Franco Intini: Sylvia e le api

Sylvia e le api

Bisogna amare le api per farne parte. Questo è certo: si tratta di una società di sole femmine. Forse Sylvia  ricorda ancora il rombo di tuono del cuore paterno, descritto in voli di bombi. Forse cerca d’aggrapparsi, immedesimandosi nel ruolo di apicultore, in quel padre perduto negli anni della fanciullezza. Nulla lascia presagire la distruzione che avverrà nel breve volgere di qualche giorno, di questa figura in PAPA’ dove quello stesso cuore diverrà un “ cuoraccio nero” di vampiro, trafitto dal suo palo.

Qui i maschi hanno un ruolo di riproduttori. Sono necessari, essenziali ma sconfitti e schiavi.
L’universo è capovolto e funziona a meraviglia.
Che c’è di meglio per elaborare un lutto che trovarsi in un mondo amico che solidarizza per te ed il torto subito?

In GULLIVER, griderà forte:

Vattene!

Contro il suo gigantesco Lucifero\TED, messo di spalle a terra e inchiodato alle sue responsabilità. Ma qui Sylvia cerca un conforto, in una società di femmine che teoricamente dovrebbero comprendere la sua sofferenza.

Anche il mondo di LESBO, col suo:

-Nemmeno nel tuo cielo Zen ci incontreremo
che segna la fine di questa illusione innocente, è infinitamente lontano.

Nella realtà le api sono asservite agli uomini, alla loro cucina, per il miele e le altre delizie. Nella mente di Silvia, giocano sul terreno delle metafore una partita con la morte, per lei.

I vicini di casa nemmeno si rendono conto con chi hanno a che fare, vogliono portare via le vergini, mettendo le mani dentro all’alveare bianco. La vecchia regina resiste, si fa furba, si nasconde mangiando miele, vivrà ancora un anno.

“La mente dell’alveare crede che questa sia la fine”

Il distacco dei figli dalla madre. Che cosa crudele!
Polissena, Cassandra e poi tutti i figli maschi.
Ecuba e la tragedia antica sono qui.
Perché mai la regina dovrebbe essere ingrata? Nei confronti di chi? Di chi prima la ingrassa e poi le strappa il cuore?

Se i fuchi non sono un granché, se la battaglia tra sessi è vinta per sempre, un altro padrone si abbatte su di lei. Ha bisogno di tempo per capire, organizzare una guerra.

La battaglia è aperta. Per il momento un alveare bianco è al centro della radura e c’è chi soffre questa violenza, come fosse lì dentro a ingoiare miele e fiele. Un freddo di morte la prende.

 
Sono esausta, sono esausta———
Colonna di bianco in un buio di coltelli.
Sono la ragazza del mago, che non trema.
Gli altri si slacciano il travestimento, si scambiano strette di mano
Di chi è quella lunga cassa bianca nella radura, che cosa
Hanno compiuto, perché ho freddo? (il convegno delle Api)

Una volta stabilite le identità di fondo : ape \donna e Sylvia\ Regina, è solo questione di interpretare ciò che accade con linguaggio appropriato. Ma l’esperienza dell’una è anche quella dell’altra.
Il fatto è rappresentato dalla manomissione dell’alveare.
Cercano la regina, ma lei si nasconde. Dov’è?

Lei pensa alla sopravvivenza. Non fugge. Se lo facesse, sarebbe come rinunciare al suo ruolo per sempre. Non s’è mai vista una regina abbandonare i figli. Non lo farà nemmeno  il suo alter, Sylvia sottoposta agli attacchi furibondi delle guardiane, lanciatrici di coltelli.

La paura ed il suo controllo si trasferiscono su Sylvia che così si sente la donna  del mago che non trema davanti alla minaccia di morte.

Inevitabile è il ritorno in sé, come da estasi ed il sentirsi addosso il freddo della morte appena scampata. Al danno subito nell’alveare corrisponde il dolore di Sylvia\ Regina. Infatti è un freddo di morte che pervade entrambe:

che cosa hanno compiuto?
perché ho freddo?

Fuor di metafora sembra voglia dirci che la battaglia con la società civile è persa in partenza.

Altri decidono il suo futuro. Se ciò che ne sarà delle figlie è fuori controllo vuol dire che il futuro non è nelle sue mani. La vittoria sull’altro sesso è solo un’illusione.

L’ordine naturale stesso è in discussione.

Nel parallelo classico, Achille compare all’improvviso da uno squarcio nel suolo a reclamare il sacrificio di Polissena. Strappare la ragazzina dalle braccia di Ecuba e consegnarla alla tomba del grande condottiero. Questo è quanto si chiede.

Alla madre sventurata non resterà che piangere il suo destino di vedere tutta la sua numerosissima famiglia perire senza possibilità di elaborare  mai il lutto.

Ne “l’arrivo della cassetta delle api” il padrone assoluto è fuori, non dentro la società femminile e lei, in questo ruolo, ha potere di vita e di morte:

tendo l’orecchio ad un furioso latino.
Non sono un Cesare.
Ho solo ordinato una cassetta di pazze.
Si possono rimandare indietro.
Possono morire, basta che non dia loro da mangiare, sono la padrona.

Ma ancora una volta l’identità Ape\donna non potrà che ribellarsi a questo potere coercitivo, donando  libertà all’alveare:

Domani sarò un Dio dolce e le libererò.
La cassetta è solo temporanea.

La cassetta è una metafora del mondo femminile. Qualcosa con cui l’uomo, non Dio, lo ha asservito. L’infelicità “di queste pazze che parlano un furioso latino” (il pensiero va  alle Sabine che nella loro società godevano di un maggior rispetto che non tra i romani. Cesare è qui come libertino e conquistatore cioè la figura che più tardi diverrà GIGOLO) deriva da questo ordine imposto dall’uomo. Non a caso il possibile liberatore è un Dio, proiezione di dolcezza femminile. Chi altri potrebbe soccorrerle?  Non certo una proiezione di Cesare.
 
In  “Pungiglioni” è rappresentata la società femminile nel suo destino di asservimento:
ridotta a fabbricare il miele, come la donna a svolgere le faccende di casa.

La stessa regina ha perso il suo velluto, assomiglia sempre di più ad Ecuba che, vedova e sconfitta è costretta a seguire il suo destino di schiava del greco vincitore, Ulisse, principe degli impostori.

Anche qui l’ identità di fondo Ape \donna consente di passare da un piano all’altro delle due esistenza.
Chi è metafora tra le due forme, insomma?

Che cosa sto comprando, mogano tarlato?
Ci sarà dentro davvero una regina?
Se c’è, è vecchia,
le sue ali laceri scialli, il lungo corpo
spoglio del suo velluto———-
povera e nuda e assai poco regale e perfino indecorosa.
 
Sono in una colonna
di donne alate non miracolose,
sguattere del miele.
 
 

È il momento però della ribellione. Che la regina ritrovi sé stessa ed il suo orgoglio, dunque.

Io non sono una sguattera
Anche se ho mangiato polvere per anni
E asciugato i piatti con i miei capelli folti.

Non è questo il suo compito e nemmeno quello di sfruttare le sue simili.

C’è infatti da chiedersi:
mi odieranno
queste donne che sanno solo correre su e giù,
le cui novità sono il ciliegio in fiore, il trifoglio in fiore?
E’ come se una generazione di donne vedesse una di loro ribellarsi ai ruoli assegnati dal padrone uomo.

L’essere Ape \donna consente di avere un pensiero capace di smascherare l’estraneo, il diabolico  entrato nel paradiso femminile con volto dolce e amico ma rivelatosi impostore.

Nella Ape \donna all’opera con la macchina del miele c’è il momento in cui i due aspetti coincidono perfettamente. La macchina appartiene ad entrambe, alla donna e all’ape ribelle nei confronti delle sue simili. Funzionerà perfettamente a primavera ma l’iniezione di umanità, l’amore di donna nei confronti delle sue simili si completerà col ridare vigore e forza alla regina e non col proprio sacrificio accanto alle altre. Se la memoria si perde, se tutti si sacrificano per scacciare il nemico lo sforzo sarà vano. Ancora una volta varrà quanto si vede ne lo sciame: tutti morti, Napoleone compreso, tranne l’onore. Ma a che è servito perdere tutto?

Qui invece c’è bisogno della regina, segno di fertilità, continuità e potenza, l’unica depositaria di intelligenza, in grado di guidare la casa diventata macchina di miele, senza pensiero.

Ancora una volta è evidente lo scambio di ruoli. Nella regina si riversa un vigore di donna ferita, rabbiosa nella sua ritrovata vitalità dopo il superamento della minaccia rappresentata dalle menzogne del terzo uomo che miravano ad annientarla.

In altri termini e fuor di metafora si assiste ad un tentativo di superare il lutto. -Il suo in particolare consiste nel tradimento del marito, incarnato da terzo uomo, estraneo e impostore-.

La donna\ape cosciente di sé, capisce che la battaglia tra i sessi è vinta e superata solo se si assegna al maschile un ruolo marginale e subalterno. Mai lasciarlo entrare in paradiso, mai credere alle sue parole, esse tendono alla distruzione dell’io donna\  Regina. Con lui è possibile solo un contatto necessario, un momento e poi per sempre il distacco.

 Eccola in volo, adesso,
terribile come non mai, rossa
ferita nel cielo, rossa cometa
sopra la macchina che l’aveva uccisa———
il mausoleo, la casa di cera.

E Ovidio:
Così, Ecuba in un miscuglio di dolore,
non dimentica della propria fierezza,
ma dimentica del peso degli anni va spedita
da Polimestore…
( Metamorfosi XIII,v.549-551)

Lo stesso tema sarà ripreso in THALIDOMIDE, quando, in un contesto di distruzione e mutilazioni senza scampo,  all’amore dell’una sarà contrapposta l’indifferenza del seme dell’altro:

Tutta la notte mi scavo
Uno spazio per la cosa che mi è data,
un amore
 
di due occhi umidi e uno strillo.
Bianca bava
 
D’indifferenza!

Per Sylvia, come per Ecuba non è possibile il superamento del lutto. Il tradimento, come capovolgimento dell’amore, rappresenta una colpa troppo grande per essere accettata e superata:

Quando si è visto Dio, qual è il rimedio?[MISTICA]

In svernare c’è il clima dolce dell’attesa e dell’equilibrio che precede la primavera. L’alveare è stato depositato in cantina, al buio, accanto al suo frutto, sei barattoli di miele:

Ho il mio miele
Sei vasetti
Sei occhi di gatto in cantina
 
Che svernano in un buio senza finestra
Nel cuore della casa
Accanto alla marmellata rancida dell’inquilino precedente
…..
Questa è la stanza in cui non sono mai entrata.
Questa è la stanza in cui non ho potuto mai respirare.
Il nero vi è raggomitolato come un pipistrello,
nessuna luce
oltre alla pila e al suo debole
 
giallo cinese su oggetti spaventosi——
Nera imbecillità. Sfacelo.
Possessione.
Sono loro a possedermi.
Né crudeli né indifferenti,
solo ignoranti.

Nel cuore della casa dunque c’è questo buio impenetrabile, spaventoso, di tempo morto- i barattoli irranciditi  dell’inquilino precedente rappresentano qualcosa di cui non ci si può liberare: la memoria, la storia-. Qualcosa a cui la vita dell’ Ape\donna si abitua ma in cui mai ci s’addentra per riflettere.

Da questo punto di vista si capisce come in fondo alla cantina siano lo sfacelo, la nera imbecillità, l’ignoranza a fare da padroni.

È il fondo cupo dell’esistenza, la cultura\ incultura dostoevskiana “ dell’uomo del sottosuolo” alla ricerca irrazionale di sofferenza e di inattività ed in fondo di coperture\giustificazioni per le azioni. Il motivo per cui teme che quelle donne che sanno solo andare da un ciliegio all’altro la odieranno.

Unica via d’uscita è questa accettazione tutta femminile dell’ inverno. Capacità di sopportare il rigore invernale e la sofferenza anche rinunciando a pensare
……
L’inverno è per le donne—-
La donna che continua il suo lavoro a  maglie
Accanto alla culla di noce spagnolo,
il suo corpo un bulbo nel freddo e troppo istupidito per
pensare

in vista però della sopravvivenza dell’alveare e della vita in generale farà tutti i compromessi possibili, compreso quello di essere nutrito innaturalmente di Tate e Lyle

Sopravviverà l’alveare, riusciranno i gladioli
a conservare in vita i loro fuochi
per entrare in un nuovo anno?
Che sapore avranno le rose di natale?

Ecuba è lontana qui. L’ultima volta che s’intravvede è nella sepoltura dignitosa dei morti. Sylvia cercava una via per elaborare il suo lutto, si imbatte in colpe che appartengono all’umanità, la costruzione di grosse società da parte di uomini e la loro accettazione rassegnata da parte  dell’universo femminile in nome della sopravvivenza, da cui è impossibile districarsi.

Noi pensiamo alla primavera che mai ci sarà per lei ma che le api sentono nel cuore come una necessità più forte della singola esistenza.

Le api volano. Sentono il sapore della primavera.

Franco Intini

Citazioni:

Sylvia Plath -tutte le poesie- Oscar Mondadori – Arnoldo Mondadori Editore S.p.a. (traduzione di Anna Ravano)(2013)
Publio Ovidio Nasone. Metamorfosi. A cura di Piero Bernardini Marzolla (edizione  2010). Editore Einaudi. 
 

(Testo già apparso su wordsocialforum.com Maggio 2016)


6 risposte a "Franco Intini: Sylvia e le api"

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