Nel nuovo libro di Luciano Nota, “La luce delle crepe”, Edilet 2016, il poeta rivendica il suo bisogno di una nuova visione delle cose, una visione innanzitutto nitida e libera. Libera da rumori e intermittenze, una messa a fuoco intima e precisa, come il puntare un unico soggetto dallo spiraglio di luce che da un bosco si apre su una radura o su un pendio, o più banalmente da una fessura in una parete.
Seguendo l’insegnamento di Leonard Cohen, le crepe per Nota non minano la stabilità delle cose e dei concetti, al contrario sono utili per gettare nuova luce sulle loro strutture più intime.
Ma non pensate che il vero scopo dell’autore sia un mero intento conoscitivo. Il poeta, probabilmente ispirato dall’atmosfera limpida e pulita delle montagne e dei boschi della sua città natale, Accettura in Basilicata, utilizza la luce come mezzo per tentare di andare oltre l’apparenza e i significati.
Si scopre così un fitto universo in continua metamorfosi, metamorfosi incentrata in primo luogo sull’ascesi.
Come un folletto che danza allegro sulle pendici e sulle cime dei suoi monti, Nota canta la pietra, il muschio, il legno e la calce, i quali diventano materia impalpabile e spirituale, così come l’invito al lettore che più di tutti risalta, è quello a farsi fluido insieme a lui fino alla scomparsa nel divenire continuativo e immarcescibile di tutte le cose.
Un’ascesi che è percorso iniziatico fatto attraverso la pienezza dei sensi e lo stupore. Un perdere peso e un guardare dall’alto il mondo e l’esperienza interpretando appieno il noto invito di Calvino: “Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”.
Passano così in rassegna nel libro, fissati in tratti ideali e dematerializzati, considerazioni personali, fantasie oniriche, ricordi, amicizie e affettività del poeta. Un riprodurre il proprio vissuto che il lettore potrà riversare su se stesso e la propria esistenza, con indubbio giovamento.
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Visione leggera
Del muro, della lastra, della pietra
ho sempre avuto una visione leggera
nonostante, il muro, la lastra, la pietra
m’avessero accerchiato.
È sempre stato un tragitto alterato
simile ad un occhio orbo
che ha voglia di scrivere sul marmo
che il vento, il muschio, la luce
non sono mai esistiti.
—
Pila d’acqua
Dietro la porta oserò poggiarti
parte di me, un’unghia, un capello,
o se preferisci, la perdizione
del nostro tempo, dentro un ciocco.
Vedi, è troppo il mare, la sua grandezza
fa male, bisogna ridurre.
Il detrito è un corpo stabile,
nessun colpo potrà dividerlo.
Vieni, osiamo farci falda,
resa armonica oltre la porta.
Muoviamoci in quella pila d’acqua.
—
Se poggiassi il mio viso sul tuo
sui fianchi del globo primordiale
apriremmo case di vetro,
montagne, scenari mai assodati.
Se poggiassi il mio viso sul tuo
dormiremmo su un fondale eterno
e insieme apriremmo il sipario
al più allegro funerale.
—
La mia terra
La mia terra è ciò che incide
duramente il dorso
e nel petto si stagna.
E non sarà mai spina,
ma cima.
—
Aria
(a Rocco Trivigno)
Il pane triturato
l’acanto, le letture …
Il ventenne alto
che già da imberbe
spronava l’aria.
E c’era da mirarlo
nei suoi passi di danza
nel fogliame che annidava
passeri e papiri.
Sapeva di pergole
ravvisava l’apice
il ragazzo alto
che già da imberbe
cingeva l’aria.
***
Luciano Nota è nato ad Accettura in provincia di Matera. È laureato in Pedagogia ad indirizzo psicologico e in Lettere Moderne. Vive e lavora a Pordenone svolgendo attività di Educatore. Ha pubblicato: “Intestatario di assenze” (Campanotto, 2008), “Sopra la terra nera” (Campanotto, 2010), “Tra cielo e volto” (Edizioni del Leone, 2012, con prefazione di Paolo Ruffilli e postfazione di Giovanni Caserta), “Dentro” (Associazione Culturale LucaniArt Onlus, 2013, con prefazione di Abele Longo). Cura insieme ad altri amici poeti il blog letterario “La presenza di Erato”.
Grazie, Fernando! Un caro saluto ad Abele. Spero di rincontravi .
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Di niente, Luciano. Lo spero anch’io presto. 😊
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Crepe anche come ferite, ascesi non solo come bisogno ma anche capacita’ di vedere oltre le cose, di prenderne le dovute distanze. Geometrie esistenziali a cui la poesia aspira o inganna. Un canto, anche questa volta, scolpito, intimo e potente.
Un caro saluto anche a te e spero a presto.
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