Gli angoli (aprono i loro acuti per ingoiarci) – Sebastiano A. Patanè Ferro letto da Doris Emilia Bragagnini

Qualche parola per dire dell’impressione, sensazione ricevuta alla lettura della silloge di Sebastiano A. Patanè Ferro. Leggendo, o meglio, percorrendo piano, a volte tornando sui miei passi per rivivere il momento trascorso tra i versi (a farsi più chiaro dentro di me o per il solo piacere di riprovare l’emozione), dovessi salvare delle piccole note sul taccuino immaginario dei poeti che vado avvicinando, per Sebastiano A. Patanè Ferro, citerei almeno questi punti: il giallo, il vento, eventi naturali, assenza, distanza, precisi non luoghi, oggetti d’uso quotidiano”. Questi gli appigli su cui poggia la fine (ma solida) ragnatela, dove il poeta muove le sue atmosfere. È una felice melodia quella che sale dalle sue parole. Tutto risulta armonico, fluido, naturale. Anche i concetti meno immediati pare sappiano sciogliersi, attraverso consecuzioni e accostamenti che sembrano nati sì a nuovo ma in modo quasi atteso, come prosecuzione di un’elaborazione intuitiva operata sul connubio dettato dall’esperienza fusa con la rivisitazione emotiva, alterandone l’evidente presenza a se stessa, dilatandone il significato, in modo da renderlo baluginio capace di rispondere alle interrogazioni più ampie dell’uomo (non solo personali). Nella silloge “gli angoli aprono i loro acuti per ingoiarci … ” nostalgia, solitudine, malinconia, ammantate di luce soffusa, contemplativa e calda (il giallo è un colore che ricorre tra i versi), l’animo si esprime attraverso riflessioni che si avvalgono di geometrie e rapporti spazio tempo stranianti, un susseguirsi di messe a fuoco e successivi allontanamenti in maniera che il passato e il presente coesistano, si compenetrino al punto da fornire una mappa credibile per raggiungere quel luogo del sé dove nulla è andato perso, nulla è perduto.

Doris Emilia Bragagnini

 

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*

Poesie dal libro “ gli angoli (aprono i loro acuti per ingoiarci) ” 2013edizioniSmasher.

 

Le parole

Le parole, le più vere
muoiono nelle pozzanghere gelate del mattino
ma ho sempre un angelo
da posare piano la sera, nessun nucleo
e dodicimila traiettorie verso una sola vibrazione

Adesso, da sotto la curva dei muri,
posso solo attendere la marea
e non importa se spezzerà i cristalli
di tutte le buonanotte perché
solamente il soffitto sa del sacrificio

e la mia carne

 

# 7 dell’assenza

restano i girasoli a ricordarmi il giorno
affonda la chiglia nell’attesa ed è notte, solo notte
sull’argento degli ulivi sulle smanie di maggio
fin dentro i pluviali dove si nascondono le distanze

La bruma assale i marciapiedi e cerca fughe nei bidoni
fra crudeltà ingiustizie e decapitati esempi
mentre batte il tempo un giallo rarefatto
ed un bicchiere si apre ancora di veleno

Un nugolo di ore migra verso est
e tu di lato cerchi nei miei occhi chissà cosa

 

[era un tempo, una puntata]

era un tempo, una puntata
carta regalo lampada a muro microonde
sotto la finestra una via, una di quelle che portano vicino
appena dietro il cuore e da lì ti vedo ancora
e da lì ancora ti sento cantare (piano) quella canzone di Paoli
croce di carne tatuata su quella costola mancante

eri il giallo della stanza l’odore tutto la sferzata di vento
che apriva le mie braccia

e se penso ai volteggi alle risa e le grida soffocate
appiccicate ai muri…
brindo col mestolo al piano liquefatto di cui noi uniche molecole

resta ti dissi

 

# 11 dell’assenza

 è necessario che mi rivolga a qualcuno per sapere di come
si apre una vertigine viola di parole glorificate poi nella frammentazione
è necessario che sappia dell’avvenimento post osservazione
di come soffrono tutte le ali costrette dietro le pieghe della norma
e di come poi si svolgono, vedi, senza neanche tanto clamore

Il senso di appartenenza si dissolve col medio grigio
e sembra che non resti nulla a comparare i numeri
Gli spigoli ormai binari… non fanno nemmeno parte del mio paesaggio
eppure da me partono e tornano come in un tour
attraverso il canyon di queste riflesse somiglianze
Se avessi il tempo in tasca direi – apriti sesamo –
e le stelle si disporrebbero diversamente, forse
come le mimose in un vaso ossia come le assenze attorno a me

Dirò che sono stato altrove ingannando ulteriormente i luoghi dove andrò domani

 

*

Sebastiano A. Patanè Ferro nasce a Catania nel 1953 sotto l’acquario di febbraio. Fin da giovanissimo coltiva la passione delle lettere che comincerà a sviluppare con impegno negli anni ‘80 quando fonda il centro culturale e d’arte “Nuova Arcadia” salotto di poesia e sede di numerosi reading. Nel 2010 la Clepsydra Edizioni di Anila Resuli pubblica la raccolta “Poesie dell’assenza” in formato E-book. Presente anche nell’antologia “Fragmenta” del premio Ulteriora Mirari, organizzato e gestito dalla Smasher Edizioni. Nel 2011 traduce Concha Méndez Cuesta, Delmira Augustini e Miguel Hernández ma pubblicherà solo la Cuesta su WSF, Blog collettivo ideato e gestito dall’amica Antonella Taravella. Nel Giugno del 2012, un incidente stradale, per la sua gravità ed anche per le conseguenze disastrose sul profilo economico, lo tiene bloccato e lontano dall’ambiente artistico per quasi un anno. Ciononostante riprende e completa “Ho incontrato un angelo”, un racconto autobiografico scritto nel ’92. Sempre nello stesso anno scrive “Del tempo che si muove appena” un volume di poesie che raccoglie diverse espressioni del poeta che vanno, dal sociale, alla poesia d’amore. Nei primi mesi del 2013 scrive “Marta” il racconto biografico basato sulle vicende del ’74. Attualmente, sue poesie sono rintracciabili su diversi autorevoli blog tra cui Poetarum Silva, La stanza di Nightingale, Il giardino dei poeti, Larosainpiù e Neobar. Gestisce due blog di poesia contemporanea: “Le vie poetiche” e “La casa senza tempo”, oltre ai suoi blog personali quali “La cava della parola” e “Sciaranera”.

 


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