Cinematografo – Mandel’štam, Ripellino, Sagredo (Verga, Pastrone)

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Cinematografo

 

Cinematografo. Tre panche.

Febbre sentimentale.

Un’aristocratica e ricca

nelle reti di una ribalda rivale.

 

Non si può trattenere il volo dell’amore:

ella di nulla è colpevole!

Con abnegazione, come un fratello,

amava il luogotenente della flotta.

 

Ed egli oggi vaga nel deserto –

Figlio adulterino del brizzolato conte.

Così comincia il dozzinale

romanzo della leggiadra contessa.

 

E non frenesia, come gitana,

ella contorce le mani.

Commiato. Furiosi suoni

di un tartassato pianoforte.

 

Nel petto fiducioso e debole

c’è ancora abbastanza coraggio

per sottrarre importanti carte

per lo stato maggiore del nemico.

 

E per il viale di castagni

un mostruoso motore si precipita,

stride il nastro, il cuore palpita

più febbrile e più allegro.

 

In abito e sacco di viaggio,

nell’automobile e nel vagone,

ella teme soltanto l’inseguimento,

estenuata da un secco miraggio.

 

Ma quale amara sciocchezza:

il fine non giustifica i mezzi!

A lui – il retaggio paterno

e a lei – la fortezza a vita.

 

1913

(Mandel’štam, trad. di A. M. Ripellino – 1974-75)

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 È una parodia dei soggetti dei film svenevoli dell’epoca 1912-13, dell’inizio del secolo che erano ugualmente smancerosi e banali in tutte le cinematografie del mondo e notevolmente in quella russa, che in parte si specchiava su quella italiana. Ci riferiamo in un’epoca in cui la stessa parola cinematografo era contestata, si diceva bioscop, biograf, illusione. Questa poesia secondo una critica di Gumilëv rispecchia:” il romanticismo dozzinale dei soggetti cinematografici dell’epoca”. Basta elencare qualche titolo a caso per farsi un’immagine del cinema di allora e di come Mandel’štam lo rifletta precisamente.Per esempio: Una storia fra tante, 1912: una povera sartina diventa cocotte; Il calice della vita e della morte, 1912 : una ragazza di famiglia intellettuale perisce sedotta da un conte. Sui lastroni di pietra, 1913 : una povera modista vittima della città.  Seguono: E tutto è stato pianto, deriso ed infranto; Il marchio delle passate passioni, 1913; La vita com’è, 1913; La passione dilettosa; Da tempo sono fioriti i crisantemi in giardino, 1916; Eppure la felicità era così possibile; Concedimi questa notte[196].

  Il cinema di allora ha suscitato diverse poesie; i diari di Blok sono continuamente segnati da questa parola cinematografo, egli dice:

                           Il cinematografo è oblio, l’arte è ammonimento.

 Andreev dice nelle Lettere sul teatro:

   Meraviglioso cinema! Sa l’alta  e suprema e santa finalità dell’arte che è di creare una comunione tra gli uomini e le loro anime solitarie, quale enorme infinito social-psicologico compito è dato da realizzare a questo artistico apache del nostro tempo. Che cosa sono accanto al cinema: la navigazione aerea, il telegrafo, il telefono, la stessa stampa, questo piccolo strumento portatile, che si può mettere in una scatolina, si può mandare per tutto il mondo  con la posta, ed è meglio della comune gazzetta [197].

 Qui Mandel’štam gioca sul dramma salottiero del cinema di allora, dove ricorrevano continuamente baroni, baronesse, conti che avevano poi straordinarie, terribili notti, sempre nelle alte sfere, palazzine aristocratiche, ricchi saloni borghesi, studi di scultori cattivi, mobili sfarzosi, fiori esotici; e costoro si innamoravano, coltivavano amanti, uccidevano rivali; gli attori recitavano con gli sguardi fissi nel vuoto, con lunghe pause, proprio mostrando se stessi. Tutto accadeva nelle alte sfere perché questo attraeva un’umanità desiderosa di migliorare il proprio stato.

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commento di Ripellino

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[196]  La diva maggiore del cinema muto russo Vera Cholòdnaja, morta di spagnola a 26 anni, a Odessa il 16 febbraio 1919, fu la protagonista principale di decine e decine di film (si dice, una settantina) con titoli similari a quelli su citati, che già dicevano tutto di una trama… lacrimevole, languida, sentimentale e passionale fino all’eccesso, fatale, svenevole… Subì il fascino di due grandi attrici: la Komissarževskaja e Asta Nielsen. Tanto fu lo straordinario successo che ebbe questa diva del muto da non saper, essa stessa, distinguere più la sua realtà cinematograficamente muta dalla realtà della vita che la circondava (sdoppiamento e  identità erano in fatale conflitto e la dominavano). Così Ripellino in “Majakovskij e il teatro russo d’avanguardia”, (cap. V , Storia di una cimice. ), op. cit. p. 175 : “È chiaro che, nel dipingere le figure della commedia, Majakovskij ebbe in mente certe vedette del cinema muto, come Vera Cholòdnaja”. Nei primi anni’70 del secolo scorso (XX°!): con la sceneggiatura di Andrei Končalovskij, il regista e pittore russo Rustam Chamdamov, non finì di girare  il film Le gioie casuali (o:  Verità fortuite),  poiché pare non rispettò affatto la sceneggiatura e perciò fu estromesso e diffidato dal continuarlo; ma sulla  traccia di questo film un altro regista russo Nikita Michailkov (fratello minore dello sceneggiatore), girò nel 1975 il film Schiava d’amore; questo film tratta della dis/avventura di una troupe cinematograficache si trova in Crimea,  dove era in corsa una spietata lotta fra bianchi e rossi, per realizzare un film dal titolo Schiava d’amore; ed è  in questo evento bellicoso  che si innesta la vita sentimentale, privata ed artistica, della prima attrice-eroina di questo film, che allude alla vita di  Vera Cholodnaja. Per quanto riguarda il problema dei due registi russi, questo mi fu riferito in primavera (2011) a Roma da un regista cinematografico italiano “irregolare” molto noto (che a Mosca incontrò il secondo dei due, ma ebbe l’informazione da una terza persona). Egli non ha voluto che io, qui, facessi il suo nome! ////// [Riporto una annotazione (p. 9 del testo in cirillico delle poesie) della slavista Claudia Scandura dal Corso su Mandel’štam: “Romanticismo dozzinale… (ЛЮБОЧНЫЙ РОМАНТИЦИ)…. ЛЮБОKera la corteccia di betulla  su cui i contadini nel ‘600 e ‘700 dipingevano le immagini delle feste e che vendevano in ceste di tiglio. E che l’inizio del cinema è legato al baraccone e alla fiera”]. La corteccia di betulla già gli antichi slavi usavano per dipingere o per iscrizioni; mentre le ceste possono essere sia di tiglio che di betulla.

[197]  Leonid Andreev, Lettere sul teatro,…

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le due note sono di Antonio Sagredo

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Tornerò alla corte di Cesare con una maschera di biacca ad ogni gradino

e il camaleonte saprà come urlare i suoi colori  a tribunali di orbite e occhi…

nuovi amori di rovine da far crollare il sangue come petali e  i trionfi in rovina

d’archi,   e i canti  delle banderuole che strizzano l’ugola ai galli  libertini.

 

 

Quando, quando questo secolo rinnoverà il sangue? Al teatro d’amore, voglio dire,

 al letto… è una giostra di imitazioni in un presente che non siamo! Ma da quali

ignote Madri io discendo se quel dio sulla croce per la nostalgia di un  clone,

per una  stazione che alcun futuro attende sulle umane rote, abbiamo generato?

 

 

E mi domando se i marosi  una teofania di capricci, come le risacche calchi di forme

a squarciagola ci rinnovano, quasi il tempo un recidivo orrore  su un tavolo d’anatomia

argentino rigenera un’incisione barbara – e siamo la finzione  di un vuoto finto e la Fine

barattiamo con un Nulla effimero che dentro noi vive per una segnaletica della memoria…

 

 

dimentica che la mia destinazione è la quiete, che la mia tentazione è la quiete…

mal’oblio a malincuorerecitava una maschera: che tempi sono questi, in cui l’unica

luce è una torcia umana!A che ti serve Iddio la nostra fede se non ci fosse l’uomo?-

e si vantava che la sua voce non era porcellana , ma argilla di Sagunto!….

 

 

 

come un errore che duri quanto la vita e, magari, tutta l’eternità.

 

 

 

 Antonio Sagredo

 

 

Roma, 07/08 maggio 2014


2 risposte a "Cinematografo – Mandel’štam, Ripellino, Sagredo (Verga, Pastrone)"

  1. Mandel’štam tradotto da Ripellino con note dello stesso Ripellino e che Sagredo ci propone accompagnandole con sue note e una sua poesia inedita, appena composta. E per continuare con i rimandi, ho scovato su youtube il film di Pastrone ‘Tigre reale’ (1916), su soggetto di Verga, tratto dal suo romanzo omonimo (1875), che molto ricorda le situazioni che Ripellino definisce tipiche del cinema russo del tempo, sottolineando l’influenza del cinema italiano. E in ‘Tigre reale’ abbiamo un’ altra contessa russa altrettanto fatale.
    Grazie ad Antonio Sagredo per questi suoi doni preziosi.
    Abele

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