L’UOMO, IN QUANTO È UOMO, ABITA NELLA VICINANZA DI DIO (frammento di Eraclito)
Siamo reali o autentici nella misura in cui abitiamo nelle prossimità degli dèi. Nel senso di identicità non c’è nulla di simile all’identità umana. Noi siamo ciò che gli dèi immaginano che siamo, reali solo nella misura in cui siamo immaginali. Nell’esclamazione di Heidegger, “ osservare la natura dell’uomo senza guardare all’uomo !”. Com-prendere l’uomo, come afferma Hillmann: “la nostra individualità umana essenzialmente diversa da tutte le altre, in realtà non è affatto umana, ma piuttosto il dono di un daimon inumano che richiede il servizio umano”. (1)
L’evanescente profilo determina il prolungarsi della sensazione visiva: ne traccia diagramma la forma che lo sguardo accoglie. Nel mormorio sinaptico ricomposto a orizzonte, la sinestesia sovraneggia, gemma azzurra incastonata in arabesco poetico, parola materica o lieve solco generativo di uno stato dell’essere complesso, substrato insito nell’in-cantamento.
In tale liturgia, ogni elemento sembra trasmutare in altro -cangiante metamorfosi- ibrido molecolare tra colore, arte, scrittura. Il paradigma creativo non si sottrae all’estro vitale di una monumentale rappresentazione di tutto ciò che può essere definito “umano”, per cui ogni sillaba ne compone un’altra, in successione generativa. Dieci sezioni in quintessenza emozionale, feconde di annotazioni: Adamo disteso, ad evocare – incipit sublime- la statua in oro di Manzù del 1972; la poetica rinascente nell’impeto storico politico della Patria delle Patrie; l’afflato genitoriale dedicato al padre, Ivo Perilli, in Padre rinatomi; l’inno sommerso, a memoria di coloro che redenti dalla smemoria, compongono “tutti i volti del viso da cui veniamo”. Quinta gemma, Rais, il Dolore, coacervo dell’umana ferocia che sembra “predare” i ricordi: dall’Ade alla luce scuote le coscienze in tremito.
Apnea. Respiro. Si delinea, Dentro il paesaggio – parte seconda – immersi nel Creato, simbolo della viriditas associata al fiorire del tutto, guerra verde e pace azzurra a sigillo della natura, ferita e violata a Verbania. Il respiro cosmico mitigato dai brividi del sole, mentre un pettirosso, fugace, dopo la nevicata muove volo nel giardino del poeta.
Amelia Rosselli, Dario Bellezza, Kikuo Takano, Valentino Zeichen, Elio Pagliarani, l’amata Nina Maroccolo, l’opera “La Giustizia” di Mark Kostabi, iniziano il lettore al transito verso la soglia immortale del ricordo, vivida memoria volta a poeti e artisti amici: ambasciatori di trasparenze, aedi ammutoliti, lilla che chiede all’anima. Nel dantismo t’incieli, svetta il verticale lirismo a suo apice, per giungere al movimento tellurico in versi – Il terremoto non è cattivo- approdo a riflessioni sulla funzione superiore della Natura rispetto all’Umano indugiare. Dea Natura, Alma Mater, Mater Matuta. Scissure animiche nel solco gemmato a contemplazione di eventi della cui catastrofe l’essere terrestre è spettatore.
L’uomo riceve anche nuovo battesimo, ri-consacrato al proprio compito da indomita forza, insita nella sua motile natura. Resurrectio dal buio.
“Ogni frase o proposizione è una fine e un principio. Ogni Poema un epitaffio” (T. S. Eliot, Quattro Quartetti). Finis Terrae è il Cielo, nona sezione, intrisa di metafisica; orazione laica rivolta al cielo degli eventi (privati – Nina Maroccolo – o mondiali – citando Scoria e verde brillio, estetica dolorosa del COVID 19). Giunge alfine la decima Sephira, in simbolico Albero della Vita, assunto iniziale a chiosa di un infinito a pezzi, umano disumano, improvvido, lacerato idioma apparso agli Angeli di Paul Klee, dubbiosi, mai ieratici. “L’uomo è per metà prigioniero e per metà alato; ognuna delle due parti, accorgendosi dell’altra prende coscienza della propria tragica incompiutezza” ( Paul Klee, in una sua lezione presso il Bauhaus).
Trasecola il Mondo nuovissimo, in abito d’amore, per sempre tale. Sì che giunge, Dentro l’uomo è la luce
Sotto i rami è conforto la luce,
risorta quasi dentro al tronco: tana,
approdo come a guardare il cielo
ma di nascosto, giù e ben oltre
la corteccia, la linfa umile e sacra –
piccolissimo regno che dichiara
la pace a chi in gioco v’entra dentro…
Pioggia d’oro: così s’irraggia la luce,
come gocce d’olio cresimate radiose,
essenza che trasfigura il miracolo stesso
della vita. Stare lì, umani e per un po’ divini,
amare la Natura tutta in un amplesso
dolce. Grembo e pensatoio ci accoglie
l’ulivo centenario, i suoi rami contorti,
spasmodici di bene, inebriati di vento,
le foglie istoriate, carezzate d’argento.
Dentro l’uomo è la luce: e noi dobbiamo
solo capirlo e attendere, infibrati sereni,
trasognare il mondo, rispettare l’offertorio
di gemme o frutti della vita. Fare poesia
di quest’oro antico che rinasce ogni alba,
spolvera cielo e terra, lacrima di sole.
O forse non esiste eppure c’invade l’anima,
lo sentiamo come pioggia velata di Bene.
La preghiera è un sorriso, dirsi noi siamo,
sono anch’io parte della gioia, la grande
e intricata gioia del Mondo – che torna
e resta quando non chiedi nulla, guardi
e ti pensi qui ed ora, adesso e per sempre,
l’ultimo che precede il primo, come fiore
di campo, o un ulivo , volo d’uccelli che
contiene il canto. l’amore che all’amore
parla in silenzio, gli offre tutto il cuore.
Con profondo affetto a Plinio
Marina Petrillo
- rielaborazione dal testo “Heidegger, Hillmann e gli Angeli – Per una nuova gnosi -“Robert Avens Edizioni di Atlantide


Grazie sempre ad Abele Longo che da anni porta avanti questo blog ormai storico e sano ‘zoccolo duro’ della cultura e della poesia nel mare magnum del web, dove si può incontrare una perla come questa scritta da Marina Petrillo sul vulcanico e smisurato libro di Plinio Perilli Museo dell’uomo. E se è vero che “l’uomo è misura di tutte le cose”, l’universo di questo museo è composto da una natura e da altri umani (siano affetti, sodali, amici o estranei che hanno comunque preso parte alla storia del mondo) che si verticalizza verso Dio e verso gli angeli.
La poesia di Plinio Perilli è inarrestabile – come ha giustamente scritto nella nota introduttiva Giulio Ferroni – e fertile e magmatica perché sovrappone diversi piani linguistici e storici, ed è una scrittura che cerca l’infinito e la luce come testimonia la straordinaria poesia qui riportata che chiude la raccolta: Dentro l’uomo è la luce.
Complimenti a Plinio Perilli e a Marina Petrillo per questa nota di lettura!
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