![1969.47.61_1b[2] (Edward Hopper, People in the Sun)](https://neobarorg.files.wordpress.com/2009/08/1969-47-61_1b2.jpg?w=748)
In People in the Sun cinque persone siedono al sole. Sono lì per prendere il sole? Se sì, perché vestono come se dovessero andare al lavoro o come chi aspetta dal medico? Forse aspettano in qualunque posto siano e il mondo è la loro sala d’aspetto. Forse. E cosa pensare del giovane uomo che legge alle spalle degli altri quattro? Nonostante sia lì con gli altri sotto il sole, sembra immerso nella lettura più che nella natura. La luce è particolare, cade solo sulle figure. Una delle caratteristiche della luce in Hopper è infatti di non essere nell’aria, come ad esempio negli impressionisti. Più che prendere il sole, le figure sono intente a guardare verso le colline. Le colline, a loro volta, sono alla stessa altezza delle figure e sono anch’esse inclinate indietro. La Natura e la Civiltà si osservano. C’è qualcosa di strano in questa tela, le figure più che guardare il paesaggio sembra stiano ammirando il dipinto di un paesaggio.
da Mark Strand, Hopper (1994)
traduzione Abele Longo (2009)
Strand, pittore prima ancora che poeta, ha scritto il saggio su Hopper per dimostrare quanto fuorviante sia l’interpretazione di Hopper come pittore “realista”. E’ il modo con cui Hopper costruisce lo spazio e usa la luce, come nel quadro in questione, che ne fa invece un pittore metafisico.
Malos Mannaja vede” l’incanto luminoso *fuori campo* che ammalia i quattro individui” come “uno schermo televisivo (eddifatti la lunghezza estrema delle ombre indica che l’oggetto luminoso è poco sopra il livello del terreno) “, e aggiunge “l’unico che scampa alla lobotomia è l’uomo che legge…”
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pittore del vuoto e dell’assenza, ne è pregna la sua poetica.
tutto sembra appeso “penzoloni” nell’osservazione delle cose che appaiono essere altri spettatori oscuri a volte, leggeri altre
come un cammello, un viandante, una luna …
tutto parla in un silenzio pieno
anche in questo quadro a parlare non è un semplice commento, ma la sua intera poetica, “… una poetica delle domande in cui Strand si risponde scrutandosi, sempre interrogandosi sull’idea delle cose reali. Ne risultano risposte a volte apparentemente spezzate che racchiudono in sé il senso di un pensiero vasto e profondo che sembra non raggiungere mai se stesso, mai, fino a divenire anch’esso nuovo interrogativo, nuova ricerca, nuova meditazione, altra/alta poesia.” anche da un quadro di Hopper o Andrew Wyeth (caro a C.Simic, tra l’altro).
…
“fissare il nulla è imparare a memoria
quello in cui noi tutti verremo spazzati” M. Strand
n.c.
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che bel post Abele! Grazie tantissimo. grazie per la traduzione
e devo anzitutto dire che:
quando li leggo o rileggo: ah! come mi mancano glii *illuminanti* (e uso i suoi asterischi :-)) commenti di malos! (come mi manca malos!)
qui ha proprio ragione.
di mio aggiungo la seguente impressione: quella della rigidità delle quattro figure al sole, che quasi sembrano tenersi ai braccioli come manichini che altrimenti sono lì lì per cadere, o, ancora come figure spazzate leggermente all’indietro in un tentativo (automatico? da automa) di opporsi al risucchio, omologazione, centrifugazione.
Lo stesso movimento inclinato è delle colline, però risulta più morbido, più naturale, come una fase di erosione che lascia però intatta la loro struttura essendo ancorati al suolo (le persone invece sono su una pedana, e poi ancora su una sedia, sono meno “ancorati” all’essenza-esistenza di loro stessi, di quanto non siano certamente le colline.
Allora, la figura che legge, che è l’unica figura raccolta, quasi chiusa in se stessa e nella lettura, quella che dunque apparentemente non partecipa all”evento” che si immagina nell’anfiteatro dorato del campo di grano, ecco quella figura è l’unica ad avere la mobilità vera plastica di un uomo.
Forse sono andata fuori quadro 🙂
vabbè. ciao.
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ops: ancorate, scusa no ancorati.
dovrei rileggere lo so.
e anche aggiungo che in un certo senso i quattro mi sembrano partecipare ad un cinema “dinamico”, sarà per quella specie di rinculo che si ha prima di partire in orbita.
basta, che più rimango, più ne sparo.
ciao
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GRAZIE!
@Natàlia – Assenza che qui diventa “sovrumana”, come se le figure fossero “vuote”, in attesa di un ruolo; a parte il lettore, tutti personaggi in cerca di autore.
@ Margherita – Spara pure 🙂 D’accordo con la tua lettura, le figure non sono affatto “ancorate”. Per consolidare quanto dice il Malos (manca tanto anche a me), i due uomini che guardono sembrano identici, fatti con lo stampo.
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parli del diavolo e ne spuntano le corna (mmmm… oddio, betta mi nasconde qualcosa).
: )
ma a parte ciò, confermo la sensazione d’una “postura supina” (tendenzialmente reclinata indietro a “subire passivamente” l’inconoscibile oltre il margine del quadro) dei quattro sun-bathers, mentre l’uomo che legge incarna un dinamismo plastico “in avanti”…
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belle coincidenze di mezza estate… 😉
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Più che l’assenza a me Hopper richiama l’attesa, una suspence reggelata e senza fine, come un Magritte che abbia incontrato Godot…
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Soprattutto , Viola, quando ci troviamo di fronte alla solitudine di un individuo o di una coppia (con lui e lei irrimediabilmente lontani). Qui c’è l’attesa ma anche un “vuoto” quasi fisico dei personaggi, non hanno peso, non sembrano esistere. Bella l’immagine di Magritte che incontra Godot…
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Come se costoro guardassero una vita finta, non oggettiva. Inquietanti sottilmente. Guardano dentro se stessi e aspettano, è orribile aspettare e basta.
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