
Da Alfabeto affettivo, Musicaos Editore, 2020 Lodo molte cose: gli amici E i bicchieri, il riso e il silenzio, Il male e il cielo dentro. Le assurde pretese e la luce Dell’alba. Lodo il minuto, Il piccolo, l’invisibile. La lama che taglia e le dita, La ruota che gira, la strada lunga, Lodo la gioia e la vita. La mia umanità, che muove a tenerezza. *** La mia tristezza è frutto Di anni di esercizio, Una dura disciplina A cui mi sottopongo. La prova di esistenza Di un me stesso che non conosco. *** E questo mio secolo ferito, straziato, Di fosfeni malati e insistenti, Lampi agli occhi, emicrania, aura Che ti circonda, m’ammala. È un secolo nuovo il nostro Già vecchio l’odore, la luna Più grande, segnali da sogno. Una gioia grande, un dolore immenso, Un giorno da vivere Parlando al presente. Il corpo, amor mio, Abbiamone cura, sia cauto il respiro. Spegnere tutto, un giorno soltanto. *** Sono tutte nelle gambe Le ore di sonno mancate. Spiegami tu come ci si sente, Abbassa la radio, dimmi di te. Ci soffia accanto il vento, s’incanta Tra le pieghe delle mie rughe. Ne seguo il profilo col dito, Affondo, grido. È tutta una replica, è sempre Una replica. Stupisci, spalanca gli occhi. Lo sapevi che il cielo Si organizza da sé? Non è barba ma ruggine Quella che vedi. *** Impilo residui di vita, Come briciole sulla tovaglia. Tu le raccoglievi, le briciole, Con la spazzola a rotelle, Ne cancellavi il segno A riportare a virginal candore La vita e le sue conseguenze. Io impilo e contemplo, Lascio segni e li cerco, Mi segno la pelle E la macchio. E pace, la chiamo. *** L’assenza è presenza mutata in silenzio. Le stagioni non mutano forma E il gatto muore da solo. A chi resta dico soltanto Di non guardarmi troppo male Troppo a fondo nel bicchiere Ché non ho nulla per nutrire La pianta della gioia O il rispetto per me stesso. Porto i segni della notte, Di una lotta troppo dura Perché resti qualche cosa: Un po’ di sesso fatto bene, E l’angoscia gettata nel secchio Fra residui Di rara gioia mattutina. Chiamami scemo, pazzo o coglione, Sarò la soglia della mia comprensione, A un passo dal rinascere Che non colmerò. Non si impara a vivere vivendo. *** Poggiare Il dito dove fa male E spingere fino a non poterne più. Sono su un tavolo operatorio. È una promessa a cui credo Per amore di vita, Per una gioia improvvisa, Per te, che ancora mi chiedi Soltanto un minuto alla volta. L’amore non basta e la vita Non è dove la vedi. Portami allora un po’ più lontano, Sono pronto ad andare, A crederci ancora. *** Abbiamo mangiato il panino in silenzio, Il mio amico e io, e bevuto la birra. Abbiamo guardato il cielo E mandato in alto due fili di fumo sgraziati. Ho salutato chi dovevo salutare E ieri ho fatto l’amore. Nel sotto della terra non c’è spazio Per fare l’amore. Ripenso a quando me ne sono andato Al dolore preso, a quello lasciato. La voce del guardiano del parco Disturba il silenzio, richiama i bambini A giochi più sobri, più consoni al luogo. Lecce è brulla e assolata, è Sud Che se ne infischia, come il gatto Sull’erba a pulirsi il culo. Il mio amico ha comprato casa Da poco, la gioia contagia, ne vivo Le mie briciole a stare bene, quel poco Che basta, che serve a scacciare L’ansia nella primavera che avanza. “Il fascismo non è mai morto” dico D’impeto, troppo. Il mio amico Mi guarda e sorride in silenzio. Si alza, è ora di andare. Da I cieli della Preistoria – Antologia della nuovissima poesia pugliese, a cura di Antonio Bux, 2022, Marco Saya Edizioni Lo ricordi in bici il grande Moser? Pomeriggi nello scirocco scalzi per strada, un gelato al bar un’orzata la nonna, col caffè nero la chiamava africana. Tornerà ancora l’estate di mosche e zanzare tavolini all’aperto, sigarette al sole l’ombra è un’oasi lontana i tuoi seni confondono la vista e non c’è tempo per dirti ti amo in un secolo di giostre bruciate. Per mia colpa. Zoff, Cabrini e Tardelli i preferiti di mia madre. Mia colpa. Le bandiere tornate a volare vittoria diversa, tutti uguali noialtri ti guardo e sei nuda e bruciano gli occhi non è la luce di un giorno di giugno e la pena d’allora scontata per anni. Mia grandissima colpa. Un velo nero mi riporta al presente. È te che voglio. Senza giudizio e senza alcun orgoglio. * L’occidente questa mattina ha affidato un messaggio alle rondini in volo. Amore mio, era scritto, quanto piange questo secolo già ferito e quasi sconfitto. L’incidente questa mattina ha turbato la pace in campagna. Amore mio, diceva un biglietto, la spesa per oggi è già fatta torno presto, tu piangi. L’occidente questa mattina dalla mia finestra ha i colori di un quadro di Rossetti e la silenziosa pena di un’Ofelia caduta in scena. L’occidente questa mattina ha sciolto le catene alla bestia più nera. L’anima, insomma, quella più vera. * Ho messo su un sugo mangerò una pasta – la sera non dovresti – cosa vuoi che cambi. Stanco di mangiare soltanto avanzi freddi e resti. Resti tu nei momenti più scuri tu che non menti. Tu che ascolti le mie noiose vite sentite alla radio di nonne e di amanti vite sofferte e dico soltanto che ad avere coraggio sono sempre i più stronzi. * Con quel corpo che è tuo e sento quasi mio quel corpo che scalda il mio corpo che se piacere prova lo provo anch’io in questa palude che è triste preludio. In questa palude di niente. Che se è corpo è fatto di sangue è fatto di magia è fatto di ossa il corpo che è tuo ma che si fa mio. * In una rivendita dell’usato in provincia ho trovato una statuetta di seconda mano della madonna. Se fosse di Fatima o di Lourdes non so dirlo poiché il mio livello di cattolicesimo è principiante assoluto. Alla madonna degli scartati vanno le mie preghiere. Lode a te madonna dell’usato signora dei danneggiati madre santa degli scartati proteggi gli usurati noi che proviamo a scrostarci di dosso la colpa come vecchia vernice sgrattata noi ti adoriamo signora degli sfiniti peccatori d’accatto che neanche in quello siam buoni regina degli sparpagliati noi ti preghiamo con propositi maldestri ed esiti incerti madonna dell’inquietudine noi ti preghiamo aiutaci.

Dario Goffredo, nato nel 1974, vive e lavora a Lecce. Ha pubblicato “Atti minimi di sopravvivenza” (Spagine, 2016), “Alfabeto affettivo” (Musicaos, 2020). Compare nell’antologia “I cieli della preistoria. La nuovissima poesia pugliese” a cura di Antonio Bux (Marco Saya Editore, 2022)
Un dettato intenso in uno stile piano che emana tutto un suo nitore. Un fare poesia che si fa lirico e testimone della vita e delle sue contingenze.
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