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19 – Fra Storia e Utopia… La missione di F. F. Coppola
Solo Giuseppe Berto, nel suo romanzo capolavoro, Il male oscuro (1964), raccontava – per supremo, quasi ancestrale sfogo autobiografico e joyciano stream of consciousness, “flusso di coscienza” – la terribile ma anche comoda, redditizia frequentazione coi produttoroni italici (leggi: i Ponti, i De Laurentiis) alla ricerca di soggetti, e trattamenti, per probabili film di successo: “… e allora via un’altra volta ad arrovellarmi con propositi altamente attivistici che d’altra parte mi permettono di inserirmi nel processo produttivo sociale ammesso che la società in cui sono capitato a vivere abbia bisogno di capolavori, comunque ha bisogno di sceneggiature cinematografiche questo è indubitabile e per il mio medico sarebbe buon segno se io prendessi senza troppo schifarmi le sceneggiature rimandando ad epoca migliore il capolavoro, e io dico di sì pur con l’amarezza che l’espressione epoca migliore non sia che un eufemismo per indicare il periodo post mortem ossia una condizione nella quale notoriamente capolavori non se ne producono più, ad ogni modo non è che posso portarmi appresso all’infinito anche questo conflitto capolavoro e non capolavoro perché di conflitti sia consci che inconsci a quanto pare ne ho fin troppi”…
Questo il romanzo. Nella realtà, il “treatment” di Barabba (1962, dal libro di Lagerkvist), che aveva preparato per Richard Fleischer in sodalizio con Ivo Perilli, non fu accettato, diciamo per divergenze tecniche, per un discusso “finale”. Ci sono sempre, purtroppo, film che si vorrebbero fare e film che poi ne conseguono, escono inderogabilmente sullo schermo: e la differenza è spesso enorme… Lui e l’amico Ivo, presero i soldi ma tolsero il nome. Il film incassò bene: 1.628.000.000 lire. Uno scrittore di cinema fatica a inseguire il capolavoro, a impazzirci joyceggiando su un Ulysses per immagini, un work in progress di celluloide (e oggi rigorosamente in digitale!) che nessun produttore vorrà presumibilmente mai accettargli, nessun attore impegnarsi a recitare, e distributore a distribuire, e critico/recensore a prendere sul serio, a recensire… Per i registi è a volte diverso… Si può rischiare l’Utopia, o indirizzare, immolare ad essa una fiera marcia d’avvicinamento… Francis Ford Coppola lo dimostrò col suo film più monstrum e più riuscito – di cui si elesse peraltro sia produttore che regista – magniloquente e folle nello stesso modo… “Il soggetto, elaborato in quasi dieci anni di lavoro da Coppola e John Milius, riprende Cuore di tenebra di Conrad.” – riassume Claudio Carabba – “La missione di Williard (Martin Sheen), agente speciale in Vietnam agli ordini della Cia, è risalire un fiume fino alla Cambogia per rintracciare e uccidere il colonnello Kurtz, già ufficiale modello, ora a capo di una banda di fanatici sbandati che conducono una loro sanguinosa quanto mai crudele guerra privata.
Il film è la storia di questa discesa all’inferno. con pochi uomini, su un motoscafo, Williard assisterà a un crescendo di orrori: stragi di contadini inermi, l’assalto degli elicotteri a un villaggio dove un ufficiale vuole praticare il surf. Sinistre esibizioni di conigliette di Playboy negli avamposti assediati. Così, quando alla fine del viaggio si troverà di fronte Kurtz (un Brando mai così maestoso, ieratico), Williard sarà incerto se davvero portare a compimento la missione. E solo la decisione di Kurtz di offrirsi alla morte consegnerà la storia al suo sanguinoso finale. Film-viaggio negli incubi ben nascosti della psiche più che tradizionale film di guerra. Metafora sulla follia e la devianza, e sulla relatività di simili concetti di fronte a una ‘normalità’ certo non migliore. Apocalypse Now è nelle intenzioni di Coppola il tentativo di ridefinire i rapporti fra grande spettacolo hollywoodiano e suggestioni introspettive ‘europee’.”
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© Plinio Perilli, casa editrice Mancosu (Roma), 2009
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