Poetry Lab – Paola Puzzo Sagrado

 

 

Paola Puzzo Sagrado
Paola Puzzo Sagrado

Poetry Lab: Paola Puzzo Sagrado

Da dove viene la tua poesia?
In realtà, non ne ho idea. Scrivo esclusivamente sotto ispirazione e quando questa arriva – in qualunque momento e ovunque mi trovi – sento un forte impulso sopraffarmi e le parole sopraggiungere. Io, grumo finito di natura umana, sento in quei momenti d’essere come toccata da una grazia, da qualcosa di infinitamente grande e perfino insostenibile, la cui reale natura resta impossibile da spiegarsi a parole. Come Lorca, Borges e molti altri, sono dunque portata a pensare che il poeta sia una sorta di medium, un tramite che riesca a collegarsi a un’essenza sovrannaturale (probabilmente una memoria collettiva universale) e che da tale contatto riceva una sorta di nuova consapevolezza, una spinta a creare.

Per chi scrivi, come immagini il tuo lettore?
Non scrivo mai pensando a chi mi leggerà. Credo sia la condizione indispensabile per trasmettere nel modo più fedele possibile ciò che è giunto alla mia coscienza sotto ispirazione. Riportarlo nel modo più autentico, esprimendo esattamente ciò che ho sentito – che piaccia al lettore o no – è per me l’obiettivo primario, e ritengo sia anche il dono più onesto che si possa fare al proprio pubblico. Adattare i versi ai gusti di chi mi legge, significherebbe invece falsare o snaturare il messaggio originale.

Come vivi, con te stessa e con gli altri, il tuo essere poeta?
Coincido con ciò che scrivo, per cui semplicemente mi presento per ciò che sono. Lo vivo con impegno. In passato ero molto timida riguardo al condividere i miei versi, ma negli ultimi anni ho fatto parecchia esperienza di reading e performing e pian piano, lavorando su me stessa, sono riuscita a vincere i miei timori. Confrontarmi col pubblico e con tanti altri poeti che stimo, sia di presenza, sia virtualmente sui siti dedicati alla poesia, ha cambiato molto la mia vita. E’ stato possibile partecipare oltre che in questo blog ricchissimo di diverse sensibilità e presenze anche in antologie, performances artistiche, reading di protesta sociale o diretti al recupero del ruolo cardine dell’arte in una società dominata dalle logiche del liberismo selvaggio, ed ancora tanti altri ottimi progetti. Uno di cui sono particolarmente fiera è un “Canto corale” scritto, una strofa ciascuno, da ben 23 poeti sul tema della distrofia muscolare, al fine di sensibilizzare e raccogliere fondi in favore dell’associazione dei genitori dei ragazzi affetti da questa terribile malattia.

Come hai iniziato? Di certo ricorderete Neruda:

 Accadde in quell’età… La poesia

venne a cercarmi. Non so da dove

sia uscita, da inverno o fiume.

Non so come né quando,

no, non erano voci, non erano

parole né silenzio…

Ecco, ho iniziato in modo simile, come in questi versi, così rispondenti al vero d’averli voluti tatuare sul mio corpo. Mai avrei immaginato che mi sarei dedicata alla poesia! Sì, a scuola prediligevo le materie umanistiche, leggevo molto, ma nulla di più. Poi a 21 anni, per puro caso, entrai in possesso di due volumi: “Federico Garcia Lorca – Tutte le poesie” I e II. La mia usuale curiosità mi portò a sfogliarli. Procedevo a saltare e, in principio, erano versi che non capivo. Non riuscivo a entrarci, mi irritavo e interrompevo la lettura. Dopo alcuni giorni, però, tornavo a riaprirli. Era come se mio malgrado mi attraessero, ma nuovamente non afferravo, mi stancavo e lasciavo perdere. Andai avanti così per diverso tempo, fin quando – all’improvviso – ebbi come una folgorazione. La sensazione interiore fu quella di una finestra che si fosse spalancata nella mia percezione. Non so descriverla diversamente. Da quel preciso istante, i versi di Lorca li sentii in pieno: mi entrarono fin nel sangue, attorcigliandomi dentro, facendomi appassionare e ridere e piangere. E da allora arrivarono, di getto, anche i primi versi miei.

Come ti veniva insegnata a scuola la poesia, che ricordi hai?
A scuola, elementare, media e superiore. Pascoli e Carducci prima, Leopardi, Manzoni, Dante, Foscolo poi, da portare a memoria. Era un’imposizione che non mi dispiaceva: come ho detto, amavo le materie letterarie. La genialità di questi grandi autori, però, la compresi anni dopo, rileggendoli e studiandoli per conto mio, insieme a metrica, figure retoriche etc., non perché faccia parte di quella fazione di poeti che concepisce la poesia come qualcosa di costruito, anzi! Piuttosto perché ritengo che, per rompere gli schemi, occorra prima conoscerli.

A chi fai leggere per primo i tuoi versi?
In passato, a nessuno. Negli ultimi tempi, ad una cara amica poetessa che stimo molto. Il mio giudice più severo tuttavia rimango io stessa, visto che io soltanto posso confrontare il risultato finale con il messaggio ricevuto in origine. E tra l’uno e l’altro, citando il titolo di un famoso film, direi che c’è sempre un effetto “lost in traslation”, ovvero una parte intraducibile che purtroppo si perde nel passaggio.

Usi la penna e/o il computer?
In fase creativa, assolutamente la penna. Preferibilmente nera di tipo scorrevole, sul notes che porto sempre con me, quasi sempre scelto “a pelle”. Non deve infatti essere troppo grande o troppo piccolo, la copertina dev’essere rigida per consentirne l’appoggio ovunque e i fogli completamente bianchi. Righe e quadretti infatti, mi fanno sentire ingabbiata. Capita spesso però, a seconda di dove mi sorprenda l’ispirazione, di dover utilizzare scontrini, sacchetti di carta, matite eyeliner, rossetti e qualsiasi cosa trovi sottomano. Il computer lo uso solo dopo, in fase di archiviazione, impaginazione, o condivisione sul web.

Quanto viene di getto o è frutto di lunghe elaborazioni?
La maggior parte viene di getto, in modo del tutto inaspettato. Inizio col ricevere come una rivelazione, poi man mano sopraggiungono anche gli altri versi e incomincio a trascriverli fedelmente. Sono strisce di parole in cui è criptato dentro tutto. Tutto quello che di profondo in me vorrebbe gridare, ma non può essere confidato a nessuno e anche un senso ulteriore, latente e misterioso. Delle volte, i versi arrivano subito tutti e non mi resta che mettere insieme le parti, fare piccoli aggiustamenti di forma, eliminare il superfluo, lasciandoli il più possibile intatti. Altre volte giungono solo in parte e la poesia rimane in stallo per giorni, mesi o anche anni, in cui resta incompiuta. Non direi quindi che è frutto di lunghe elaborazioni, quanto di lunghe attese.

A parte le tue, quante poesie di altri pensi di ricordare a memoria?
So che sembrerà assurdo, ma non ricordo a memoria alcuna delle mie poesie proprio perché non sono costruite scientemente. Se ne perdessi tutte le copie, non saprei riscriverle. Più spesso, invece, accade che mi si conficchino sottopelle versi di altri autori. E non li dimentico più.

Un consiglio prezioso da passare agli altri.
“Scrivi da ubriaco, correggi da sobrio”, pare dicesse Hemingway. Mi sembra un buon consiglio.

Un poeta su tutti.
Non posso che rispondere Lorca, ovviamente.

*

Fatalité d’une femme

Gesti di folle autarchia
equilibrismi della logica
tengono piatta la posizione

Denti in gabbia
Stipsi dei sentimenti

La livida umiliazione
di un rossetto inviolato
stinge vendette irrisolte

rivoli di carminio sversati
tutti, in un cuore inesatto

Scaldare questa sedia cosmica
avallare la nuda sintesi del graffio
avvolgersi in stole d’egoismo
sgranare rosari di lussuria
o impazzire in segreto
la mente puerile rinchiusa
nei fondi cassetti di un limbo…

No, no, no, no!
Sbocciare altrove, altra
opposta al vento

curva di tenerezza
sulla terra diaccia.

*

Paz

L’ora si è zittita
stesa nella calura

Chiudi quegli occhi
lascia sbalzare il cuore
dalla logica in corsa

Baci come farfalle
poi come ciliegie

Svestimi i pensieri
con bottoni di carne
e un’edera di mani

(Caroselli di voglio
bussano alla fronte)

Nel nodo di respiri
raccoglimi, spargimi
Nell’acqua della sete
fatti onda, marea!

Àncora e ancòra
inarcami dentro
fino al grido più bianco

Apri gli occhi, adesso
guarda le parole

come son rimaste indietro.

*

Luce negli occhi chiusi

La morte ruba al tempo
l’amore alla morte.

Esco, i tuoi silenzi in tasca
valuta fuori corso
follia d’essere me.

Mi perdo in vicoli ciechi
selciati di assurdi propositi
in certi anditi bui
che la colpa non raggiunge.

Solo, sei un dio dimenticato
che non vuole più adepti.

Ma tu appartieni al mare
dipingi astri specchianti
sulle squame dei pesci.

Io lego gli occhi alla terra
germoglio tra i sassi
per te il mio seno si è fatto uva.

Pure abbracciati
confiniamo senza unirci.

*

Paola Puzzo Sagrado vive in Sicilia. Si occupa di grafica, webdesign, SEO copywriting, collabora con una Fondazione a scopo sociale che assiste rifugiati e richiedenti asilo. Poeta, cantante e reader performer, è stata segnalata al Premio di Poesia giovanile «Mario Gori» Città di Ragusa nel 2001, Menzione d’Onore al Concorso Internazionale di Poesia«Inchiostro e anima» nel 2015 ed inoltre finalista al «Premio nazionale di Poesia Città di Chiaramonte Gulfi» nel 2014 e al Concorso «Siciliana-Mente» della Regione Sicilia nel 2015. Ha partecipato a diverse antologie tra cui «Parla come navighi – Antologia della web letteratura Italiana» a cura di Mario Gerosa (Ed. Il Foglio), «Il Giardino dei Poeti» (Ed.Historica), «Labirinthi IV» (Ed. Limina Mentis). Nel 2007 ha pubblicato la propria raccolta «Il diavolo piange» (Ed. Albatros). E’ redattrice del blog letterario Neobar ed altre sue poesie sono gentilmente ospitate su diversi altri blog e siti dedicati alla letteratura.

 

 


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