IONELSE
IL FANTASMA (1981)
Fu all’inizio uno studio. Scrivevo Silenzi,
notti,segnavo l’inesprimibile. Fissavo vertigini.
Rimbaud
I
Sentivo stamani un suono
mi è parso
di udirlo a lungo
vederlo camminare.
Come tremi!
Trema anche quella tenda
dal caldo tessuto uterino.
Mi vedi da lì dietro?
Mi senti da lì dietro?
Vieni –
siediti –
ascoltami Fantasma.
Laviamoci le Orecchie!
Mi vuoi domandare, Fantasma?
Mi vuoi cullare, Fantasma?
La vuoi una cicca, Fantasma?
Tieni –
prendila –
ascoltami Fantasma.
Togliti quel trucco.
Hai trucco sul viso?
Che volto hai, Fantasma?
Hai gli zigomi rotti?
Siediti lì
sulle dune di polvere
sul mio deserto.
Non spegnere gli occhi.
Guardami Fantasma!
Eh! Lo so – è molto
povero qui.
Ragni. Marciume:
Povero da fare pietà.
Non essere pietoso Fantasma,
perché la casa,
attendendoti, si è lasciata
andare.
II
Mi sono immerso a capitombolo
nel buio: l’eco nella mente
suono della mente.
L’unica ricchezza
è questa
che vaga nella notte
di riflesso t’illumina.
Chissà, Fantasma,
se nella marea lenta
alzarsi a sovrastarti
c’è luminosità
quanto la luce verde
di questa stanza.
C’è più gelo,
Fantasma,
nel buio che nel mare.
C’è più velo,
Fantasma,
nel mare che nel buio.
Galleggia ed entra nelle bocche felici
posandoti sui palati.
Io parlo di morte:
tu mi senti, Fantasma?
Vorrei che tu restassi,
anche se hai un corpo a brandelli,
a lungo in questo luogo.
III
Ho passato notti a gridare
prima ancora che arrivassi,
ed ho composto un nome
per poterti chiamare.
Ora che puoi sentirmi
posso dartelo un nome?
Ionelse! Ionelse!
Deve penetrarti,
fantasma, questo nome.
Devi assorbirlo –
ma temo,
Ionelse,
che tutto ciò che assorbi
si sciolga
e temo vedere i fumi del tuo nome
esalare per la casa,
Ionelse!
IV
Avevo in mano la matita
sopra la scrivania i fogli;
d’un tratto un balzo
scappai via dalla solitudine
verso una strada
soffocata di luce tenue.
Ascoltami, Ionelse.
Io camminavo
e un vento travolgente
aumentava ad ogni mio passo.
Cosa vuol dire, Ionelse?
Si sono aperte finestre,
spalancate violente!
Affacciata mi è apparsa
una donna coi denti d’oro,
che luccicavano
stupida illuminazione.
Hai sentito, Ionelse?
Anche se stai nascosta,
anche se non vuoi sedere
a fumare con me,
per me è lo stesso –
purché, Fantasma,
da lì dietro mi ascolti.
V
passavo così, inosservato a
me stesso.
Mi sono così, scordato
d’esistere, di respirare.
C’era dinanzi a me uno strato
di colori frementi
non capivo più le persone.
Camminavo senza sapere
l’esatta stabilità delle
mie gambe.
Ho dimenticato
i passi.
Le parole da scrivere –
perché dovevo scriverle.
Perché,
Ionelse mia,
io debbo scrivere poesie?
Cos’ho,
Ionelse mia,
da dire fino a urlare?
La poesia, fantasma,
mica mi aiuterà a spezzarmi come voglio!
Mi aiuterà?
Io quando camminavo
non lo sapevo.
Per alcuni pacati istanti
non ho saputo più niente!
E ho per questo sofferto.
VI
Dovevi essere bella, Ionelse.
Perché hai distrutto il corpo?
Mi piace immaginarti
coi glutei d’una danzatrice –
Brodo di peli incarnati di capezzoli.
Guarda questo ombelico, Ionelse:
non è capace di puzzare!
Il tuo corpo puzza Ionelse?
Sì, puzza!
Sei escremento del mio cervello.
Sei tutto quello che ho scartato.
Sì!, il corpo
tuo puzza.
Sei immondizia nell’intelligenza.
Ti stai odorando?
Con te, fantasma mia,
mi sto ponendo il dubbio
della creazione.
Una creazione
che farà arricciare il naso a molti.
Tu no non puzzi,
Ionelse,
di cadavere.
Ti potrei dire,
fantasma, di che puzzi.
Voglio però
lasciarti lì dietro a pensare
il metodo per annusarti
la puzza!
Siamo identici:
io non posso da me annusare
le mie creazioni.
Tu priva
d’olfatto non puoi da te
annusare la tua puzza.
Perdonami Fantasma –
Perché,
io debbo provocarti.
Io non ti sto invocando
né sto sognando.
Tu non sei un’apparizione.
Tu sei lì dietro mia.
Tu mi appartieni.
E non perché fai parte
di un centro nervoso agitato,
ma perché, Ionelse,
ne sei la padrona assoluta.
Non abbandonarmi, o Ionelse!
Ma se mi lasci solo
fai modo che la tenda tremi
del mio freddo e sgomento
di un vento che comanderai.
Non abbandonarmi, o Ionelse!
Perché dovevi essere bella
ma di te sento e vedo
solo puzza della tua carne.
VII
Ho, Ionelse, il tuo seme!
E sono preda di nausee.
La pinguedine dello stomaco
mi fa ribrezzo.
Pare che io possegga il feto innaturale,
che si muove nell’immobilità mentale.
Pare che io possegga l’innatura dentro,
senza alcuna forma umana.
Si colora di verde
lo stomaco.
Bile e merda porosa.
Assenza della ragione.
Potenza
dell’immagine sudicia.
Rotta la gigantesca
pellicola della luce;
il cuore non batte.
L’orecchio non avverte.
Livido naufrago.
Cadavere profumato
di merda essiccata,
Ionelse,
cibarmi della tua carne,
per nutrire il feto, dovrò.
VIII
Gli escrementi dell’arte
m’attraversano il corpo,
scendono, gonfiano le natiche.
Scendono per le cosce,
per quelle oscure vie.
Ora si fermano.
Nelle ginocchia.
Li sento dentro le ginocchia.
Puzzano più di te,
fantasma mia,
le ginocchia rigonfie.
Lavami le Ginocchia!
Tu credi nei poeti, Ionelse?
Ma chi sono i poeti, Fantasma?
Degli esseri morti?
O debbono saper morire.
Leggeri e trasparenti
come le loro lacrime.
Fammi cadere,
le ginocchia mi dolgono.
Sono tutte molli di merda.
Osserva l’alone che lascio
appena m’alzo.
Due cerchi maleodoranti
che s’alzano nell’aria.
C’è il piacere e il fetore
d’inginocchiarsi!
IX
Se i tuoi occhi vedono,
non schernirmi –
io voglio divertirti
prima che venga notte.
Ho cerone sul viso.
Maschera sugli occhi.
E suono una tromba.
O un tamburo?
trombatamburo.
L’ascolti, Ionelse,
la tromba del mare?
l’ascolti, Ionelse,
il tamburo del fondale?
Il tempo è mare.
Il sogno è mare.
Il cuore è mare.
Il verbo è mare.
Tutto ritorna in acqua
e si bagna si bagna,
nulla di più.
Non c’è monotonia mentale.
C’è, cara Ionelse,
il monologo con l’infinito stracciato.
L’assillante fulgore
del tempo annegato,
iniettato nel nostro sangue.
Ionelse mia,
dove potrei andare a morire
se non nel grembo del mare?
g e t t a r s i,
scaraventarsi giù
amorfo tra labbra d’alghe.
X
Galleggio nel buio.
Il giorno è andato via.
Non sono, io,
in ginocchio per te.
La merda si è seduta
nuovamente al suo posto.
Ti sembro un essere umano, io?
Ci pensi, Ionelse, agli uomini
che vivono di semplicità?
A quelli contenti solo di mangiare?
Che cadono e si rialzano
e si rialzano senza amarezza?
Io, se cado,
m’alzo e m’alzo perduto.
Perché,
cara Ionelse, io se cado,
sono la figura della decadenza umana.
Mi rialzo, io,
e medito notturno. Assurdo
vaneggio la caduta.
È tardi, vero, Ionelse?
Dormiamo.
Dove vuoi dormire?
Io quando m’agito la notte
disturbo.
Io ti disturberò.
Ma tu preghi nel buio?
XI
Dormire significa
prepararsi al domani?
Per quale speranza
dovrò alzarmi domattina?
La notte traboccante idee –
ma il mattino le spegne.
Non m’alzerò domani!
Mi coloro in silenzio
Al buio,
nell’oscuro delicato,
mi vesto d’allegoria.
Soliloquio dormiveglia!
Lo sgomento!
Veramente posso
svegliarmi anche morto
domani.
Se dormire vuol dire
affrontare il domani.
XII
Domani, al mattino,
domani qualcuno può entrare
a bagnarci di novità
di cose avide di sensazione.
Io dormo e sogno che cado.
Che uccido.
Che mi imprigionano.
Che calpesto ceneri umane.
Che incateno l’ego inutile.
Domani, al mattino,
chi potrebbe venire, Ionelse?
Dovrei ascoltarlo.
Dovrei squadrarlo.
Domani arriverà qualcuno:
mi troverà stranamente morto!
Ionelse, Ionelse,
mentre tu dormi io mi suicido
a testa in giù nel sonno.
XIII
Mi sono svegliato magro stamattina.
La magrezza
dell’assenza di speranza.
Lì, dietro una tenda di tessuto uterino –
Non pare ci sia il tempo
davanti a me.
La frustrazione viene dal sogno;
quando non riesci più a districarti
abbandonati senza riaverti.
Che cosa
potevo darti da Mangiare?
Che cosa
potevo darti da mangiare?
Parole...
non saresti vissuta!
dal 26 febbraio al 3 marzo 1981
6 risposte a "Maurizio Manzo – Ionelse il fantasma"
L’ha ripubblicato su ilcollomozzoe ha commentato:
I
Sentivo stamani un suono
mi è parso
di udirlo a lungo
vederlo camminare.
Come tremi!
Trema anche quella tenda
dal caldo tessuto uterino.
Mi vedi da lì dietro?
Mi senti da lì dietro?
Vieni –
siediti –
ascoltami Fantasma.
Laviamoci le Orecchie!
mentre leggevo il nome del fantasma s’è spontanea(econella)mente sillabato in “Io nel sé”.
ed in effetti, l’io narrante è tutto ripiegato su se stesso: un flusso di coscienza, più che un dialogo dove tutto, financo ciò che non parrebbe, è parto di un ritorno a casa…
la solitudine, l’angoscia, la doppiezza della mente (mente anche quando dice il vero), il processo creativo come atto chimico-fisico “corporale” quanto il bisogno… la merda è letame, la puzza è vita (eh, proprio per questo i Poeti spesso si sentono in dovere d’essere altezzosi, per avere… la puzza sotto al naso), il rituale come esorcismo, il fetore che diventa feto (autofagia dell’essere infinito), la tromba del mare (la tomba del male), il gettarsi amare (titolo di un famoso romanzo) e infine, rotte le acque, la creazione che nasce morta (come potrebbe essere altrimenti? è viva finché è in gestazione, finché è io-nel-sé, ma non appena cristallizza *venendo* al mondo esterno è per definizione un reperto imbalsamato, un prodotto finito).
molto bella in tal senso, anche la chiusa, dove l’idea di aggiungere parole al poemetto in fieri, di dargli da mangiare altre parole, diventa stratagemma (inutile) per tenerlo ancora in vita in sé.
nel complesso, anche se il flusso bio-poetico in qualche incavo “ristagna” e “ostenta”, direi che lascia il segno e si fa amare (almeno dal nano) per il coraggio e la potenza evocativa delle immagini… vieppiù, mi ha fatto piacere leggerti in questa versione quasi ibrida di poeta/narratore
: ))
(ps: a un certo punto compare “12 Maurizio Manzo – Ionelse il Fantasma”… perché?)
grazie malos! anche per il refuso… che sia la poesia quel fantasma, con puzza e accessori vari, ovvero la natura stessa e quindi dio (quello spinoziano se non altro, se proprio dovesse esistere)? p.s. gran bel romanzo il gettarsi amare!
Carissimo Malos, il gettarsi amare è il titolo di un famosissimo e grande romanzo 🙂 …eh, il coraggio veniva dai vent’anni, non so se hai letto la data di “gestazione” e parto e più che mai del vuoto successivo, dove i i dialoghi con sé stessi erano frequenti e spesso senza risposte.
Grazie dei tuoi soliti grandi commenti-analisi e complimenti anche per l’omaggio alla cara Nina.
Un abbraccio
mm
L’ha ripubblicato su ilcollomozzoe ha commentato:
I
Sentivo stamani un suono
mi è parso
di udirlo a lungo
vederlo camminare.
Come tremi!
Trema anche quella tenda
dal caldo tessuto uterino.
Mi vedi da lì dietro?
Mi senti da lì dietro?
Vieni –
siediti –
ascoltami Fantasma.
Laviamoci le Orecchie!
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Un poema da stringere il cuore. Bello.
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Grazie, un abbraccio!
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mentre leggevo il nome del fantasma s’è spontanea(econella)mente sillabato in “Io nel sé”.
ed in effetti, l’io narrante è tutto ripiegato su se stesso: un flusso di coscienza, più che un dialogo dove tutto, financo ciò che non parrebbe, è parto di un ritorno a casa…
la solitudine, l’angoscia, la doppiezza della mente (mente anche quando dice il vero), il processo creativo come atto chimico-fisico “corporale” quanto il bisogno… la merda è letame, la puzza è vita (eh, proprio per questo i Poeti spesso si sentono in dovere d’essere altezzosi, per avere… la puzza sotto al naso), il rituale come esorcismo, il fetore che diventa feto (autofagia dell’essere infinito), la tromba del mare (la tomba del male), il gettarsi amare (titolo di un famoso romanzo) e infine, rotte le acque, la creazione che nasce morta (come potrebbe essere altrimenti? è viva finché è in gestazione, finché è io-nel-sé, ma non appena cristallizza *venendo* al mondo esterno è per definizione un reperto imbalsamato, un prodotto finito).
molto bella in tal senso, anche la chiusa, dove l’idea di aggiungere parole al poemetto in fieri, di dargli da mangiare altre parole, diventa stratagemma (inutile) per tenerlo ancora in vita in sé.
nel complesso, anche se il flusso bio-poetico in qualche incavo “ristagna” e “ostenta”, direi che lascia il segno e si fa amare (almeno dal nano) per il coraggio e la potenza evocativa delle immagini… vieppiù, mi ha fatto piacere leggerti in questa versione quasi ibrida di poeta/narratore
: ))
(ps: a un certo punto compare “12 Maurizio Manzo – Ionelse il Fantasma”… perché?)
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grazie malos! anche per il refuso… che sia la poesia quel fantasma, con puzza e accessori vari, ovvero la natura stessa e quindi dio (quello spinoziano se non altro, se proprio dovesse esistere)? p.s. gran bel romanzo il gettarsi amare!
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Carissimo Malos, il gettarsi amare è il titolo di un famosissimo e grande romanzo 🙂 …eh, il coraggio veniva dai vent’anni, non so se hai letto la data di “gestazione” e parto e più che mai del vuoto successivo, dove i i dialoghi con sé stessi erano frequenti e spesso senza risposte.
Grazie dei tuoi soliti grandi commenti-analisi e complimenti anche per l’omaggio alla cara Nina.
Un abbraccio
mm
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