Giancarlo Locarno: La “Poesia operaia” di Zhen Xiaoqiong

Zheng Xiaoqiong

 

Il saggio di Giusi tamburello: “Quando la poesia si fa operaia” (Aracne editrice 2019), del quale consiglio la lettura, introduce molto bene ad un aspetto della poesia cinese contemporanea, quello dei poeti operai che lasciano i villaggi per riversarsi nelle città vivendo di infiniti lavori precari, cercando un riscatto anche attraverso la scrittura poetica, essi rappresentano una dimostrazione di come la poesia ami annidarsi nei luoghi più impervi, marginali e difficili, e non vuole rimanere solo una questione tra insegnanti di lettere che se la cantano e se la suonano.

Dopo la morte di Mao e la condanna della “Banda dei quattro”, si concluse di fatto  l’esperienza maoista, dopo la breve parentesi della presidenza di Hua Guo Feng, il potere passò saldamente nelle mani di Deng Xiao Ping che condusse la Cina verso uno sviluppo economico di stile capitalista. Vennero istituite quattro “Zone economiche speciali” caratterizzate da un regime fiscale favorevole alle imprese e bassi salari, per attirare capitali anche stranieri. Si originò così una grande migrazione interna di disperati dalle campagne verso queste zone speciali.

Zhen Xiaoqiong  (郑小琼 -nata nel 1980  a Nanchong), nel 2001 lascia il paese natale e si reca a Dongguan per svolgere l’attività di operaia nell’industria siderurgica.

Comincia scrivendo poesie sui giornali di annunci di lavoro, con la speranza di scrivere un giorno sulle pubblicazioni aziendali, e sfuggire così ai turni di lavoro massacranti. Zhen Xiaoqiong dopo anni di lavoro come operaia  è diventata oggi una poetessa molto nota in Cina, nelle sue poesie la fabbrica e la condizione delle donne operaie sono una preoccupazione ed una presenza costante.

Nel saggio che ho citato, questa poetessa ha uno spazio importante, in appendice c’è una sua lunga intervista nella quale racconta la sua storia, questo libro non è però un’antologia, anche se riporta brani di poesie, contiene peraltro  parecchie indicazioni e link su dove trovare testi originali, anche di altri poeti davvero interessanti.

Ho cercato i testi originali di Zhen Xiaoqiong sulla rete e ne ho scelti quattro, dei quali riporto la mia traduzione.

Vita
 
Voi non conoscete il mio destino, il mio nome è nascosto tra i fogli di lavoro ammucchiati dentro lo sportello per i clienti

il mio paio di mani diventa come acqua corrente che corre lungo la catena di montaggio, anche i pezzi del mio corpo vengono annotati

per contratto i miei capelli da neri devono diventare bianchi, e io non posso smettere di correre agitata in mezzo al rumore assordante

lavoro straordinario, salario….. i miei pensieri, sto come una cosa quieta nella luce incandescente

vedo ovunque  ombre stanche, immagini sopra le macchine che si muovono lentamente

che continuamente girano, si  inchinano, in silenzio come  metalli fusi, ferro

ah! Il muto linguaggio del ferro,  sospeso su tanti operai sfiduciati, tristi e offesi

questo è un tempo che si annida nella ruggine, vorrebbe fuggire con noi anche la realtà che trema nei ferri

non so più come proteggere il piccolo germoglio di questa vita silenziosa

ho perso il mio nome e il mio sesso, questo contratto ricopre tutta la mia vita

come e  dove ricominciare? Al chiaro di luna? Sul letto di ferro del dormitorio per otto persone?

Brilla la nostalgia, urlano le macchine, vanno e vengono tacite le occhiate d’amore

la gioventù bloccata dal libro paga fluttua impetuosa,  ci si sente mortali

un debole conforto allo spirito debole è il chiaro di luna che viene dal Sichuan

la mia giovinezza è come un punto di luce che si estingue nella catena di montaggio sette giorni alla settimana

cosa rimane: il foglio dei piani, ferro, metallo oppure il bianco

dei certificati di qualità, il rosso dei prodotti difettivi, sotto la luce incandescente

sopporto in solitudine l’itinerante precarietà con un dolore, intenso e senza fine….

 

生活
 

你们不知道,我的姓名隐进了一张工卡里
我的双手成为流水线的一部分,身体签给了
合同,头发正由黑变白,剩下喧哗,奔波
加班,薪水……我透过寂静的白炽灯光
看见疲倦的影子投影在机台上,它慢慢的移动
转身,弓下来,沉默如一块铸铁
啊,哑语的铁,挂满了异乡人的失望与忧伤
这些在时间中生锈的铁,在现实中颤栗的铁
——我不知道该如何保护一种无声的生活
这丧失姓名与性别的生活,这合同包养的生活
在哪里,该怎样开始,八人宿舍铁架床上的月光
照亮的,是乡愁,机器轰鸣声里,悄悄眉来眼去的爱情
或工资单上停靠着的青春,这尘世间的浮躁如何
安慰一颗孱弱的灵魂,如果月光来自于四川
那么青春被回忆点亮,却熄灭在一周七天的流水线间
剩下的,这些图纸,铁,金属制品,或者白色的
合格单,红色的次品,在白炽灯下,我还忍耐的孤独
与疼痛,在奔波中,它热烈而漫长……

 

. . . .

Disassemblare

Smonto le mie ossa, lo spirito e la carne, i battiti del cuore
per trasformarli in viti, pellicole fotografiche, plastica, schegge
che essi rimontano a ripetizione per incollare ed  etichettare la mia la giovinezza
assemblata alla fine in falsi ricordi di eventi passati ed emozioni
demoliscono i miei sogni
mi demolisco in lacrime, disperazione, disassemblo il mio corpo in malattie, amore
piani per demolire e rimontare prodotti, paga, straordinari poco pagati, insonnia
demoliscono una società tridimensionale in disastrosi piani bidimensionali
di villaggi e nostalgie
anche nel caso in cui le fiamme negli interstizi della stufa non riuscissero a fare un punto di luce da un ferro incandescente…. E io
ancora piena dell’elegante bellezza della vita ne ricerco il significato
gli ideali antichi sono distrutti dalla forza demolitrice della fabbrica dell’acciaio
che smonta l’uomo in pezzi sparsi per fotterli in un angolo della società.
Come fanno  le malattie delle aziende a penetrare nei nostri corpi?
Questo purtroppo insegue la nostra epoca, e anche il popolo, la gente,
io comunque sono ancora affascinata da questa era, dalla fabbrica siderurgica
amo le ruote, le macchine alate, i cuscinetti dei veicoli
questo amore mi da una sofferenza chiara, felicità e dolore
mi scompongono in una molla
in interruttori di potenza, valvole, cavi, aghi d’acciaio e un lampione
ritornerò nel fuoco dell’ altoforno e mi forgerò nella disciplina
per completarmi, e poi smontarmi in affilate lame
che mi inchioderanno al muro di quest’ epoca.

 

把自己的骨头,灵魂,血肉,心跳分拆
成螺丝,胶片,塑料件,弹片,挂钩
它们组装,重合,贴上标签,把童年
拆成虚无的回忆,往事,心情。把梦想
拆成泪水,失望,把身体拆成疾病,爱情
把图纸拆成制品,工资,加班,欠薪,失眠
还有把立体的社会拆成平面的不幸,村庄,乡愁
如果炉间的火焰不能点亮一块生锈的铁……而我
还在布满秀质的生活上寻找着人生的意义,那些
过去的理想,激情被五金厂强大的力量拆掉
把人分解成零件,拧在社会的某个角落
某些工业的疾病是如何渗入我们的身体
这不幸是从属于时代, 或者大众
我却仍深爱着这个时代,工业的五金厂
爱上它的车轮,机翼,机动车的轴承
爱上它带给我清晰的痛苦,幸福与不幸
我还将在这个时代把自己分拆成弹弓
开关阀门,电线,钢针,某盏路灯
我仍将再次回到炉火间,将自己锻压
成型,把自己拆成一颗尖锐的钉子
也将钉在时代的墙上

Lavoratrice di 37 anni

Quanti alberi perdono le foglie, quanti uomini si ritrovano deboli e vecchi
le stelle brillano si illuminano quando esplode il ruggito di ottobre
come le piante ascolto gli anelli annuali incidere le mie ossa e il viso
un giorno ci si scopre vecchi
come una vecchia macchina logora
c’è un autunno anche nel silenzio
quante viti si devono allentare?
quanta ferraglia deve arrugginire?
Accumuliamo sofferenza e fatica, dosi di prodotti chimici
e rifiuti tossici, rimangono tutti impigliati nelle ossa e nei muscoli
vene e nervi diventano intorpiditi
malattie come notti fredde del profondo autunno…. Aumentano.
Alzati, senti l’età di una persona che batte e trema sulla cima del vento
il corpo respira piano nell’autunno  rabbrividendo.

“Non si assumono lavoratori al di fuori dei 18-35 anni”.

Una lavoratrice di 37 anni è lasciata fuori dal cancello, guarda la fabbrica
alza la testa a guardare gli alberi in autunno che si agitano e le foglie che cadono
cadono le foglie e lei si arrende a questo tempo arrugginito
a questa malattia che è il lavoro
Intorpidita negli arti su e giù anche il respiro è precario….. arrugginito
più di dieci anni di lavoro l’hanno arrugginita e lasciata…… vecchia
vecchia come le foglie che cadono nel vento d’autunno.

 

三十七岁的女工

多少树在落叶,多少人在衰老
灯火照耀的星辰,在十月的轰鸣间
听见体内的骨头与脸庞上的年轮
一天,一天,老去
像松散的废旧的机台
在秋天中沉默
多少螺丝在松动,多少铁器在生锈
身体积蓄的劳累与疼痛,化学剂品
有毒的残余物在纠缠着肌肉与骨头
生活的血管与神经,剩下麻木中的
疾病,像深秋的寒夜……上升着
上升,你听见年龄在风的舌尖打颤
身体在秋天外呼吸,颤栗
招工栏外,年龄:18–35岁
三十七岁的女工,站在厂门外
抬头看见树木,秋天正吹落叶
落叶已让时间锈了,让职业的疾病
麻木的四肢,起伏不定的呼吸……锈了
十几年的时光锈了,剩下……老
落叶一样的老……在秋风中
抖动着

Hu Zhimin

Mi sento immersa in un’epoca tremenda

che ci fa sentire deboli e impotenti troppo  poveri per chiedere una vita luminosa e colorata

che non sia di grigia ignoranza e dell’inganno che ci dona il nulla senza fine.

La sua morte testimonia la ferita dei nostri tempi

fratelli, genitori,  curano le tre cause di risarcimento
ma nessuna cura per quel corpo senza vita

nessuno per lei è triste, nessuno per lei piange

rimane a farle compagnia il numero freddo dell’indennizzo.

Hu Zhimin: ventitrè anni, morta per un liquore avvelenato

ho ancora un ricordo chiaro di lei
mia vecchia collega, poi morta prostituta in un Hotel.

Un sorriso genuino,  semplice e una voce alta quando discutevamo

dell’esperienza del mondo, ci intendevamo nella discussione,

lei vedeva in ogni luogo troppe cosiddette “verità della vita” ferme e immutabili

sopra le soglie della realtà viste come desideri del corpo fisico

non parlava mai timidamente del suo lavoro

e cercava di progettare una vita nel suo paese natale.

Quante giovani donne rimangono intrappolate in questa antica professione

quante nuove spose o anche sorelle o sorelle dello sposo
partono insieme per andare a Nanchino o giù nel Guandong

in un salone di parrucchieri, o in una casa buia, lei è nata bella

è finita in un Hotel di alta qualità, in una zona esclusiva, la sua faccia

mostrave sempre felicità… noi raramente ci incontravamo ma abbiamo

condiviso la stessa identità, lo stesso contesto,  noi due

apparteniamo a mondi diversi, in questa città un certo momento

ci siamo incontrate casualmente e casualmente ci siamo separate

ognuno avanzando nella propria direzione, sempre a piedi o al massimo  correndo

poi quando il destino cambia : “Siamo morte!”

Mi ha detto di lei  un suo paesano,  rincorrendomi per parlarne

mi ha raccontato le circostanze, lo scenario  della sua morte, lei inviava tanto denaro a casa

mi ha raccontato come la sua casa ora sia nuova e bella e ricca di beni, e suo fratello

ha usato i soldi guadagnati con la vendita del suo corpo per comprare una casa in una piccola città e aprire un negozio.

Mi ha detto che dopo la morte i fratelli non hanno voluto riportare a casa le sue ceneri e seppellirle nella tomba degli antenati

perchè lei si vendeva e la sua carne sporca avrebbe portato male al  feng shui della
famiglia.

 

胡志敏

这些年我沉浸于庞大的时代
感到虚弱而无力 让鲜活的生命
蒙上灰茫茫的否定与无知
她的死亡带着时代的创伤
连同三个为赔偿金争执的
兄弟与父母 无人在意的尸体
没有人悲伤 也没有人哭泣
剩下赔偿金冰凉的数字陪伴
胡志敏:二十三岁 死于醉酒
我对她还有如此清晰的记忆
曾经的同事 后来沦为酒店的
娼妓 单纯的微笑 高声谈论
阅世的经历 她跟我谈论她见到
太多的所谓人生的真相 站在
现实的门槛上 比如欲望与肉体
她从不羞涩地谈论她的职业
与人生规划 她老家有很多
年轻女性从事这项古老职业
比如新婚夫妻 或者姐妹 姑嫂
结伴而行 去南京 下广东……
在发廊 阴暗的房屋 她生得漂亮
在酒店 高档的地方 她脸上的
高兴……我们很少见面 我们拥有
同一个身份背景 终属于两个
世界的人 这个城市 这个时刻
两个因生活偶然相遇的人相聚又分开
各自朝着自己的方向赶路
命运是否改变 “她死亡了!”
她的男同乡告诉我 然后跟我说
她死亡的场景 说她寄了多少钱回家
说她家的房子修得多好 她兄弟用她
肉体赚回来的钱 在小镇上买房开铺面
说她死了后 哥哥与弟弟连她的骨灰
也没带回家 不能埋在祖坟上
她是卖肉的 脏 会坏了家里的风水


7 risposte a "Giancarlo Locarno: La “Poesia operaia” di Zhen Xiaoqiong"

  1. testi potenti che non lasciano indifferenti. ci riguardano tutti, cinesi, svizzeri, inglesi, bianchi, grigi – soprattutto grigi. il lavoro come tagliola, come gabbia degli uccelli, come richiamo per i cacciatori e chi sia la preda è facile capirlo.
    un giogo, una stretta mortifera a cui ci pieghiamo come vitelli al macello.
    in questo meccanismo la nostra parte sta nel mezzo – noi il mezzo – sottrarsi è favola?
    dire, scuotere, sollevarsi, conoscere, non accettare, non cedere almeno la propria dignità, il cuore.

    molto.

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  2. davvero bella e pregna di significato la realtà di una poesia annidata nei luoghi più impervi che “non vuole rimanere solo una questione tra insegnanti di lettere che se la cantano e se la suonano”… sì, insomma: non posso che plaudere incondizionatamente e ringraziare di cuore Giancarlo Locarno. purtroppo una siffatta realtà nel panorama artistico/culturale occidentale drammaticamente manca (o al massimo può essere eccezione a conferma della regola…)
    colpisce e lascia il segno – almeno nel cuore del nano – il verso “la mia giovinezza è un punto di luce che si estingue nella catena di montaggio” per come giganteggia al cospetto di tanta poesia contemporanea adagiata su amori più o meno corrisposti, impollinazioni estive, lirismi nonché immigrazionismi d’essai. possibile, mi dico, che da Pasolini in qua lo spirito sociale dei poeti si sia estinto?!?
    e anche in ambito cinematografico, se proviamo a guardarci indietro e domandarci quand’è l’ultima volta che il monopolio culturale “sinistrato” ha partorito film che parlassero seriamente di precariato, sfruttamento, alienazione, disoccupazione e povertà in Italia precipitiamo nel vuoto incolmabile. aridatece il neorealismo di Rossellini e De Sica…
    ma non divaghiamo. potentissimo pure l’incipit di “Disassemblare” (“Smonto le mie ossa, lo spirito e la carne, i battiti del cuore / per trasformarli in viti, pellicole fotografiche, plastica, schegge”) e a seguire una sorta di “fascinazione” umanoide a far da contr’altare ad un’umanità ridotta in pezzi e fottuta (“un giorno ci si scopre vecchi/come una macchina logora”). quante viti ancora si dovranno allentare e arrugginire nel nostro cervello per spegnere anche quest’ultima dolorosa ombra di empatia? perché i liberi schiavi possano finalmente accodarsi gaudenti al banco macelleria e poggiare da soli la testa sul tagliere per congratularsi con la mannaia?
    Zheng Xiaoqiong è palesemente un automa difettoso, incapace di funzionare in modo corretto e di adeguarsi alla metafisica produttiva del dio mercato: non brama il “risarcimento”, non coglie le virtù salvifiche del “numero dell’indennizzo”. vede nel “corpo senza vita” di un altro automa ventitreenne il ricordo di “un sorriso genuino”. follia, follia pura.
    mioddio… la realtà che stiamo vivendo è ormai quanto di più simile a un incubo: dove siete, amici poeti nostrani??… il lavoro ridotto a “malattia” mortale quando invece dovrebbe essere le fondamenta della repubblica socialista/democratica (cinese o italiana, poco cambia).
    brr… quel plurale “Siamo morte!”…tutta la forza di un abbraccio (disperato), fatto di carne sporca e condannata.
    come darle torto?

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  3. Circa l’eccezione di poeti di impronta civile del nostro attuale panorama, segnalo due grandissimi: Nadia Agustoni e Fabio Franzin dei quali posto qualche testo

    Fabio Franzin

    Da “FABRICA e altre poesie”, Borgomanero, Ladolfi Editore, 2013
                               
    (a Pierluigi Cappello, in forma di eco)

    .
    Mi ‘i vede davanti come se fusse ‘dèss,
    se i fusse ‘ncora tuti quanti qua: un che
    se fa el segno dea crose, che ‘l se basa
    i dei te l’amen, là, in mèdho a un canp,
    prima che càe el scuro, che sie doman

    e ‘n’antro che indrezha ciòdhi storti
    sentà te un careghìn sot’a barchessa,
    tic, tic, continuo, come se marteìna
    e pasienza i podhésse indrezhàr anca
    el mondo o un destìn revèss; un cagnét
    biondo che strussa ‘a coda fra ‘e so
    ganbe, òci senza mal fra ‘e rece basse.

    ‘N’antro lo vede mona de vin, rider
    e cantar da lù lu sol, ‘na macia de piss
    in tea botéga, i passi che sèra ‘a sera
    un bàeo baéngo, ‘àgreme che slusa sot
    el ciaro dei lanpioni ‘ndo’ che ‘l se pica

    ‘a vose fiapa de quel che no’ l’é stat
    bon de brincàrghe i corni aa vita, de
    farli deventàr manubrio, che tee man
    el strendhe sol ‘a só sconfita, suspiri
    fondi co’l corpo el se destira tel scuro.

    Li vede qua, tuti, quei che me ‘à ‘assà
    un calcòssa, ‘na crose da portar, sacri sassi
    del mosaico che son; parché son l’insieme
    de ‘na stirpe, ‘a subiàdha persa te un cel
    pì seren, e ‘l sorìso fiorìo in fra ‘a miseria,
    tenpesta e gèo, ‘a carezha magra e un rosario
    strendhù fra i déi, pontà te l’ànema. Parché
    drento ‘a carne sinte scórer el sangue pìcol
    dei perdenti, ‘a pólvara e ‘l paltàn, ‘a fame
    e ‘a sé, ‘a paròea comandi e ‘na speranza
    granda come un cel de not, da ciamàr
    sotvose sentà fòra daa porta co’ un gat
    ‘cocoeà tii pie. E so che no’ ve sfantaré
    mai, scriti tel mé d.n.a. come ‘na poesia
    tel libro, ‘iuté ‘ste paròe a star rasotèra.

    .
    Me li rivedo davanti come se fosse adesso, / se fossero ancora tutti quanti qua: uno che / si fa il segno della croce, che si bacia / le dita nell’amen, là, in mezzo a un campo, / prima che cali il buio, che sia domani // e un altro che raddrizza chiodi storti / seduto su una seggiola sotto la rimessa, / tic, tic, continuo, come se martelletto / e pazienza potessero raddrizzare anche / il mondo o un destino avverso; un cagnolino / biondo che con la coda sfiora le sue / gambe, occhi privi di odio fra le orecchie basse. // Un altro lo vedo ebete di vino, ridere / e cantare con se stesso, una chiazza di piscio / sulla patta, i passi che chiudono la sera / un ballo balengo, lacrime che rilucono alla / luce dei lampioni dove si aggrappa // la voce sommessa di quello che non è stato / capace di afferrare le corna della vita, di / farsele manubrio, che fra le mani / stringe solo la sua sconfitta, sospiri / lunghi quando il corpo si stende nel buio. // Li vedo qui, tutti, quelli che mi hanno deposto / un ricordo, una croce da portare, sacre tessere / del mosaico che sono; perché sono l’insieme / di una stirpe, il fischio perso in un cielo più limpido, il sorriso fiorito nella miseria, / grandine e gelo, l’esile carezza e un rosario / stretto fra le dita, appuntato nell’anima. Perché / sotto la carne sento scorrere il sangue sbiadito / dei perdenti, la polvere e il fango, la fame / e l’arsura, la parola comandi e una speranza / vasta come un cielo notturno, da chiamare / sottovoce seduti fuori dalla soglia con un gatto / accoccolato ai piedi. E so che non ve ne andrete / mai, scritti nel mio d.n.a. come una poesia / nel libro, aiutate queste parole a stare basse, a contatto con la terra.

    ______________

    Nadia Agustoni

    testi tratti da non sa una parola cattiva

    1

    la corvée è col turno del mattino. ci mandano in due a svuotare uno stanzone di gomme e bancali. c’è sporco fino agli occhi. vestiamo tute e mascherine. il freddo taglia il fiato e la voce. buttiamo fuori tutto in due ore, poi a bere il caffè, ma in fretta. la roba buona va rimessa dentro. l’altra portarla nei cassoni. c’è odore di urina. penso ai topi. le trappole vuote. scatole di latta.

    2

    siamo cani chiusi nelle gabbie. essere in prigione come al cinema. di notte le ombre riempiono i muri. gli insetti vengono fuori per stare nel vuoto. gli insetti sono tutto.

    3

    una sera una ragazza è con un libro in mano. all’una e trenta nella pausa per prendere qualcosa legge per quindici minuti. sta da sola come chi è sola davvero. c’è qualcuno più solo degli altri perché non sa una parola cattiva. nelle pagine c’è una storia. una storia grande come stare soli e feriti.

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  4. Il lavoro come tagliola, ma anche la mancanza di lavoro e la precarietà sembrano essere opposti che coincidono.
    Come dimenticare, oltre quelli ricordati da Iole, anche Luigi Di Ruscio e Ottiero Ottieri come autori dentro la realtà del lavoro.
    Non sono in grado di esprimere un giudizio critico sulla poesia italiana oggi, che non la conosco così a fondo, ma una sensazione ce l’ho, che ci sia una sorta di eccessiva « impiegatizzazione » , un segnale è il fatto le le note biografiche spesso non sono manifesti di poetica ma curriculum, con l’elenco di cose fatte e vinte, ma il curriculum si fa per trovare lavoro. Segnalo anche un filone interessante di poesia italiana che direi transnazionale, cito Gezim Hajdai (nel suo curriculum ha il premio montale) che scrive in italiano (e traduce dall’albanese) su una realtà cruda di persecuzione in patria e di inserimento nella nuova lingua e nella nuova patria, così come Nicolai Lilian (l’autore di Educazione siberiana).
    Però in fondo ogni poesia è civile se guarda e interpreta genuinamente la propria realtà, ognuno cerca di dare quello che ha, non tutti hanno una vita disperata, ma tutti hanno i loro dolori e i loro pensieri.

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  5. Difficile non rimanere colpiti dinnanzi al dramma sociale che emana da quelle figure di operai tristi che vagano come ombre nell’inferno della produzione, privi di un nome, segnati da un contratto invasivo e totalitario. C’è la macchina sopra l’individuo, l’oggetto che divora giorno dopo giorno il soggetto. Le sue difese sono inutili perché nulla possono contro la spoliazione di

    “un punto di luce che si estingue nella catena di montaggio sette giorni alla settimana.”

    Solo l’io del poeta rimane, perché si affianca a quello operaio che convive in lui, senza rimanere schiacciato come un chiocciola sotto i piedi, capace ancora di dar vita al piccolo germoglio della sua esistenza. La macchina della produzione ha questo potere di prendere i connotati dell’uno e di arricchirsi con essi costruendo muscoli e nervi.
    La trasformazione della macchina in un corpo sempre più potente e completo è descritta in Disassemblare. È come assistere a un processo di digestione dell’uomo e quello che si va costituendo è un animale sintetico che succhia gli organi dopo averli disassemblati uno ad uno per ricostruire i suoi:

    “Smonto le mie ossa, lo spirito e la carne, i battiti del cuore
    per trasformarli in viti, pellicole fotografiche, plastica, schegge”

    il processo è segnato da un senso di illimitata voracità della “fabbrica dell’acciaio” che fa sua anche la società per appianare tutto, schiacciarla a foglio continuo privo di spessore umano .
    Resta il mistero di dove provenga tutta questa potenza, per quali vie la malattia dell’azienda entri nei corpi per impossessarsene.
    Una domanda che sta sospesa sulla nostra epoca dove per tutti vale la contraddizione di amore e dolore, fascino nei confronti della potenza estrema e rifiuto di essa che si risolve nell’immagine potente della chiusa di “ lame affilate “ che segneranno il destino di ciascuno di noi:

    “ritornerò nel fuoco dell’ altoforno e mi forgerò nella disciplina
    per completarmi, e poi smontarmi in affilate lame
    che mi inchioderanno al muro di quest’ epoca.”

    All’ interno di questo processo, quello umano sembra accelerare le sue fasi a cui contribuiscono i veleni, le malattie da sostanze tossiche. Le persone invecchiano precocemente, accomunate in questo alle macchine, ai processi di arrugginimento del ferro per cui l’età sfruttabile è solo quella della giovinezza.
    Il verso\regola:

    “Non si assumono lavoratori al di fuori dei 18-35 anni”.

    Assomiglia a una condanna senza appello, che segna la vicinanza dell’operaio moderno a cose intercambiabili e vegetali che si spogliano delle loro foglie non appena s’intravede l’autunno.
    Ma la disumanizzazione nei rapporti sociali riguarda anche quelli familiari. Hu Zhimin ne è prova. Alla sua morte ciò che conta sono “le tre cause di risarcimento” a vantaggio di genitori e fratelli.
    Nessuna pietà da parte della famiglia per il corpo macchina produttrice di soldi, di questa ragazza, a cui si nega persino una degna sepoltura accanto agli antenati pur non avendo mai eccepito sul fiume d’ oro che lei riversava su di loro vendendo il proprio corpo.

    A mio modesto avviso, si tratta di un tipo di poesia in perfetta sintonia con le problematiche del mondo moderno, i suoi crescenti processi di disumanizzazione e omologazione che vedono la produzione delle merci e le sue conseguenze sulla vita umana, ancora al centro della vita sociale ed economica e dunque, almeno dal mio punto di vista costituisce un momento di riflessione importante sui limiti e possibilità di ciò che chiamiamo “poesia”.

    Grazie a chi ha proposto questi testi.
    ciao e buon anno.
    Franco

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  6. Gentile Signor Locarno,
    La ringrazio per la cortese attenzione prestata al mio volume “Quando la poesia si fa operaia. Lavoratori migranti poeti della Cina contemporanea” e Le comunico con piacere che è anche uscito il nuovo volume “Lavoratori migranti poeti della Cina contemporanea.Poesie” sempre di Aracne.
    Buona lettura!
    Giusi Tamburello

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  7. Grazie mille per l’informazione, il suo volume “Quando la poesia si fa operaia. Lavoratori migranti poeti della Cina contemporanea” è stato per me una lettura particolarmente interessante, mi ha introdotto a quel genere di poesia che poi ho cercato di approfondire. Leggerò senz’altro il suo nuovo volume con interesse e curiosità.
    un caro saluto
    Giancarlo Locarno

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