
ABELE LONGO, Scrittura con vista, Lecce, Terra d’ulivi edizioni, prefazione di Doris Emilia Bragagnini, 2023, pp. 76.
«Setacci di bagliore in controluce / vecchie ombre incomberanno d’inverno / venti inscrutabili assaliranno le coste // Come resisteremo a nuove prove / Ché vivere in realtà / dovrebbe essere incomodo felice»… È quest’ossimoro, questa coincidentia oppositorum, l’equilibrio salvifico, la medietà che adotta e propugna Abele Longo – leccese cittadino del Mondo, docente quotato e agile sinesteta presso la Middlesex University di Londra; nonché ecocritico di cinema e poesia, ecopedagogista, autore che passa da Danilo Dolci a Rafael Alberti tradotto da Bodini; dal Cinema di Ciprì e Maresco al collettivo dei poeti per Don Tonino Bello, che fu un incontro – un libro – di strepitosa aderenza e amicizia sincera, duttile accensione spirituale, in un pur laico afflato…
La vita come incomodo felice – o piuttosto la poesia? Squisita la copertina del libro, con la foto della figlioletta che guarda fuori, dal capanno di Dylan Thomas a Laugharne… Questa voglia, propensione, missione stessa dello sguardo, qui delegata alla dolcezza – anche alla curiosità – d’una giovane bimba… nel ricordo d’un poeta che è stato grande, oltre che per la sua qualità, per essersi fatto simbolo d’un modo nuovo di fare poesia, scrivere e vedere, cantare e assuonare versi o immagini…
Torniamo dentro questo libro con la gioia di percorrere anche un catalogo di luoghi, emozioni, stati d’animo, “Foto senza cornice”, e magari una dissolvenza adorabile di “Angeli maldestri”: «gli angeli con me hanno vita strana // sono io che li consolo / maldestri mi somigliano nello spirito / sono angeli che in terra contavano poco // le cui movenze non furono colte»… E ovviamente fanno il paio con tutto ciò che in fondo a lor si addice, e non sono magari riusciti del tutto a evitare, a proteggere: «ragazze vissute senza carezze / scappate in un vestito da sposa fuori misura / bussarono disperate a ogni porta»…
«È uno sguardo temerario sul vero,» – rileva Doris Emilia Bragagnini, poetessa di rilievo lei stessa, libera e devota ai casi veri della vita, cioè della Poesia – «sul limite dell’umano, sulle disuguaglianze sociali, varie fragilità, sulla morte, un perseguimento della sintesi e della sincerità che si avvalgono dell’asciutta creatività verbale, per arrivare vicinissimo all’evocativo voluto.» Infatti: «Scrivere è in minima parte / una giornata di grazia / il resto tabacco masticato / birra che impasta la bocca».
Rispetto al primo periodo dell’autore, ha ragione Doris, qui c’è «una maggiore consapevolezza o amarezza di fondo», ma il traguardo, il fine auspicato è pur sempre la ricerca della bellezza, un auspicio indicibilmente rivolto, avvolto nella Poesia. Situazioni, scene, fermo-immagini, soggettive, piano-sequenze che qui s’assommano e poi sùbito si parcellizzano, e ottengono di investire lo Sguardo d’un ruolo forte, d’un compito ammirevole: rappresentare la vera realtà, farne messaggio e ambasciata, mission e un credo pieno, mistico, solo innervato di schietta identità, autenticità.
«In una terra senza corsi d’acqua / inventai un ruscello dietro casa»… E poi il bellissimo, ironico e disperante “Vate nostro”: «Un poeta è sempre nostro anche quando / fatto santo l’hanno letto a pezzi / dato in pasto alle autorità // diranno i biografi dell’iracondia / come il Copertino tirando in ballo / cartapesta e tufo / una fila di pianoforti / a picco sul mare andaluso // donne dal nome esotico / bisogno di epica / macigno buco oscuro»… Torna in mente Carmelo Bene, la sua splendida pièce su San Giuseppe da Copertino, il povero e scarno santo che volava.
Volano anche questi versi, perché riescono a sollevare pesi e realtà, umiltà e santità, di cui la Puglia è piena. «Né trionfi né gloria senza fatica / arriveranno nuove orde turisti / a cogliere mirto dagli strapiombi».
Plinio Perilli
(recensione scritta per GRADIVA n° 65)

PASQUALE VITAGLIANO, Apprendistato alla salvezza, Latiano (BR), Interno libri, prefazione di Lino Angiuli, 2022, pp. 72.
L’Apprendistato alla salvezza di Pasquale Vitagliano, è un libro magico e accanito, addestrato – temprato – a raccontare un disagio, un malessere, una pena indicibile – e insieme ad apparecchiarsi per farcela, per resistere, per portare a spasso autocoscienza ed energia resistenziale, cioè lotta per la sopravvivenza, e auspicio di virtù salvifiche, in ispecie etiche, sociali, per soccorso insieme alla nuda Realtà e al sentore magico di questa cronaca, che è aspra e inebetita di dolore, di un malessere che sale a invaderci, a corromperci ogni frastornato residuo di gioia, ogni pigra abitudine di salvazione, di fervore lieto.
«Ho bussato a tutte le porte / Qui non c’è più nessuno / Salvo i fantasmi dietro le porte / che spiano furtivi dagli spioncini / spaventati dal rumore della vita / Ora che s’erano acquietati / Dopo la prova che la parola non cura»… Vitagliano (Lecce, 1965), come sempre, è severo e ardimentoso, ama utilizzare questa ghiotta occasione per testare territorio e deriva umana, bilancio poetico e suffragante cronaca scritta, cioè il bilancio stesso della Scrittura (un «Habeas corpus invertito / Sotto il giogo della cura»): «Non mi sembra vero / Di essere riuscito a fare delle parole / Copie che vibrano e dialogano / Non faccio più pensieri ciechi / perché finalmente li tengo qui in fila / Ad uno ad uno sul piano della libreria / faccio attenzione al terrore che è tagliente»…
Un unico, cadenzato poemetto che s’infibra e s’intride di virtù civile come un nuotatore s’impregna del sale salubre del mare, dello iodio decisivo e propedeutico. E il bilancio è sempre più grande di noi, pur devoti agli stigmi e alle stigmate della Realtà: «Tienilo sempre per mano / Che il dolore ti sia disteso / A fianco per tutto il corpo / Irradia luminescente vibra / Tienilo fuori ma dagli la mano / Perché non si dovrebbe piangere / per il latte versato se ti hanno costretto»…
Tra le tante, usuali liriche intonate e che ci circondano sempre un po’ annebbiate e rassegnate – qui invece pulsa, vince l’impegno forte e fiero di presentarsi, indirizzarsi a tutti i signori lettori & fruitori, con gli strumenti di una vasta autocritica, e soprattutto libertà di impennata autocoscienza, o scoscendimento lirico…
“Taranto per noi” s’accede a esempio come una gran bella sorpresa: l’ascolto, l’auscultarsi quasi quale una colpa, una pena accettata e inarginabile: «Com’è agro questo ponte che non c’ha unito affatto / perché i mari sono rimasti due tasche vuote / ed in mezzo una ferita non una spiaggia, il sale amaro.»
Bella questa poesia che corrobora tutti, e tutti chiama ad esserci, ad adempiere, a professarsi tifosi. «Non mi aspettavo una guerra / Per cui non devo combattere / Eppure sono in trincea / con un solo colpo in canna / Così devo difendere la chiave / Da passare al prigioniero». Lino Angiuli, poeta anch’egli importante, severo di estro ma anche cultore d’eticità, elogia il risoluto e accigliato, caparbio cronista di questi allampanati stati d’animo: ardue traiettorie “espressioniste” a rifondare, in fondo, una conversazione, una cognizione affabile e piacevole, elegantemente fuori del tempo.
«Il dolore e la gioia sono gemelli / Siamesi sotto il portico assediato / Prima che spunti il giorno / Atteso nel fiato del silenzio»…
Sì, Pasquale Vitagliano è poeta impegnato; e lo è e lo rimane anche se tutto e tutti intorno – povera Italia servile, al solito, e perfino sospettosa, ambigua con chi è fiero di servire l’Etica, non di servirsene! – vorrebbero quasi avocargli la parola, impedirgli, sabotargli sia l’apprendistato che la salvezza. Che poderosamente invece restano, valgono, fungono. Accadono e combattono!
Buone Nuove per noi e la stessa mappatura dei nostri infausti mala tempora: c’è spazio e tempo anche per una via di fuga. O un meraviglioso punto d’arrivo: «Vedrai che verrà il giorno / per dire la verità su ciò che è stato / Di questi giorni di cui non si può dire…»
Plinio Perilli
(recensione scritta per GRADIVA n° 65)

Tramonto a Punta Ristola
(ad Annamaria C.)
Setacci di bagliore in controluce
vecchie ombre incomberanno d’inverno
venti inscrutabili assaliranno le coste
Come resisteremo a nuove prove
ché vivere in realtà
dovrebbe essere incomodo felice
la malinconia gioia
che si stempera alla partenza
così che avremo colto
se intenti a misurare l’attesa
la sua parabola e l’ellisse
(ABELE LONGO, Scrittura con vista, Lecce, Terra d’ulivi edizioni)

Di sicuro
C’è solo
Che sono vivo
Sì sudo
Ma sto bene
Sudo senza volerlo
Non riesco più a pensare
Come sono arrivato
A questo punto senza sudare
Non c’è alcun calcolo
Nei segni lasciati sulla fronte
Non sono concetti queste gocce
Viscerali e loquaci segnalano
Senza alcuna intenzione visibile
Il momento più eloquente
Che non battezza alcuna bellezza
Ma in silenzio pronuncia il mio nome.
(PASQUALE VITAGLIANO, Apprendistato alla salvezza, Interno libri)

Punti lenti
Dita livide
palpebre rosse
la bambina lavora
che le stelle brillano
si alza che il gallo canta
figura di ossa
impaurita per le forme
il pane costa
carne sangue
cuce in sogno
un tempo per il dolore
una pioggia che allevi il cuore
e l'erba sotto i piedi scalzi
per sentire come prima
del tempo del bisogno
(ABELE LONGO, Scrittura con vista, Lecce, Terra d’ulivi edizioni)

Da dove è caduta
Questa mollica sulla lava
Del tavolo pietrificata e un occhio
Marino s’è raccolto nello stesso punto
Che ha dislocato la scena
Sotto il centro della camera
Dove si svela mia madre che piange
Che ride che è giovane è vecchia
Che è bionda è grigia
Che leva dal tavolo tutte le lettere
Del mio scarabeo perché
Mai ne ho scritto la parola né
Mai ho pensato di trovarmela qui
In questo punto dove mi sono scoperto
Un figlio che vorrebbe essere uno dei mille
Che lei ha levato nella vita degli altri la sua
Che si domanda chi di questi mille fratelli
Per lui un giorno in un punto preciso
Alzerebbe la mano.
(PASQUALE VITAGLIANO, Apprendistato alla salvezza, Interno libri)

Solchi di sabbia
Asperità del grano tra le erbacce
asini sfiancati dalle maree
strade ripide velate al tramonto
dissolve un cielo senza risposte
in tutto questo la poesia
come le rose selvatiche
pesca gli aironi in stormo
la stella del crepuscolo
l’insostenibile controcanto
fuori le labbra del silenzio
(ABELE LONGO, Scrittura con vista, Lecce, Terra d’ulivi edizioni)

Ho bussato a tutte le porte
Qui non c’è più nessuno
Salvo i fantasmi dietro le porte
Che spiano furtivi dagli spioncini
Spaventati dal rumore della vita
Ora che s’erano acquietati
Dopo la prova che la parola non cura
Temendo invece la luce
Che quando sopraggiunge
Mostra la reale sostanze delle cose
Le parole scovate sterili
Sono state lasciate sgomente sull’uscio
La luce la luce è la luce.
(PASQUALE VITAGLIANO, Apprendistato alla salvezza, Interno libri)
Dice bene Plinio Perilli che il corpo della realtà nella poesia di Abele manifesta il carattere bifronte di dolore e dolcezza, come ben rappreentato dal testo della poesia che apre il volume “Volpi” e da “Rondò”, due tra le mie preferite.
La salvezza per Pasquale mi sembra che stia nella socialità, nella partecipazione, nel voler essere “uno dei mille” costruttori di storia.
L’apprendistato è allora la faticosa e lenta rinuncia ad un io lirico per un approdo ad un io allargato al noi nel recupero di una rara poesia civile.
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Grazie Giancarlo, a “Volpi” e “Rondò sono particolarmente legato. Per quanto riguarda la poesia di Pasquale, pienamente d’accordo con te. Si tratta di una “rara”, in quanto partecipe, e aggiungerei “cristallina” poesia civile, perseguita in tutti questi anni con grande rigore e continua ricerca stilistica. “Apprendistato alla salvezza” è sicuramente tra le sue più belle e ispirate raccolte.
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