
A Pietroburgo ci incontreremo di nuovo
come se vi avessimo sepolto il sole,
e una beata insensata parola
per la prima volta pronunceremo.
Nel nero velluto della notte sovietica,
nel velluto del vuoto universale,
cantano sempre i cari occhi di donne beate,
sempre fioriscono fiori immortali.
Come una gatta selvatica s’inarca la capitale,
sul ponte sta una pattuglia,
soltanto un cattivo motore corre nella nebbia
e grida dannatamente, come un cuculo.
Io non ho bisogno del lasciapassare notturno,
non ho paura delle sentinelle:
per una beata insensata parola
io pregherò nella notte sovietica.
Sento un leggero fruscio teatrale
e un ah! di fanciulle –
e un mucchio enorme di rose immortali
sta tra le braccia di Ciprigna.
Ad un falò noi ci riscaldiamo dalla noia,
forse i secoli trascorreranno,
e le leggiadre braccia di donne beate
raccoglieranno la leggera cenere.
Chissà dove, le aiuole rosse della platea,
fastosamente rigonfi gli stipi dei palchi,
la bambola a molla di un ufficiale;
non per le anime nere e per i vili santoni…
Ebbene, spegni, ti prego, le nostre candele
nel nero velluto del vuoto universale,
cantano sempre le sode spalle di donne beate,
ma non ti accorgerai del sole notturno.
25 novembre 1920
(trad. A. M. Ripellino)
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Per la censura c’era qui, nella prima pubblicazione, non “la notte sovietica” ma “la notte di gennaio”. Il “beato” delle donne corrisponde al “beato” della parola, sempre la stessa magia della parola “donna”. La capitale era ancora Pietroburgo, Pietrogrado. Siamo nei giorni immediatamente dopo la rivoluzione, con ancora le pattuglie che attraversano la città.
– “Motore” è sempre usato da Mandel’štam nel senso di auto (è un’usanza comune a diversi poeti; già Pasternàk, Blok usavano “motore” come “automobili”).
– “Cuculo” come segno di male, altro motivo costante nella poesia moderna. E a proposito l’Achmatova scrive: ”Ho chiesto ad un cuculo quanti anni mi restano da vivere”.
Il “lasciapassare notturno” sta per il coprifuoco.
Mandel’štam aveva una paura di tutti i militi, le guardie, i marinai di Pietroburgo, e quindi il “non ho paura delle sentinelle” è quasi un’autoironia. Il “leggero fruscio teatrale” si ricollega, in un certo modo alla poesia di oggi. Siamo di nuovo in un’ambientazione classica: Ciprigna… è Venere [243].
Dalla dimensione rivoluzionario-pietroburghese scatta verso la dimensione mitologica, quasi ci sbalestra; dall’esterno passa ad un interno teatrale, teatro che egli vede sempre in una dimensione mitologica. Curioso come riesca ad inserire, senza stridere e senza scolasticità, questi elementi che nella coscienza di qualsiasi lettore di poesia sono legati a qualche cosa di scolastico, nonostante la dissonanza acuta che egli porta, dissonanza che poi è modernissima, e che corrisponde ad un certo tipo di musica moderna, e riesce ad inserire, in un contesto che non stride, questi elementi aberranti, estranei al tessuto della poesia.
Nel verso “ad un falò noi ci riscaldiamo dalla noia” egli fa riferimento ad un fatto storico di cui anche i testimoni, anche stranieri, parlano e cioè che le strade di Pietroburgo erano piene di altissimi falò, ai quali i passanti si riscaldano. Nel poema Chorošo! (Bene!)Majakovskij ricorda di avere incontrato, subito dopo la rivoluzione, Blok, che si riscaldava ad un falò sulla Mojka, a Pietroburgo. E in diverse poesie, in diversi romanzi si trovano questi falò, come elemento datato dell’epoca della rivoluzione, e che sorgevano agli angoli di Pietroburgo per permettere – in quel tempo di mancanza di riscaldamento, di mancanza di tutto – di prendere un po’ di calore alla gente che camminava per la città[244].
– “Forse i secoli trascorreranno”, è sempre tutto proiettato nell’eternità. C’è questa luce eterna
anche il quadro della rivoluzione viene proiettato in una dimensione di una enorme grandezza storica. Il falò locale diventa già falò dell’universo e la “bellezza delle donne” raccoglierà, quando i secoli passeranno, questa “cenere” dagli enormi falò dell’universo. Da Pietroburgo ci si proietta nell’universo, immagine di Pietroburgo, come immagine di città perduta nell’universo e nei secoli.
– “ Le aiuole rosse della platea” sono le poltrone dei teatri (“non foderate di polpa di dame” come diceva Majakovskij).
– Šinfon’erka è dal francese, piccolo mobile a cassetto, armadio, stipo. Immaginate questi palchi-teatro, come stipi, come armadi a pancia, frullati di gente, o spiumacciati (è una straordinaria immagine) che traboccano come la panna.
Stanislavskij diceva che: ”basta toccare la felpa della barriera del palco per essere felici”. Già il contatto per un uomo di teatro con la sbarra che sta davanti al palco, felpata, è già una felicità, perché ti immette nel gusto del teatro.
– “La bambola a molla di un ufficiale”: gli ufficialetti che stanno nei palchi, il ricordo della vecchia Pietroburgo, con l’immagine della bambola molto precisa che scatta, a carica, che salta tutta. L’ufficialetto molto pomposo, molto ben vestito che nel gusto molto antico si fa vedere, si affaccia, si muove, non ha requie; l’ufficiale di altri tempi era a teatro molto decorativo. Tutto questo non è per le anime nere e i vili santoni, tutto questo spettacolo non è per anime che non capiscono e non è nemmeno per santoni, per bigotti.
Questa immagine delle “aiuole rosse” ritorna in un saggio di Mandel’štam sull’attrice Vera Komissaržèvskaja del 1905-10, dove è detto: ”E il calore delle candele (le candele del teatro) e le rosse aiuole delle poltrone e i nidi di raso dei palchi”. Qui sembra un’inquadratura da pittore domenicale, e anche qui, solo un pittore domenicale può immaginare che ci sono di questi ufficialetti, in queste bomboniere, in questi stipi gonfi dei palchi, che si sformano.
– Motivo del seppellimento del sole anche qui motivo dell’ “ingenua parola beata”.
Mandel’štam in questo è ripetitivo, insiste sempre sui suoi motivi, li manipola: motivo di Pietroburgo notturna e della rivoluzione come immagine notturna, motivo classico inserito nel tessuto di una Pietroburgo presente… [244]
(commento di A. M. Ripellino al Corso su Mandel’stam, 1974-75)
***
Note di Antonio Sagredo:
[243] Il cuculoè simbolo del mondo dei morti e della notte, della morte dell’anno, del tardo autunno e simbolo anche d’unione, ma presiede anche alla distribuzione della Giustizia; quest’uccello è simbolo della primavera e ornava lo scettro di Hera (la Dea Beata) e viene raffigurata con una melagrana matura nella mano.Ciprigna è Afrodite, e Cipro e Citera sono forse uno dei suoi luoghi natali; le erano cari il mirto, il passero, la colomba e le rose; è inoltre legatissima al mare, ai delfini, ai cigni, alle mele e ai limoni. —La metropoli che s’inarca come una gatta selvaggia sta ad indicare lo stato di altissima tensione per gli eventi militareschi e politici che non si sa a cosa possono condurre. Quel “quasi ci sbalestra” del Ripellino ci fa intendere ancora una volta quella sorta di metodo storico a strati (questo dislocare e scomporre la Storia!) che il poeta mette in atto, nel senso che gli accostamenti sono un vero e proprio azzardo, non solo poetico, ma tematico e cronologico.
[244] Nel suo articolo Aleksandr Blok è morto, Giorn. Agitrosta, 1921, 14.,così Majakovskij ricorda l’incontro“Nei primi giorni della Rivoluzione, ricordo, passai accanto alla figura scarna e curva di un soldato che si scaldava a un falò, davanti al Palazzo d’Inverno. Mi sentii chiamare. Era Blok. Andammo insieme al Detski Podezd. Gli domandai: Ti piace?. “Bene”, replica lui, e poi soggiunge: ”Mi hanno bruciato la biblioteca, in campagna”. Bene e mi hanno bruciato la biblioteca erano due impressioni sulla Rivoluzione, fantasticamente connesse nel poema I dodici”. L’articolo èin Majakovskij -Opere, n.7, II edizione, Editori Riuniti, 1972 a cura di I. Ambrogio, pgg. 420-421. Blok aveva compreso, acceso da preveggenza, come sarebbe andata a finire in Russia! Tanto è vero che Majakovskij in visita a Varsavia (maggio 1927), parlando coi “futuristi” polacchi, in specie con Aleksander Wat (che definisce “letterato e traduttore“), non faceva che ripetere. “Aveva ragione Blok! Aveva ragione Blok!”, intendendo e intuendo che anche per lui s’avvicinava la resa dei conti col potere sovietico).
[245] Che si tratti di continue ripetizioni e manipolazioni è indubbio specie in questa poesia dove se ne possono incontrare ben cinque: 1°) > il seppellimento del sole -notturno– (che riprende il 2° verso della terza strofa di Quando nell’ampia notte si raggela avente come sfondo però Mosca; vedi anche i versi di Mezzanotte a Mosca, p. 127); 2°) > sia le donne che le parole sono beate ed insensate: motivo che ritroviamo altrove; 3°) > la notte sovietica legata al lasciapassare notturno: tempi torbidissimi che richiedevano controlli ferratissimi; 4°) > il vuoto universale soffice come l’eufemismo velluto nero; 5°)> il fruscio teatrale… gli stipi dei palchi che sono segni essenziali per definire la finzione di atmosfere create o inventate; e se in questa poesia appartengono al teatro, nella poesia precedente erano del cinema. Poi, ancora per accentuare l’angoscia e l’asfissia di quell’epoca ecco il cuculo. Su tutto domina incontrastato il nero, assoluto, totale, cupo, dominatore come la tirannia che già opprime, stronca, sradica… spietata poesia della non speranza che non ti lascia affatto respirare… tanto non te ne “accorgerai del sole notturno”!
Un altro dono prezioso da parte di Antonio Sagredo, Mandel’štam tradotto da Ripellino con commento di Ripellino e dello stesso Antonio. San Pietroburgo diventa in Mandel’štam, come apprendiamo dale note, luogo mitico di contraddizioni e paradossi. Città tra le piu’ visitate dalla letteratura russa (Puškin, Gogol’, Dostoevskij,) assume qui diverse e complesse valenze simboliche, suscitando immagini fantastiche e visioni oniriche.
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Il mondo è alla rovescia, il sole è notturno o sottoterra, il velluto rosso dei teatri
è diventata la bandiera rossa dei rivoluzionari.
L’invariante che permane è solo la donna- beata-poesia .
Molto illuminanti e magistrali anche le due serie dei commenti.
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