Dominique Villa: In quel vuoto freddo, inazzurrato (Neobar eBooks)

Dominique Villa: In quel vuoto freddo, inazzurrato, Neobar eBooks, settembre 2025. Introduzione di Luisa Zambrotta.

Titoli come “Quei silenzi notturni come cavati”, “Gli inverni furono” o “Guardate le sabbie mobili dei deserti” evocano immagini forti e contrastanti: un universo in cui la crudezza del paesaggio “lividure sotto / il crudelissimo sole di mezzogiorno” o i freddi “medievali” dell’inverno — si mescola a una bellezza quasi ipnotica, dove il caos e l’ordine convivono in una tensione perpetua. (Luisa Zambrotta)

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8 risposte a "Dominique Villa: In quel vuoto freddo, inazzurrato (Neobar eBooks)"

  1. ringrazio Abele Longo per la proposta e poi la concretizzazione del mio secondo ebook qui su neobar

    e la inaspettata ma immediata adesione da parte di

    Luisa Zambrotta di aderire alla mia proposta di scrivere lei una introduzione ai testi di una autrice in cui non si era mai imbattuta prima, accettando anche un certo rischio .sono stata contenta che lei abbia accettato.

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  2. Il paesaggio strinato che sembra deserto è invece ricco di parole, la poetessa diventa lei stessa un paesaggio, è dentro di sé l’approdo che conclude la “quest”  del mistero del male di vivere.    

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  3. Devo dire che mi ha colpito il commento di Giancarlo Locarno nell’ uso del termine ” strinato” che mi giunge particolarmente rappresentativo ( e insito in esso anche il ” bruciamento, l’ardore ” se pur interpretabile anche nell’ accezione più ostica e anche tremenda, Come si legge in etimologia, ma cl sta eccome ) e che potrei dire sull’ affermazione. che ” la poetessa diventa lei stessa un paesaggio essendo ricca di parole* questo lo apprezzo molto.

    ringrazio molto per il complesso)

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  4. un vero godimento di *parola che si fa carne* il poter leggere nuove poesie di Villa Dominica Balbinot. e notevole e centrata anche l’introduzione ai testi di Lucia Zambrotta.

    che aggiungere? beh, intanto che lasciandosi fisicamente inglobare dalle sabbie mobili di questi versi, se ne percepisce l’abbraccio graffiante *a fior di pelle*. la poetica che s’inabissa è viscerale, visionaria, cruda e profondamente sensoriale, sebbene venga declinata anche attraverso una dimensione che oserei definire quasi-mistica del dolore. a tradursi in parole è dunque una forza della natura non certo idilliaca, ma barocca e furente nel contempo… quasi un assalto all’arma bianca teso ad espugnare i fatui scenari (soave/mente artefatti) d’una Poesia arroccatasi in salotti pieni di gonne sciccose e cravatte pastello.

    il bombardamento dei sensi assume le sembianze di colori violenti (“rosso”, “purpuree rovine”, “azzurro d’acciaio”), molestie tattili (“scabro”, “freddo”, “calore cupo”) e ambiti spietati rimarcati dal timbro tecnico-industriale (“smassatura”, scintille di saldatura, “raschiatoio”, “gherlini d’acciaio”).

    il tutto condito dal lessico aulico-ricercato (ma mai lezioso) che ho sempre interpretato come una sorta di marchio di fabbrica di Villa Dominica Balbinot.

    : )

    ok, cosa pensavo poi? (ho perso il filo)… ah sì, il plasticismo visionario del paesaggio fa scempio delle *carmi* di Zanzotto, mentre su tutto pare incombere l’eco lontana d’una sghemba tensione metafisica (tipo Caproni degli anni più bui). a tratti, m’è apparso vivido in mente financo il tratto di pennello carnoso e dilaniato di certi quadri/bozzetti di Francis Bacon!

    e a ruota, con sprezzo del pericolo, conscio del rischio di toccare un tema scomodo, ho pensato che se da un lato la concretezza quasi scultorea e attorta dei versi (“fasciate fissate figure”), il lessico tecnico e la natura vista soprattutto come forza oppressiva e impersonale orienterebbero verso uno sguardo *maschile*, per contro la sensibilità lirica qui è troppo potente, la capacità di sfidare con generosità il dolore (fisico e metafisico) è propria dell’universo corporale *femminile*: la crudezza non è mai *gratuita* (come può accadere nel cervello maschile), ma è il medium attraverso cui indagare una realtà lacerata e straziata usando come bisturi la violenza del linguaggio concreto, cosa che può richiamare alla mente, almeno in parte (o almeno a me), “periferia” o “incantesimi notturni” della Pozzi nonché qualcosa della Rosselli.

    e ancora, il paesaggio, in Villa Dominica Balbinot, è fatto di carne ed è partorito con dolore dalle parole, ecco cosa! “assedio della natura bellissima” che “prolifera furente / corolla su corolla” è un frame che trabocca di potenza organica, quasi uterina: la natura non è solo minacciosa, è generativa e degenerativa (distruttiva) nel contempo… i colori possono essere “crudi” (o taglienti), un  odore può “trafiggere” (o inazzurrare): una conformazione di coscienza-del-mondo che passa attraverso i sensi in modo totale, immersivo e immediato… un cervello maschile raramente possiede una “spalancatura interminabile” così vera e rotonda.

    altra cosa che pensavo leggendo la silloge: la precisione millimetrica dei versi è già una forma di cura. intendo, la cura formale è già “la Cura” in sé (in senso FrancoBattiatesco: “perché sei un tessere speciale e io avrò cura di te”.

    : )

    muovendo da tale considerazione, lo sguardo iper-chirurgico che intarsia colori, forme e quant’altro, non appare mai trincerarsi dietro il mero virtuosismo dell’analisi empirica/scientifica, bensì incarna soprattutto il tentativo di domare il caos (delle realtà e delle parole) misurandolo mediante un calibro a forchetta che infilza il nucleo polposo emotivo del tutto. siamo ben oltre la vicinanza emotiva… qui si trabocca nella compenetrazione emotiva! inevitabile sentirsi risucchiati *all’interno* d’un siffatto turbinio di sens’azioni (e reazioni).

    onde per cui, parafrasando la rivelazione di “la febbre rivelata” in coda alla silloge, potremmo scrivere:

    la febbrilità potente

    delle parole

    *è*

     un altoforno magmatico.

    *

    complimenti vivissimi, dunque, all’autrice e un grazie di cuore per la sua preziosa scelta di regalare e condividere in libertà la sua arte nell’intimo spazio della *ribelle* comunità di Neobar…

    doveroso, il mio più grande nano-abbraccio possibile

    : )

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  5. Pure avendo lasciato passare un po’ di tempo per lasciare sedimentare le forti sensazioni procurate dalla scrittura anche un po’ ipnotizzante di cui capace ( come gia sapevo da tempo attraverso le sue prove viste e lette)Malos mannaia rimane in me una consapevolezza di avere potuto leggere ( attraverso tentacolari rimandi e analisi effettivamente anche esse chirurgiche nei meandri espressivi dei miei testi) che queste note largamente ( anche intellettualmente ampie a dire il vero)regalate sapranno restare a mio arricchimento ( oltretutto). Un onnivoro grazie , caro saluto.d

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