Irene Sabetta: IL MONDO VISTO DA VICINO- nota di lettura Maria Benedetta Cerro

Il mondo visto da vicino (Il Convivio Editore 2020) di Irene Sabetta

Il mondo visto da vicino si presenta come un viaggio, in uno spazio e in un tempo dalle coordinate ben definite . “Voglio attraversare a piedi / la distanza tra la siepe / e l’ultimo orizzonte”, scrive Irene. Quasi un intento programmatico. Un viaggio, quindi, che inizia con la misura fisica dello spazio, il passo, ma che appare come un depistaggio da quello che è, a mio avviso, il senso vero del testo: un viaggio interiore.

Un percorso iniziato con Inconcludendo, il libro in cui l’inquietudine, la ricerca del sé più profondo, il tentativo di individuare una propria ragione di essere nel mondo e nella vita esplorava possibili tracce di una via che apparisse più consona alla propria natura ( e che poi si è rivelata essere quella dell’arte e, più precisamente, quella della poesia.

Il soffermare l’attenzione sulle “dimore”, sui versi attraverso cui giungevano voci in grado di parlare all’anima, la frequentazione di anime sorelle, che già nell’arte e nella poesia avevano “casa”, forse ha orientato in qualche modo le sue rotte.

Un viaggio, certo, e “una scrittura della terra” come afferma Beppe Sebaste, luoghi dove distinguere i “sentieri tracciati” (dall’uomo) dalle “tracce di sentieri” (animali e naturali), ma anche un modo di riformulare lo spazio secondo una propria geografia, quella della parola “ad alta definizione”.

Un indizio di ricerca in profondità, di scavo, potremmo dire, si ravvisa nei versi seguenti: “Fui qualcuno nel passato? / Sarò poeta nel futuro?” Ecco che “quei semi (che) non sanno quale fiore diventare” sono chiamati a cercare la radice, la “casa di mio padre” – dice Irene – cercata “mille volte fa” sotto le macerie che il tempo e i disastri le hanno riversato addosso.

Un luogo che diventa un’idea, “padre e madre / di una dinastia di idee”. E questo luogo non può che essere la poesia, che si alimenta semplicemente di vita.

Ecco allora il senso vero del viaggio, l’acquisizione di esperienze, anche estreme, la conoscenza ampliata e amplificata da luoghi e umanità diverse.

MIAMI, terra veramente non addomesticata dalla civiltà? se Irene conclude amaramente “Miami non esiste”; BISANZIO, luogo di spiritualità ferita e stupefatta “promessa mancata e mantenuta”;

GIZA, dal tempo bloccato nella “clessidra orizzontale”; PALMAROLA, “spazio fatto spazio”, “bellezza rotante”; RIO BOUND, “non c’è luce più vera / di quella che non puoi vedere”.

Non vi sono parole che più di questi versi possano caratterizzare ed evocare magicamente i luoghi  visitati. Esperienze che hanno nutrito lo sguardo di colori, di emozioni, di arte. Visioni di “angeli tristi” dalle “ali abbassate” che hanno nelle mani “il dono delle stelle nere” – l’oscuro, il futuro, l’arcano – in LIGHT IN MAY.

Ma la poesia è l’unica in grado di svelare (togliere il velo) e mostrare la nuda verità. Così Irene giunge a formulare versi rivelatori di un esito di ricerca “Selvaggiamente accettare / il principio (e la fine) dell’andare”.

Resta in “selvaggiamente” la natura empatica, impulsiva, inquieta, addomesticata tuttavia dalla consapevolezza di dover percorrere una via pre-destinata, quella tesa all’incontro, dove la libertà naturale e personale scopre e abbraccia l’altro.

Il testo che sta significativamente a sigillo del viaggio è Otto stanze dove si delinea il luogo reale e ideale destinato all’incontro. Il luogo familiare “nell’ultimo cassetto in basso”, quello più prossimo “alla fine della strada / dove il lampione è spento”, quello più ovvio “lungo la linea telefonica” e, soprattutto,  lo spazio poetico “nell’ottava stanza di una poesia”.

Importante è infine aver individuato “la voce che ti chiede di tornare” perché in ogni parte del mondo umanità è incontro, perché “nessun architetto ha firmato il progetto” della forma del mondo, eppure la Terra ha “emisferi basculanti” da cui dovremmo imparare la diversità e l’uguaglianza, per incontrarci veramente nella “scia luminosa / di un abbraccio senza fine”.

Del resto la poesia è proprio questo: voce che si rivolge all’altro, anche quando sembra parlare a se stessa.

Castrocielo, 5 gennaio 2021            Maria Benedetta Cerro 

 

 

Otto stanze

Incontriamoci
alla confluenza di due fiumi
dove il sasso traballa
rivestito di muschio,
pellicola sdrucciola,
malfermo il piede
chino lo sguardo
le mani gonfie.

Incontriamoci
a metà strada
dove il laccio si scioglie
e la fatica
inizia a farsi sentire,
rimpianto e desiderio
in dosi uguali si mischiano
negli emisferi basculanti.

Incontriamoci
nell’ultimo cassetto in basso
accanto al calzino spaiato
dove tieni le chiavi
delle vecchie abitazioni
e le parole chiave
che non aprono le stanze dei bottoni
né le porte della percezione.

Incontriamoci
nel guscio di noce
dove lo spazio infinito
delinea confini di volti amici
ed il sogno possibile
di un sonno profondo
si palesa reale nel mondo incubo
e scaccia gli spettri.

Incontriamoci
alla fine della strada
dove il lampione è sempre spento
e la bussola in frantumi
smaschera la congiura
dei punti cardinali
e dei biglietti
di andata e ritorno.

Incontriamoci
lungo la linea telefonica
dove il tuo numero è sempre occupato
e non riesci a chiamarti
ma senti una voce
che somiglia alla tua
e ti chiede
di tornare.

Incontriamoci
nella sala d’attesa della storia
dove dobbiamo arrivare in anticipo
di vent’anni almeno
per salvarci dalle bombe
dagli insulti e dagli insetti
dell’oltraggiosa sfortuna.
Madre mia, aiutaci!

Incontriamoci
nell’ottava stanza di una poesia
dove il silenzio non è mai troppo
e l’alfabeto non basta.
Il racconto dei giorni
più molesto del rombo di un reattore
cede il passo alla scia luminosa
di un abbraccio senza fine.

Comincia a camminare,
io sono già partita.

*

 

 

 

Irene Sabetta insegna Lingua e letteratura inglese al Liceo Luigi Pietrobono di Alatri. Quando non cammina, scrive. Nel 2018 ha pubblicato la plaquette Inconcludendo, ed. EscaMontage, e nel 2020 la raccolta Il mondo visto da vicino, Il Convivio ed.  con la prefazione di Beppe Sebaste. Suoi testi sparsi, non solo poetici, sono presenti in varie antologie e sulla rete. Collabora con la rivista formafluens e con il blog Atlante delle residenze creative di Tiziana Colusso.

 

 


2 risposte a "Irene Sabetta: IL MONDO VISTO DA VICINO- nota di lettura Maria Benedetta Cerro"

  1. Una passeggiata intorno alle cose della quotidianità, ma ciascuna di esse, una noce, un calzino, sembra la porta verso una libera vastità baluginante, che poi è l’esistere, e per descriverlo l’alfabeto non basta più.

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