieri ho fatto l’amore.
Nel sotto della terra non c’è spazio
Per fare l’amore.
Ripenso a quando me ne sono andato
Al dolore preso, a quello lasciato.
La voce del guardiano del parco
Disturba il silenzio, richiama i bambini
A giochi più sobri, più consoni al luogo.
Lecce è brulla e assolata, è Sud
Che se ne infischia, come il gatto
Sull’erba a pulirsi il culo.
Il mio amico ha comprato casa
Da poco, la gioia contagia, ne vivo
Le mie briciole a stare bene, quel poco
Che basta, che serve a scacciare
L’ansia nella primavera che avanza.
“Il fascismo non è mai morto” dico
D’impeto, troppo. Il mio amico
Mi guarda e sorride in silenzio.
Si alza, è ora di andare.


Da I cieli della Preistoria – Antologia della nuovissima poesia pugliese, a cura di Antonio Bux, 2022, Marco Saya Edizioni 

Lo ricordi in bici il grande Moser?
Pomeriggi nello scirocco scalzi
per strada, un gelato al bar
un’orzata la nonna, col caffè nero
la chiamava africana. Tornerà
ancora l’estate di mosche e zanzare
tavolini all’aperto, sigarette
al sole l’ombra è un’oasi lontana
i tuoi seni confondono la vista
e non c’è tempo per dirti ti amo
in un secolo di giostre bruciate.
Per mia colpa.
Zoff, Cabrini e Tardelli i preferiti di mia madre.
Mia colpa. Le bandiere tornate a volare
vittoria diversa, tutti uguali noialtri
ti guardo e sei nuda e bruciano gli occhi
non è la luce di un giorno di giugno
e la pena d’allora scontata per anni.
Mia grandissima colpa.
Un velo nero mi riporta al presente.
È te che voglio. Senza giudizio
e senza alcun orgoglio.

*

L’occidente questa mattina
ha affidato un messaggio
alle rondini in volo.
Amore mio, era scritto,
quanto piange questo secolo
già ferito e quasi sconfitto.
L’incidente questa mattina
ha turbato la pace in campagna.
Amore mio, diceva un biglietto,
la spesa per oggi è già fatta
torno presto, tu piangi.
L’occidente questa mattina
dalla mia finestra
ha i colori di un quadro di Rossetti
e la silenziosa pena
di un’Ofelia caduta in scena.
L’occidente questa mattina
ha sciolto le catene
alla bestia più nera.
L’anima, insomma, quella più vera.

*

Ho messo su un sugo
mangerò una pasta
– la sera non dovresti –
cosa vuoi che cambi.
Stanco di mangiare soltanto
avanzi freddi e resti.
Resti tu nei momenti più scuri
tu che non menti.
Tu che ascolti
le mie noiose vite
sentite alla radio
di nonne e di amanti
vite sofferte
e dico soltanto
che ad avere coraggio
sono sempre i più stronzi.

*

Con quel corpo che è tuo e sento quasi mio
quel corpo che scalda il mio corpo
che se piacere prova lo provo anch’io
in questa palude che è triste preludio.
In questa
palude di niente.
Che se è corpo è fatto di sangue è fatto
di magia è fatto di ossa il corpo che è tuo
ma che si fa mio.

*

In una rivendita dell’usato in provincia ho trovato una statuetta di seconda mano della madonna. Se fosse di Fatima o di Lourdes non so dirlo poiché il mio livello di cattolicesimo è principiante assoluto. Alla madonna degli scartati vanno le mie preghiere.

Lode a te madonna dell’usato
signora dei danneggiati
madre santa degli scartati
proteggi gli usurati
noi che proviamo a scrostarci di dosso
la colpa come vecchia vernice sgrattata
noi ti adoriamo signora degli sfiniti
peccatori d’accatto che neanche in quello siam buoni
regina degli sparpagliati noi ti preghiamo
con propositi maldestri ed esiti incerti
madonna dell’inquietudine noi ti preghiamo aiutaci.
Dario Goffredo. Foto di Mietta De Giosa

Dario Goffredo, nato nel 1974, vive e lavora a Lecce. Ha pubblicato “Atti minimi di sopravvivenza” (Spagine, 2016), “Alfabeto affettivo” (Musicaos, 2020). Compare nell’antologia “I cieli della preistoria. La nuovissima poesia pugliese” a cura di Antonio Bux (Marco Saya Editore, 2022)


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