Poetry Lab: Emilia Barbato

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Poetry Lab: Emilia Barbato

Da dove viene la tua poesia?
Da un un’assenza, un vuoto, dalla necessità di essere nel tempo, tenere gli istanti, la voce della natura, delle cose, registrare, resistere.

Per chi scrivi, come immagini il tuo lettore?
Scrivo principalmente per vivere con attenzione gli istanti, per tornare, entrare nei dettagli delle emozioni, tenere la magia della natura. Se solo penso a quante piccole cose trascurate fanno la bellezza mi sembra di avvertire l’urgenza di elencarle, amarle, soprattutto in questo momento storico. Immagino il mio lettore come una persona in ascolto, sensibile, un cercatore.

Come vivi, con te stesso e con gli altri, il tuo essere poeta?
Mi sento una lettrice e come tale mi rapporto agli altri, sono solita ascoltare e ricevere consigli, consigliare, condividere e leggere, leggere tanto, imparare quanto più è possibile, trovare poeti che mi elevino, che mi permettano di conoscere, sognare. Amo la poesia, le riconosco un potere salvifico.

Come hai iniziato?
Avevo diciannove anni, andavo all’università, in una giornata di inizio primavera una raffica di vento mi ha avvolta, ho sentito di farne parte, avvertito tanta energia, la città, i rumori, è tutto sparito, è rimasta solo la voce del vento, la sua natura, la mia e una piccola dose di felicità, dopo un primo stupore ne ho scritto.

Come ti veniva insegnata a scuola la poesia, che ricordi hai?
Allora le poesie si imparavano a memoria, erano una sorta di sterile supplizio, un esercizio di crudeltà. Infilare le parole in una successione, l’ordine preciso mi faceva perdere di vista il suono e l’armonia dei versi, l’eco prodotta in me. Mancavo l’apertura e il respiro sacrificandoli alla sequenza esatta, allora trattavo le poesie come numeri, salvo una, San Martino di Carducci, la sua semplice bellezza, le urla del mare, la consistenza della nebbia, l’odore del mosto mi facevano immaginare una scogliera e lingue lunghissime pronte a frangersi, a raggiungermi, questa visione mi rendeva libera e felice, quella poesia riusciva a parlarmi, a restare, malgrado l’età, l’ordine, l’obbligo. Tuttora credo che le poesie vadano ascoltate, impararle a memoria le danneggia, ogni poesia deve entrare nel cuore con la sua voce mutabile, con il suo margine di mistero, quale parola seguirà alla prima che ci ha commossi, che ci ha saputo far vibrare nel suo suono? Mi piace assaporare l’attesa, la parola successiva deve giungermi inaspettata.

A chi fai leggere per primo i tuoi versi?
C’è un signore d’oro, un signore buono, che mi legge e ascolta.

Usi la penna e/o il computer?
In genere uso un’applicazione del cellulare, lo so, non è molto romantico e l’assenza del tatto è una forte limitazione, mi piace toccare la carta, sentirne il profumo, ma è assolutamente comodo usare il cellulare per i miei ritmi, mi è possibile scrivere ovunque, senza un piano di appoggio. Per una mamma che traffica tra casa e lavoro, con un tempo per sé ridottissimo, ricorrere alla tecnologia è piuttosto comodo.

Quanto viene di getto o è frutto di lunghe elaborazioni?
Scrivo di getto, nell’onda delle emozioni, ma il risultato nel tempo e sempre sottoposto a un’intensa e continua potatura.

A parte le tue, quante poesie di altri pensi di ricordare a memoria?
Sorrido, non ricordo né le mie né quelle degli altri, eccezione fatta per San Martino.

Un consiglio prezioso da passare agli altri.
Leggere, leggere e ancora leggere, cercare, imparare il più possibile, crescere, vivere nei dettagli, succhiare il midollo della vita come direbbe Thoreau.

Un poeta su tutti.
Tutti i poeti per tutti. Imparare, emozionarsi, vivere in modo vero. Ultimamente sto leggendo Ghiannis Ritsos, sono persa lo ammetto, è una vera adorazione la mia, approfitto di questa opportunità per avanzare una richiesta, se qualcuno tra voi che legge avesse Monocordi e fosse interessato a prestarmelo o vendermelo mi contatti per favore, mi farebbe felice.

*

Inverno minore

Il tempo che precede la lacerazione
è una bestia docile che tira
fuori la lingua in un inverno minore,
il fiato corto dei minuti condensa,
schiuma paure, il cuore
non devi praticarlo,
ha sentieri irrimediabili,
carichi di mine.

*

Camelia

Anche le più irrisorie seccature,
come spore, inselvatichiscono il cuore,
lo trasportano oltre l’aria coltivata
dei gesti, dell’affezione,
una stagione rovinosa si avventa
sull’umore maltrattandolo come
una gragnuola con la camelia: muore
in un colpo solo, perdendo l’intero fiore.

*

trascurabili bellezze

Le mura scrostate, le erbe alte,
lo sguardo che sferraglia sulle rotaie,
il sole improvvisa minime bellezze,
il sole fallisce
nella mia pupilla contratta,
si sgretola la piccola ferrovia,
sparisce, impara a disertare
le persone,
i luoghi
lasciati orfani,
vedi con quanto metodo
si abbatte l’abbandono?

*  poesie tratte dalla silloge “Capogatto” (Puntoacapo Editrice, 2016)

Emilia Barbato è nata a Napoli nel 1971. Laureata in Economia ha pubblicato le raccolte di poesia Geografie di un Orlo (CSA Editrice, 2011), Memoriali Bianchi (EdizioniSmasher, 2014), diverse antologie con Fusibilialibri, Ursini, Aletti, Fondazione Mario Luzi Editore e  Capogatto (Puntoacapo Editrice, 2016)

 


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