
ADAMO P.
Adamo P. non aveva mai sbattuto la porta di casa così forte, facendola traballare alle sue spalle e senza neanche voltarsi scese la rampa di scale, breve, che lo immetteva direttamente sulla piazza principale del paese e si mischiò alla gente.
Era furioso, quello che inizialmente gli sembrava una sensazione, strana, ma una sensazione, ormai era un vero e proprio sospetto: il signor Adamo P. aveva un sospetto, quasi una certezza.
La rabbia con cui chiuse la porta di casa, faceva pensare a qualche problema con i suoi conviventi; però tutti in paese sapevano che Adamo P. viveva da solo in quella casa, ereditata dai genitori alla loro morte.
Alcune persone notarono Adamo P. brontolare e agitarsi, mentre si dirigeva verso la strada che porta fuori paese, verso il bosco; altri riferivano nei bar che andava incontro a una donna, apparentemente più giovane di lui, Adamo aveva quasi sessant’anni, che viveva sugli alberi, ma questa può essere un’altra storia di cui parlare un altro giorno.
Adamo P. quella sera salì le scale in modo deciso. Si mise di sbieco e andò avanti con il lato destro, sul pianerottolo c’erano i calcinacci caduti quella mattina, dopo che aveva sbattuto la porta violentemente; li spostò unicamente con il piede destro.
Di fatto non sappiamo se il signor Adamo P. era destro o mancino, quella sera, in quel suo comportamento accorto, stava di guardia esclusivamente con il lato destro. Aprì la porta e la richiuse dolcemente; la casa presentava un ordine quasi maniacale, appoggiò le chiavi e appese il soprabito, sempre con la mano destra, accese le luci ed entrò nella sala da pranzo, il tavolo tondo era ricoperto di centrini fatti a mano, sui mobili non si contavano le cornici in argento con le foto che ritraevano i genitori nei vari periodi della loro vita, lui avanzava nella sala e si guardava attorno con delle espressioni tristi a volte compiaciute, ma più che altro nostalgiche.
Adamo P. aveva i tratti gentili della madre, ricordò che questo faceva arrabbiare spesso il padre, Raffaele P., che non gli manifestava mai un segnale di affetto, come se l’assenza di somiglianza gli impedisse di amarlo abbastanza, ma soprattutto di manifestarglielo. Il signor Adamo girava la stanza e toccava con la mano destra i volti ritratti nelle foto, il suo atteggiamento si faceva sempre più diffidente; ormai era chiaro, Adamo P., aveva un sospetto su sé stesso, era un paio di settimane che gli capitava di avere questa sensazione, ma ormai era una certezza. Questa, per così dire, lotta interna, lo rendeva furibondo, che vita era di non potersi fidare neanche di una parte di sé stessi?
La mattina della settimana seguente, la piazza principale del paese era più affollata e rumorosa del solito. La folla sembrava radunarsi proprio davanti alla casa del signor Adamo P., e questo nonostante la puzza tremenda sembrava arrivare proprio dalle scale della casa del signor Adamo.
Chi riuscì a vedere qualcosa, raccontò sconvolto di aver visto l’uomo completamente graffiato in volto e rattrappito sul lato sinistro; alcune stanze, a parte la sala da pranzo, tutte sottosopra e il tanfo di morte così forte che si poteva vedere.
“Adamo P” è il primo di una serie di racconti brevi che Maurizio ha chiamato “Bollettini Indigeni”.
“I Bollettini Indigeni sono quelli che emettono la gente del luogo, quelli che portano in giro le strade, le finestre, le piazze i bar. Quelli che, anche falsi, diventano veri, di una verità granitica, che niente riuscirà più a disintegrare completamente.”
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L’ha ribloggato su ilcollomozzoe ha commentato:
Di fatto non sappiamo se il signor Adamo P. era destro o mancino, quella sera, in quel suo comportamento accorto, stava di guardia esclusivamente con il lato destro.
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Riporto il commento di malos lasciato nel vecchio blog:
il non detto della solitudine di Adamo: un grido straziante che buca i cristalli liquidi dello schermo e si richiude muto senza lasciare tracce, lasciando dietro di sé ondine di pensieri concentrici. anzi no, una traccia c’è: l’odore, il senso più antico e primordiale. ahimè, poco contano sospetti, sensazioni o sesti sensi: riusciamo a comprendere la vita e la morte solo quandi ci *sbattiamo il naso*. vedi la saggezza dei modi di dire? mmmm… che inquietudine, come quanto, ogni tanto, un lato del mio corpo mi appare sinistro.
racconto potente.
malos
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Grazie, caro Malos e bentornato…mi riferisco al tuo bel post sulla “genufletteratura”…:)
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