Antonio Sagredo: Rapimenti

Jose Parra
Sempre sono stato rapito dalla musica dei miei versi
senza comprenderla nemmeno dalle note più semplici,
forse per questo l’austerità ha fatto un passo indietro
per non  barcollare, per non rovinare dell’oscurità il disincanto.

E mi ha sorpreso la risposta delle note e i loro suoni - umili 
e obbedienti hanno visto in me un direttore d’orchestra
d’altri tempi - e nei trionfi del passato, e per  antica tradizione,
ha diretto l’estremo suono del sangue più che in  ogni arteria.

E ho soltanto accordato  l’armonia già compiuta  coi rumorosi avanzi
scartati per ovvietà  - per donare l’unità al primato della composizione -
come se una stonata nota non avesse il diritto al rigore del mio rapimento.
E della scala sa tutti i segreti del pentagramma l’esperta Cenerentola

che raccoglie ad ogni gradino una randagia nota gettava via come una bucata 
scarpa, e marcia scopre le più recondite armonie per un compiuto finale 
e alla comprensione dona la nullità di uno scoprire vano e razionale.
Soltanto a me offre, umile e obbediente,  un fatale  mozartiano rapimento.

Antonio Sagredo

Brindisi,  2-3 agosto 2020



rotazioni?

Dissi alla Notte ch’era un inganno degli umani e che  nessun infinito
la contemplava nella sua rotazione… non esisteva il suo contrario.
E il sole col suo corteo invano rotava torno ad una galassia che girava…
che girava senza sapere nulla della sua direzione e destinazione.

Me ne andavo rotando come l’infinito senza sapere nulla di se stesso.
Il mio Io non aveva senso in tutti i corpi in movimento. Invano clemente 
a un qualcosa - a un non so: a chi e dove - mentre ogni corpo intorno mi rigirava 
e questo rotava a un fittizio centro, e questo ancora a un principio inesistente.

Davvero era un naufragio di ogni cosa in moto e nulla di amaro e dolce
avvolgeva la mia mente, come tutte le dimensioni erano e non erano,
avevano e non avevano… non una base dove poggiare i piedi erranti
e nemmeno occhi con cui mirare un limite che s’allontanava indefinito.

Partecipavo indolente, non rassegnato, alla fuga dei corpi in ogni dove,
non tradotto ero distante e vicino ad ogni corpo, celeste non so dire
sempre, e la storia? E il tempo era solo un appendice o un nulla
legato ai luoghi che mi segnavano il passo ad ogni svolta, e al tutto indifferenti.

Umano, troppo umano, disumano, inumano ecc. … di queste parole non avevo
bisogno, e mai udite anche nei ricordi più segreti, come ogni divinità mi si presentava
inutile vestita di simulacri e miti! Ero slegato da tutti i tempi calcolati e non sapevo
le loro significanze e i riti, e vagavo in ogni dove inosservabile e non eletto, e senza rote
                                                                                                                                      
Antonio Sagredo
Maruggio-Campomarino, 10 agosto 2020



Ed era indivisibile questo mio stato con tutti i sistemi che mi chiedevano
conforto, una risposta certa che non potevo offrire senza pietà. Il timore
verso di loro di non concedermi nessun errore era il contrario di un’offerta,
ed era mia la mestizia a non donare dal mio sguardo una definitiva immagine. 

Nessuna preghiera o aiuto mi giungevano da qualsiasi  luogo e nessun confine
e nemmeno una istanza come certezze a cui tendere alla mia mente un appiglio -
ero certo soltanto del mio stato come in una sospensione solo per me senza
alcun senso… e quei sistemi che non si riconoscevano in alcuna rotazione!

Una via d’uscita in tutto quello spazio, immenso è dire nulla, non era nemmeno 
una domanda - e a chi rivolgerla se girandomi miravo corpi lontani e vicini in incessanti 
moti… nulla era immobile se pur nella somiglianza con altro spazio e in altro dove.
Il fittizio specchio mi tradiva con lo stesso disinganno del mio non aver alcun senso.

E in tutto questo mi rigiravo rota di me stesso come il Tutto torno a me,
e da me quelli volevano una risposta alle loro istanze ch’erano le mie primarie
necessità pelose - che non le amavo dal tempo della mia presenza! - e si rinnovava
nella domanda per riferirmi che la discendenza aveva perduta la propria identità.

Antonio Sagredo
Maruggio-Campomarino, 12 agosto 2020




Lo spavento che mi giunse non dai tempi, ma dai luoghi - e ne miravo tanti
da qui - da una stazione che davvero non esauriva tutta la visione! - che sapevo
inconoscibili erano le maschere di un rammarico malcelato, di una curvatura
della mia mente che m’oscurava il punto di un cominciamento cognitivo 

e del principio del mio sapere…  e  quei  luoghi che ad ogni  mia conquista - la nascita 
di una conoscenza di un qualcosa - generavano le palizzate delle interdizioni
con continue e  incessanti  creazioni  e non mi  offrivano se non una visione 
incompiuta, come uno spietato stillicidio  che gonfiava il mio rancore.

E le maschere… che fingevano un pensiero

E gli spazi… che fingevano l’infinito

Antonio Sagredo
Maruggio-Campomarino, 13 agosto 2020


Inutile l’urlo di un cervello implume e il cinguettìo rauco e peloso
di una creatura che si forma e si disforma  dalle sfere – e la leonina 
favoletta va in giro come quella di un messia prebarocco che ci aspetta: 
proprio da noi chiede una risurrezione non interdetta, ma concreta!

Ma che importano agli spazi i terrestri  eventi,  le illusioni di sublimi pensieri
e le credenze di  opachi  atomi  del male e del bene e quei  naufragi  inesistenti 
in un dove che non è, ma è ovunque insensato, non calcolato da nessuno, sognato 
forse, come il galante viaggio a Citera mai compiuto, o forse si - aborto di un imbarco!

Incompiuta…

Antonio Sagredo
Brindisi, 30-31 agosto 2020





E me rigiro in questa casa come la rota di  una senile avanguardia, forse 
un imbarco s’avvicina… la matrice ha traversato il più crudele dei secoli
e gli stermini  già noti  agli universi  non umani… lei mai ne seppe nulla
e il libro in quella casa sua paterna era una presenza aliena.

Non le dicerie delle comari in un nero trapunto mariano e i seriali tramonti, loro…
loro in regressione seminavano rosari e grani, il bambino in avanti calpestava 
i pascoli, pisciava sulle fontane malate, sputava noccioli su quei cristi d’avorio
e sui doganieri esangui, sbeffeggiava il fittizio immenso, ecc… ecc…, e i seguaci!



 ma dov’è Olympia?

Gli occhi non bastavano più, senz’occhi e dietro di me e tutto nell’intorno che rotava… 
e gli universi sono forse un refrain… ritornelli e non stornelli, suoni senza note,
insensate visioni  forse, da cosa tutto questo forse indefinito girare e rigirarsi? 
e tutto l’Osservabile dov’è?, dove ha fine? e il suo contrario? 

E da qui il nulla e il tutto osservo… indistinta fascinazione vede la mente, e poi… 
e qui, su questo insistente punticino ci si appiglia ancora a calcolare assoluti sistemi!
E dove io sono nemmeno il pensiero di un numero che è ovunque, o non è.
Impossibile nascere, rinascere, generare qualcosa dove già ogni cosa è, o non è.

MI sono rotto…. 

Antonio Sagredo
Brindisi, 30/31 agosto; 01settembre 2020




Ma dal nero legno di una quinta, come da dietro chissà quale galassia ignota
i suoni dei sistemi erano lo spasimo di note scartate non degne di una composizione. 
La loro presenza pulsante tradiva lo stato d’essere  comparse  inascoltate forse
in un concerto armonico, che se non d’altri tempi, almeno di luoghi riconosciuti.

Le costellazioni erano ben poca cosa: una scenografia non certo d’avanguardia, 
ma tutte le interiori  rotazioni  trascorse somigliavano a simulacri di monologhi
esangui: sapevamo che tutto era un chiacchiericcio di cortile e che i drammi e
le tragedie si ripetevano in un via vai insensato, come uno struscio provinciale.

Antonio Sagredo
Brindisi,  01/02 settembre  2020



Stazioni

Come ci traversano i ponti e gli arcobaleni! Una volta il tempo aveva un senso
come in un’Arcadia  quando all’infinito prestavi un idillio e di  Asea miravo 
le costellazioni e il frivolo luogo di un cortile non contaminato sottratto 
all’interdizione  di un terrestre passaggio… e qui, su una qualsiasi galassia, 

governo me stesso e un  pensiero che mai è nato, e così il sogno… era altra l’attesa 
di una fluida serenità e dello scorrere di non so cosa! La realtà forse  esiste
e ha senso soltanto sulla terra come gli stermini: una arcadia per i carnefici!
Poi la pietas… una altra invenzione….

Antonio Sagredo
Brindisi,  04 settembre  2020



teatro latino

L’estrema prigionia che ti  dischiuse al canto era il contrario 
di una profezia inascoltata.  Dalle quinte  si cantava la marcia  
consuetudine delle radici  ammutolite e una rovina era la fittizia 
voce che colava sangue di mirtillo  su un castagno nero.

Gli occhi  dal palco sono scivolati nella buca delle maldicenze.
Legnoso era il pianto dell’attore scespiriano per il dilemma
senza sapere che la sua coscienza era sazia di pietosa eternità. 
I suoi passi conteggiavano la fine delle parti  per tutti i personaggi.

I rintocchi  viola e i nastri funebri  segnavano le cadenze e i ritmi
di requiem lacrimosi di necrologi e di epitaffi … pensavo a Orazio,  
che in via del Foro inseguito da uno scocciatore,   pregava Vesta
e i tribunali   d’essere lasciato libero dalla scena  e dalla satira.

I confini hanno negato agli argini il conforto delle palizzate.
La fattucchiera se ne andata via bestemmiando in un latino
che nemmeno Fusco lo capiva… voleva tornare indietro Orazio 
alla via Sacra: gli era impedito dalle parole dei suoi versi! 


antonio sagredo
Roma, 15 ottobre 2020





                                                                                                                             (a Dy.  Thomas)

il conforto  di un omaggio

Mi era indifferente il tuo rancore, le idiozie dei pensieri 
parassiti e la mente che malata sognava una rivolta.
E Cat   il cucciolo menava per il viottolo di latte,
nel bosco il vento sibillino non diceva più frasi latine,
ma le sillabe ora disperde fra i roveti invernali con le dita in fiamme.

E dalla buona notte al cattivo giorno te ne stai seduto
col culo di pietra in quella piazza natale del  fradicio                                   
Galles, che l’alcool  esaltò con la risacca del tuo passo
e onda su onda  l’arenile svaniva il nome e lo  sguardo.

Non avevi ancora il boccale pieno che la spuma tracimava
le tue movenze, e le orbite così piene  cantate dagli occhi 
spiritati che, degni, soltanto il duende e Federico carezzavano,
perché il conforto di una follia era il cammino delle tue gesta!

antonio sagredo
Roma, 21 ott. 2020
(all’ora quarta)



Cogito Zero sul caminetto posa una statuetta,
non c’è modo di farla animata: se ne sta
sdraiata come una odalisca sul divano che nulla
ha di occidentale e né di orientale: si annoia.
Accanto siede Cogito Infinito che riflette
di cose metafisiche e non trova il numero
che la sostiene: è che non sa la radice
dei numeri immaginari: ma farfuglia
come una marionetta non con la bocca
ma coi gesti di scale e scalette e non sa
l’elenco degli oggetti insensibili e si agita
invano dal palco alle quinte: il sipario chiude.

a. s.
Roma, 20 febbraio 2021
(mia Madre muore di morte antelucana 
Il 21 febbraio, ore 01,20)



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