
Donald Justice – Pantoum della Grande Depressione
Evitammo la tragedia
guardando sempre avanti,
senza nessun fine o senso apparente.
Ci furono, certo, sciagure e disastri.
Guardando sempre avanti
ci riuscimmo senza nessun eroismo.
Ci furono, certo, sciagure e disastri.
Non ricordo tutti i particolari.
Ci riuscimmo senza nessun eroismo.
Ci furono cerimonie solite e dolore.
Non ricordo tutti i particolari.
Al di là dei recinti, i vicini erano il nostro coro.
Ci furono cerimonie solite e dolore.
Grazie a Dio nessuno lo disse in versi.
I vicini erano il nostro solo coro
e se soffrivamo non ne parlavamo in giro.
Non ci fu nessuno che lo disse in versi.
Fu la solita pietà e paura a consumarci
e se soffrivamo non ne parlavamo in giro.
Nessun pubblico avrebbe mai saputo di noi.
Fu la solita pietà e paura a consumarci.
Ci riunivamo sotto le verande, la luna nel cielo, eravamo poveri.
Quale pubblico avrebbe mai saputo di noi?
Fuori dalle finestre splendeva il mondo vero.
Ci riunivamo sotto le verande, la luna nel cielo, eravamo poveri.
Passava il tempo, tirato da lenti cavalli.
Fuori dalle finestre splendeva il mondo vero.
La Grande Depressione ci avvolse come nebbia.
Passava il tempo, tirato da lenti cavalli.
Neanche noi sapevamo cosa ci attendeva.
La Grande Depressione ci avvolse come nebbia.
Avevamo i nostri difetti e qualche virtù.
Neanche noi sapevamo cosa ci attendeva.
La gente come noi semplicemente va avanti.
Abbiamo difetti e qualche virtù,
ma fu solo un caso se evitammo la tragedia.
E non c’è una trama in questo, non c’è poesia.
(Traduzione di Abele Longo, 2016)
Donald Justice: Pantoum of the Great Depression
Our lives avoided tragedy
Simply by going on and on,
Without end and with little apparent meaning.
Oh, there were storms and small catastrophes.
Simply by going on and on
We managed. No need for the heroic.
Oh, there were storms and small catastrophes.
I don’t remember all the particulars.
We managed. No need for the heroic.
There were the usual celebrations, the usual sorrows.
I don’t remember all the particulars.
Across the fence, the neighbors were our chorus.
There were the usual celebrations, the usual sorrows.
Thank god no one said anything in verse.
The neighbors were our only chorus,
And if we suffered we kept quiet about it.
At no time did anyone say anything in verse.
It was the ordinary pities and fears consumed us,
And if we suffered we kept quiet about it.
No audience would ever know our story.
It was the ordinary pities and fears consumed us.
We gathered on porches; the moon rose; we were poor.
What audience would ever know our story?
Beyond our windows shone the actual world.
We gathered on porches; the moon rose; we were poor.
And time went by, drawn by slow horses.
Somewhere beyond our windows shone the world.
The Great Depression had entered our souls like fog.
And time went by, drawn by slow horses.
We did not ourselves know what the end was.
The Great Depression had entered our souls like fog.
We had our flaws, perhaps a few private virtues.
But we did not ourselves know what the end was.
People like us simply go on.
We have our flaws, perhaps a few private virtues,
But it is by blind chance only that we escape tragedy.
And there is no plot in that; it is devoid of poetry.
Donald Justice, “Pantoum of the Great Depression” from Collected Poems (2004)
***
Dopo il pantoum di Giancarlo (https://neobar.wordpress.com/2016/09/18/giancarlo-locarno-pantoum/ ) ho pensato di proporne un altro in una mia traduzione, “Pantoum of the Great Depression”di Donald Justice (1925 – 2004). Uno tra i più famosi, che segue fondamentalmente le regole della forma moderna del pantoum: una serie di quartine, con il secondo e il quarto verso di ogni strofa che diventano, a volte con variazioni minime, il primo e il terzo verso della quartina successiva e con l’ultima strofa in cui il primo e il terzo verso riprendono il secondo e quarto della strofa precedente. Questa poesia presenta tuttavia un verso in più alla fine, isolato, a conferire un tono assertorio al componimento. Il tema è la vita durante la Grande Depressione che colpì gli Stati Uniti, come anche tanti altri Paesi, dal 1929 al 1941. Justice, originario della Florida, evoca senza retorica, grazie anche alle ripetizioni della forma poetica, la durezza dei tempi e la lotta quotidiana per la sopravvivenza.
A.L.
molto bella, grazie, Viola
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Grazie a te, Viola!
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veramente bella, si.
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Grazie e benvenuta!
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oggi sono pessimista. sarà la depressione? non riesco neppure a gustarmi la poesia, neanche nella tua bella traduzione. mi viene da pensare che oggi come allora siamo condannati a viverla fino in fondo, invece, quella tragedia che i versi favoleggiano evitata. certo, magari qualcuno si salva e qualcun altro non se la passa neppure troppo male, ma raccontalo ai migranti, ai greci, ai neri americani, ai siriani, agli iracheni che “evitammo la tragedia semplicemente andando avanti e avanti”! ahinoi, quante analogie tra la grande depressione e la crisi attuale: il tempo passa e poco o nulla cambia… la lotta di classe è sempre quella, le regole pensate dal governo americano per risollevare il paese e tenere a freno gli orrori del capitalismo finanziario (vedasi il Glass-Steagall Act nel 1931 negli States e leggi similari in giro per il mondo) sono state progressivamente smantellate in ogni dove e siamo messi peggio che al punto di partenza (l’attuale ammontare complessivo dei derivati mondiali, ovvero di “soldi finti”, è pari a 10 volte il PIL mondiale, oltre due volte di più di quanto accadde prima della grande depressione). quindi chettidico, Abele? perdonami, ma seppure le parole di Justice colgano in modo tanto straziante quanto verace lo stato mentale e la logica delle masse (di allora e di adesso), l’idea che balena orrendamente sotto traccia è che davvero quella sia la soluzione, ovvero che come dimostra la realtà (gli States e il mondo hanno superato la grande depressione), la cosa giusta da fare per superare gli orrori del capitalismo finanziario è “semplicemente andare avanti sperando nella fortuna cieca per sfuggire alla tragedia”. questa, consapevolmente o meno, è propaganda di regime in stile minculpop. brrrr….
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Caro malos, da pessimista da sempre, ho una lettura diversa dei versi di Justice. Innanzitutto non va raccontata solo agli “altri”, migranti etc., ma a noi tutti, ché tutti siamo ormai nel calderone che così bene descrivi, indipendentemente se uno ha la fortuna di avere un lavoro o di chiedere ogni giorno l’elemosina (ne vedo sempre di più a Londra; vicino a Charing Cross, nel tardo pomeriggio, c’è una fila interminabile sfamata da alcuni volontari, eppure non se ne parla…). Justice si riferisce alla sua esperienza, in Florida, negli anni della grande depressione, grosso modo da quando era bambino fino alla sua giovinezza, anni di fame e stenti che hanno vissuto del resto molti dei nostri padri e delle nostre madri. Anni difficili, della cui gravità, chi era nato in quelle condizioni, non se ne rendeva del resto conto. Anni in cui tuttavia c’era solidarietà, non era ancora arrivata la “retorica” e la letteratura, che su quegli anni avrebbe ricamato tanto. C’erano invece (e questo forse può sembrarti un po’ retorico ma non a me) i “vicini” a fare da coro a quella tragedia, tutta un’umanità che si stringeva attorno… Adesso invece? Non so se e come ne usciremo fuori, proprio per quelle ragioni che hai detto tu e per il lavaggio di cervello a cui siamo sempre più sottoposti, per quel cinismo dilagante che sempre più caratterizza i nostri tempi. Mi riesce difficile vedere questi versi come propaganda di regime. Proporli adesso, almeno nelle mie intenzioni e per la mia lettura, non vuole essere affatto un atto consolatorio o di “incoraggiamento”.
Sempre contento quando ci vieni a trovare, alla prossima :)))
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Per certi versi la situazione economica attuale è una grande depressione, lo vedo quotidianamente nel mio lavoro, che faccio per tante grandi aziende, ogni sei mesi rischiamo di perdere il posto, tutti i giorni e ovunque si perdono commesse, ho visto chiudere un call center qualche settimana fa e 100 persone sono state mandate a casa.
Uno dei motivi più banai, che mi sembra di osservare, è il fatto che vogliamo tutto a prezzo bassissimo, se abbasso il prezzo a quella cosa gli tolgo valore, anche produrla vale meno e devo pagare meno chi me la fa.
Per venire alla poesia, il flusso del pantoum mette in movimento quelle file di persone diseredate, oggi non ci sono le file, ma tutti sembrano particelle in moto casuale come nel gas perfetto. Il verso finale, che non torna circolarmente, fa collassare la poesia, spingendola su territori inesplorati privi appunto di poesia, come se questa si fosse fermata a Eboli.
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D’accordo con te, Giancarlo. Da incornicare quanto dici a proposito della poesia.
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