L’Aldo Moro in strenua, serena Attesa – di Giambattista Baldanza
Vecchia e Nuova Frontiera di tutto ciò da cui umani veniamo,
ma non ancora stoicamente andiamo“… Quello ch’io vi dico nelle tenebre, ditelo voi
nella luce; e quel che udite dettovi all’orecchio,
predicatelo sui tetti. E non temete coloro che
uccidono il corpo ma non possono uccider
l’anima…” (Matteo, 10 27-28)
Ritualizzare l’ombra, e la luce che ci resta… Dove la Memoria è un lago, e l’amore un fiume di luce, che entra ed esce (immissario ed emissario) di un grande specchio lacustre che sono gli anni sin qui attraversati, meritati, romanzati e adempiuti in cuore… Certi ricordi entrano nitidi nel pensiero da cui pur nacquero, e si rianimano sfocati in pulviscolo… L’acqua, il distillato di quel ricordo evapora a caligine, nebbia, torna aria, e poi di nuovo precipita, cade in dono di pioggia su quel lago del cuore, all’infinito, come sempre fa la Natura, che rinasce da se stessa, e se va in crisi non muore ma resuscita quella luce che l’incorona e la notte si attraversa, ci attraversa come una preghiera, laica e sapiente, provvida e quotidiana.
Una preghiera talmente schietta e connaturata, che per dolce paradosso potrebbe perfino coincidere col miagolare teso, presàgo e allarmato di un amatissimo gatto familiare:
“… Ma quello che mi impressionò di più, in quel pomeriggio della domenica delle Palme, fu l’atteggiamento inequivocabile di Bemolle, la gatta del Presidente, con la quale spesso giocavo. Bemolle non si riconosceva, girava inferocita per la cucina dove c’eravamo recati e così zompava letteralmente da un elettrodomestico all’altro e non si faceva carezzare. Per chi conosce il linguaggio dei gatti, questo era un grave segnale di turbamento, perché quando un gatto ‘soffia’ in quel modo senza apparente motivo, vuol dire che avverte un’atmosfera tragicamente tesa.”…
Il Moro di Giambattista Baldanza – secco e fluente, necessario e sorpendente – è tutta un’evocazione lirica, tenue e radiosa come il motto sapiente, le fede profonda in un Umanesimo che ben poteva, prima o anche dopo il sacrificio del Cristo, parlare di pietas e religio, uscire cioè dai canoni per consacrarne di eterni e connaturati come virtù cardinali (non meno salde delle teologali)… Humanitas… a nominarla, pronunciarla oggi sembra davvero una cabala antica, una formula etica oramai dismessa, eppure indispensabile come un credo eterno e classicista del miglior Seneca…
E poi quei grandi aggettivi o sostantivi che un tempo riuscivano da soli a catalizzare, consensare un Partito, perché non erano semplici aggettivi o sostantivi o bolse formulette, mendaci elettorali – ma veri connubi logici o ingranaggi emotivi, contratti sociali tra il Popolo e l’Idea, Sogni e Bisogni: Democrazia… Cristiana… Così ardui e semplici, che già metterli insieme era innervare, concretare parabole, a volte pseudoevangeliche: Democrazia Cristiana, Partito Comunista, i Socialisti, i Repubblicani, i Liberali…
(Viceversa, ahinoi, mille nomi meramente “pubblicitari” di oggi! Il lessico giornalistico trapiantato nell’illusione di un credo che dica e insegua la verità… I pentastellati, i dem, i leghisti, i forzisti, i liberi e uguali, )
Tutto il bellissimo repêchage di Baldanza su Moro come grande politico, e suo mito personale, conosciuto da ragazzo, da studente universitario a un passo dalla laurea, è un riattraversamento prezioso, a suo modo – inopinatamente – candido e squisito, della nostra più truce e infausta Notte della Repubblica: così la dissero i politici stessi, e i giornalisti più attenti, come Sergio Zavoli in uno struggente programma televisivo, tutto fatti, cronaca e interviste a quelle idee incarnate, spesso ferite, umiliate, gambizzate, rapite, giustiziate in nome della più dissennata retorica di piazza… E tutto infatti finiva, s’imbarbariva nelle piazze: bombe, cortei, lacrime, rabbia, proteste: e nulla tornava, fioriva o lievitava luce, o rinasceva dal buio verso quel fiume giammai ostile ma anzi provvido della Memoria, già evocato, invocato come fiume purgatoriale per eccellenza, il Letè/Eunoè da cui, in cui, pure, ogni uomo poteva purificarsi, entrare e uscirne mondato.
“… A questo punto affrontai un tema che da anni mi interessava: la fine di John Kennedy e la Nuova Frontiera, così ardentemente voluta dal Presidente degli Stati Uniti. La cosa che mi stupì è che Moro non mi rispose e quello fu un silenzio che mi turbò. Come mai, pensai, Aldo Moro, l’uomo politico che più di tutti mi ricordava il Presidente Kennedy, taceva riguardo a quella esperienza e alla Nuova Frontiera? Moro deviò l’argomento verso i problemi est-ovest su cui si intrattenne con grande interesse. – Caro Dottore – mi disse, laureandomi ancor prima della laurea – non credo alla politica dei blocchi, è una politica che non ha senso in un mondo che ha bisogno di pace e di stabilità –. Insistette molto sulla politica illuminata di Willy Brandt, cancelliere della Germania ovest che, unico politico lungimirante nel mondo, aveva capito l’assurdità della divisione in blocchi e di quel muro che era un vero ostacolo al progresso dell’Europa tutta.”…
Piccolo-grande fiume questo pamphlet (o memoir che dir si voglia), L’attesa, dove Giambattista Baldanza torna il ragazzo di ieri, del ’72, per raccontarci la fermezza di Moro, ma anche i suoi silenzi, i suoi enigmi profondi, forse la giusta paura per un periodo storico che non sapeva, non seppe avanzare, cioè progredire nel cuore del sistema e dei suoi individui, cittadini, lavoratori, donne emancipate, entità pensanti, creature tutte del Signore, e non biechi o maldestri sudditi, umiliati e offesi, vessati universali e ora ossessi in marcia, del Leviatano Stato…
Ora le parole non ci sono, testimoniate in ordine pedissequo come sterile, azzimata sintesi cartacea, ma noi qui invece le amiamo e le trasogniamo, riascoltiamo tutte – se furono quelle di pochi intensi colloqui tra un ragazzo colto e ligio di ieri e un politico (classe 1916, deputato già nel ’46 alla Costituente, poi ministro, primo ministro, segretario del maggior partito italico repubblicano, quella Democraza Cristiana filiata apunto dal partito Popolare di Don Sturzo, e poi con l’operato di De Gasperi… ma anche di Dossetti, La Pira… l’aria insomma più evangelico-creaturale…
e soprattutto il progressismo docile, riformatore e moderato, di un Fanfani e di un Moro (primi fautori, diremmo anzi artefici, ricordiamolo, dei primi governi di centro-sinistra, A.D. 1962-63, coi Socialisti che avevano oramai accettato e digerito il Patto Atlantico, per intenderci, l’alleanza strategica e operativa con l’America, gli USA), e tutti guardavano alla Nuova Frontiera di Kennedy davvero come a una irrinunciabile, radiosa Terra Promessa. Passateci la citazione letteraria e poetica: una Terra Promessa, ammettiamolo, più ungarettiana che biblica; ma capace comunque di onorare, insieme la speranza immutabile d’ogni uomo, e, proprio come un militante breviario politico il più intimo “Segreto del poeta”:
…
Avviene quando sento,
Mentre riprende a distaccarsi da ombre,
La speranza immutabile
In me che fuoco nuovamente scova
E nel silenzio restituendo va,
A gesti tuoi terreni
Talmente amati che immortali parvero,
Luce.
Giambattista Baldanza meditava da anni questo dolce e caro libello con cui parla a noi e insieme colloquia con se stesso, col ragazzo che era e in fondo resta, pulsa emozione in cuore, nei secoli fedele… Cinque capitoli per sorvolare, andare da quelle lezioni universitarie ai 55 giorni di prigionia, dalla strage della scorta e dal rapimento Moro del 16 marzo 1978, con la sua 500 L blu di ragazzo, in giro per gite metropolitane e pranzi di nozze, assieme a tutti gli altri sani, volenterosi (che pregi antiquati!) ragazzi di Famiglia come lui, amici e figlioli che si amavano, crescevano, mettevano a loro volta su Famiglia…
Il Partito Famiglia è forse un’altra connotazione che Baldanza sembra qui suggerirci, annotare, frequentare – rispetto alla sciagura macroeconomica e pseudo-imprenditoriale del famigerato MegaPartito Azienda… come tutte le aziende, presto corrotte, non dai sogni ma dai bisogni, ingigantiti ad ansie e tare capitaliste (Marx avrebbe detto un plusvalore che non poteva rispettare o mitigare nessuna parabola etica).
I punti più belli di questo breve, fertile e fluido libro, riaccendono (luce/ombra, si è detto, lago della memoria e affluenti del cuore) quegli Anni Giovani (fu un film cult di Truffaut!) che inorgoglivano e animavano in fondo un’intero paese, uscito a pezzi dall’ultima Guerra, con le macerie per strada ma anche per strada il cinema, le parabole del neorealismo, Paisà, Sciuscià, i Ladri di biciclette e gli Umberto D., la gioia di volere e poter ricostruire, ricominciare…
Aldo Moro a sua volta ragazzo, partì da quello sfondo e da quello sconcerto, ma anche da quelle inesauste, irrinunciabili Speranze diventate una nuova Repubblica, una nuova Costituzione…
Anche noi ricordiamo quei giorni, i 5 poliziotti trucidati a via Fani e poi quella Renault 4 rossa lasciata per sfregio a Via Caetani, in fondo in perfetta, allusiva equidistanza tra le sedi della DC (Piazza del Gesù) e il Palazzo Rosso, il Bottegone di Via delle Botteghe Oscure, sede storica e illustre, grigia e burocratica (beh, sì, un tantino kafkiana) del PCI.
Ricordiamo come fosse oggi il brulicare della folla, le forze dell’Ordine, i fotografi – e poi i titoli dei giornali, il malessere che vivemmo tutti, e pensavamo ormai disperso come scoria, polvere del passato, memento homo, polvere che torna polvere, ridiventa scoria, no, non più, temevamo, memoria densa e stoica, fecondo seme vitale…
“… Quel 16 marzo iniziò per tutta la famiglia un vero e proprio calvario, che si estese a tutto il Paese. Sembrava impossibile che le BR avessero scelto l’uomo più puro della DC e più incline a valutare i bisogni del popolo, ma forse fu questo il motivo scatenante. Moro credeva a quello che diceva, non fingeva e pensava al bene dell’Italia.”…
Sul Caso Moro e su quell’immenso momento tragico, hanno scritto in molti: Sciascia, anzitutto, il suo romanzesco, algebrico e forse dostoevskjiano L’affaire Moro… Bellocchio ha dedicato a quella asfissiante Prigione del Popolo, orrida e retorica, pasionaria e metafisica, un film splendido, superbo, dove alla fine Moro/Roberto Herlitza usciva dal covo, dal nascondiglio/prigione come un palazzeschiano “Omino di Fumo”, Perelà della Storia… poetico e fumista…
Un moderno, ispirato autore teatrale come Marco Baliani, dedicò nel ’98 a Moro e al suo sacrificio uno spettacolo, Corpo di Stato, per il ventennale della morte, realizzato ai Fori Romani con la diretta televisiva, per Rai2… Ricordiamo anche un suggestivo, amabile racconto lungo di Sabino Caronia, L’ultima estate di Moro, che in qualche modo trasferisce i dilemmi e i drammi reconditi, imminenti del grande stastista sulla spiaggia di Terracina, frequentata da entrambi, in cerca di fulgide ma anche dolenti meditazioni sulla Storia, passeggiando quasi anonimi lungo un mare acquietato… Mare più vecchio della Storia perché ambasciatore del Mondo, coi suoi inesausti miliardi di onde, sempre uguali sempre diverse: un orizzonte piatto, strana intrigante variante, forse, incredibile dictu, dell’infinito leopardiano che per evadere abbisognava di un ermo colle, di una finzione catartica e usuale, sedendo e mirando … vo comparando… Un gerundio gnoseologico, euristico e analogico ad libitum…
Baldanza qui l’infinito lo trova nei suoi, nei loro stessi occhi di ragazzi degli anni ’70, che tutto già capivano, e s’interrogavano sul Tutto (e sul Niente meschino che sempre lo insida, lo invischia ed avvelena); davano anzi parole, le parole giuste anche a quei silenzi interrogati, intervistati briosi, ossequiosi ed eleganti, ma come si fa con la vera cultura, con la vera poesia…
“… Intanto i miei amici Mario ed Anna avevano deciso di sposarsi ed io fui molto lieto di essere uno dei testimoni di Mario alle nozze, che avvennero il 1 ottobre del 1977 nella chiesa di Santa Priscilla sulla Salaria a Roma. In quella chiesa era presente tutta la famiglia del Presidente, e, cosa non meno importante, la sua scorta. È terribile pensare che era la stessa scorta che sarebbe stata sterminata a Via Fani, ma così fu e purtroppo le BR furono i criminali autori anche di questo sterminio.”…
La Notte della Repubblica per tanti, troppi anni insonne, prigioniera di se stessa, ora come Herlitzka è scappata, evasa non solo dalla prigione ma anche dal sogno/incubo, dal set ricostruito della Storia, dal fumettone o kolossal del Tempo, dello Sviluppo senza Progresso (avrebbe detto, chiosato Pasolini)…
Giambattista Baldanza e con lui noi tutti, torna ragazzo, discepolo, e interroga il suo Maestro (non importa se in Galilea o al Ministero della Farnesina, sul lago di Tiberiade o in un pranzo di nozze che non avvenne a Canaan, ma di cui ogni parola poteva ben essere memorabile, e non finì il vino, non occorse miracolare l’acqua, fresca e immota negli otri, duemila anni e passa di sete ancora non saziata, di attese irredente, eppure luminose…). Lo interroga e gli chiede, gli domanda ancora cosa significava per davvero quell’aspra, pesante profezia d’Isaia: “Udrete co’ vostri orecchi e non intenderete; guarderete co’ vostri occhi e non vedrete”… Ribaltata da Cristo in: “Beati gli occhi vostri, perché veggono; ed i vostri orecchi, perché odono!”.
Interroga il suo silenzio, gentile e immenso, smozzicato impervio, di un Moro cristologico – forse lo fa ancora –: e quest’attesa di una risposta dolce, affettuosa, impronunciabile (come l’appello, l’augurio francescano di Pace e Bene!) dura anche adesso, e, per fortuna, mai smette di attendere, cioè di crederci…
Noi così lo sentiamo, lo immaginiamo, questo libro, breve e compiuto come una parabola: la parabola di un fierissimo, sentito Augurio verso ogni eterna giovinezza e il suo diritto a un futuro migliore. Augurio illustre ma sempre timido, e in fondo talmente emozionato, trasumanato, da chiudere tutto quel cerchio luminoso di speranza in una sola benevola parola:
“… Dopo la cerimonia andammo tutti all’Eau Vive un ristorante in voga in quegli anni. Al tavolo degli invitati di riguardo la mia fidanzata Maria Pia ed io sedevamo proprio di fronte al Presidente ed alla consorte Donna Eleonora. Ricordo ancora come Aldo degustava la torta di nozze e con quale elegante rapidità. Al momento del brindisi Donna Eleonora disse: – Aldo Moro, dì qualcosa -. E glielo ripeté più di una volta. Il Presidente, che era un timido e non voleva mettere in evidenza la sua grande commozione, si alzò e disse solamente: – Auguri -.”…
Plinio Perilli
Ringraziamo Plinio per questo suo saggio a 40 dalla morte di Moro, che fa da prefazione al libro scritto da Giambattista Baldanza, allora giovane universitario e amico dei figli di Moro. “Ne esce fuori un Moro pressoché inedito, enigmatico e teso verso i veri problemi della nuova Italia e della vecchia Europa”. Il libro è piaciuto al Presidente della Repubblica, che ha mandato un biglietto di plauso. Come dice Plinio: Il messaggio, la testimonianza, lo stesso “sacrificio” di Moro, non sono del tutto perduti e confinati in quei terribili ’70, “gli anni di piombo”… Ma forse c’è un guizzo fertile di esempio e di riflessione validi anche per oggi, per questi nuovi tempi difficili…
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Il libro del Prof. Baldanza, mio professore in due Licei romani, che ho avuto l’onore di dirigere per anni, rispecchia la vicenda personale e l’uomo Giambattista; un appassionato di politica e di letteratura, la cui vita ha oscillato con egual passione tra questi due amori impossibili. Nei libri di poesie è l’amore per un quotidiano idealizzato e contemporaneamente vissuto a livello epidermico e viscerale, un misto di visione metafisica e carnalità pulsante, in questo libro una politica intesa come passione personale, impegno etico e contemporaneamente fedeltà al maestro ed amico Prof. Moro. Ecco, se c’è una cifra identificativa del libro su moro è proprio questa: un vagare tra tensioni ideali etiche, di una politica come impegno morale e dovere, kantianamente inteso, cui non si può sfuggire, ed una passione tutta personale, nata da una amicizia universitaria, dalla riconoscente ammirazione per il grande Professore e statista, ma vissuta con animo puro e giovanile … dire una passione dalla 500 e tra i banchi dell’università, una passione che si nutre di piccole cose, un gatto, un accappatoio, senza perdere nulla della grandezza dell’impegno di una vita. Per me, che ho avuto l’onore di collaborare con il Professore per tanti anni, è stato un ritrovare tra le righe il suo volto di professore, che entrava in presidenza e parlava o di letteratura o di politica, come se il resto delle piccole beghe scolastiche andasse ridimensionato con il famoso cannocchiale a rovescio, ove tutto si rimpiccolisce o forse assume la sua reale dimensione. Ne emerge una visione “diversa” del Prof. Moro, una visione più intima; come uno spiare attraverso le persiane e scoprire l’uomo al di là dello statista, il Professore al di là dell’uomo di governo. Il tutto, infine, permeato da un’aura di religiosità che rispecchia Moro. Un mio ricordo personale: ero avviato ai corsi di tedesco a via del Corso ed entrai nella chiesa di san Marcello per una breve visita, in ginocchio davanti a me c’era Aldo Moro, assorto nella preghiera, una figura ieratica e con lui gli splendidi uomini della scorta, che con estrema delicatezza mi invitarono a spostarmi per non disturbare il Presidente. Pochi giorni dopo questo stessi uomini, che ho avuto l’onore di incontrare per pochi attimi, non ci sarebbero stati più ed il Presidente avrebbe iniziato il suo personale calvario. Grazie Giambattista per questo libretto agile e profondo, hai saputo andare oltre la figura verso l’uomo.
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Ritrovo in questo fresco libro di Baldanza, tutto l’uomo Giambattista e tutta la delicatezza e la riservatezza dell’uomo Moro, oltre il personaggio il padre di famiglia ed il Professore, oltre l’autore il Prof. impegnato nei licei romani ed il poeta maturo, che rivive la sua giovinezza entusiastica e sognatrice. Una passione politica come impegno etico e lo studio come politica militante, chi, oggi, si ritroverebbe in queste posizioni. Giambattista c’è, perché non se ne è mai mosso e il giovane che ammirava il grande statista e ne condivideva le passioni, oggi, ormai uomo maturo ed affermato poeta, si ritrova bambino e giovane a tremare alla vista di un accappatoio o al complimento del grande Professor Moro. Chi conosce ed ama la poesia di Baldanza sa che questo ne è il motivo dominante: un fanciullino con le passioni e la carnalità adulte, che sa guardare un mondo trasognato con gli occhi lucidi di una freschezza giovanile mai perduta. Grazie Giambattista per averci presentato un Moro intimo e fuori dagli schemi.
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