
L’ISTRIONE
Istrione, con che tipo di mastice hai incollato gli spettatori alle loro sedie? Ma lo sai che la tua arte è farina del sacco del diavolo, che stende le sue ali su questo teatro in cui ti stai esibendo e dove hai avvinto tutto il pubblico, con il tuo fascino magnetico? Con arti magiche, compi le tue trasformazioni e, fra balli, canti, piroette ed illusionismi, hai tutti stregato, grazie a quei poteri che ti sono stati conferiti dalla Belva a cui ti sei votato. Dietro questo tuo exploit, c’è la longa manus della mafia di Broodway? O, forse, dalla puzza di raggiro che sento, devo pensare che dietro alla tua riuscita, c’è qualcosa di perverso, di ingannevole, di meccanico, come la “macchina del Dottor Bottom”? Per te le stelle, per me le stalle. Ti sembra giusto, istrione, sapendo da dove entrambi veniamo?
Ad un certo punto io, infimo attore dei più infimi teatri della periferia londinese, consolato solo dal fatto che nessun altro del mio corso avesse fatto una buona riuscita, ho dovuto assistere alla tua irresistibile ascesa. Tu, successo dopo successo, sold out ad ogni data, critiche entusiastiche, sei ormai osannato da tutti, ed io, invece, mancata promessa, potenzialità inespressa, ultimo degli ultimi nell’arte della fabula palliata e della fabula praetexta, a vivere di espedienti, cercando di truccare le carte ad un destino avverso che, me disgraziato, non gira mai per il verso giusto.
Questo pensavo, fino a qualche tempo fa, della mia vita e del “grande” William Prynne, il cui successo era per me più insopportabile del mio stesso insuccesso. E lo era perché io conoscevo Prynne fin dall’infanzia; avevamo fatto tutti e due ottimi studi ed insieme, dalla vecchia Inghilterra, eravamo giunti, giovanissimi, inseguendo il nostro sogno, a Broadway, la mecca del teatro americano. Gira e rigira, alla fine non eravamo riusciti a combinare niente di buono e, quando io avevo ormai maturato la decisione di tornarmene in patria, ecco che a Prynne si presentava una buona occasione lavorativa, un ingaggio con una compagnia abbastanza nota dell’off-Broadway, che lo portava a procrastinare il ritorno. Io partii con la morte nel cuore, aspettando ogni giorno che anche Prynne prendesse quella dannata nave, ma i giorni passavano e passavano anche i mesi, del mio vecchio amico nessuna notizia. Alla fine, dopo qualche anno, ecco che apprendo che la sua carriera aveva ricevuto una svolta; Prynne era diventato “sinistramente” bravo, la critica specializzata si era accorta di lui, e la radio, i giornali, la televisione gli facevano ponti d’oro, salutandolo come l’astro più splendente del firmamento artistico americano.
Un giorno, aprendo per caso il giornale, ho saputo, grazie ad un giornalista di terz’ordine, di nome Auguste Villiers de l’Isle-Adam, della prodigiosa invenzione del Barone Bottom, per conquistare fama e notorietà. La notizia non aveva destato scalpore perché confinata in una delle ultime pagine di un giornale non molto letto a Londra e portava la firma di un cronista che, agli occhi della sua stessa redazione, non aveva nessuna credibilità. Questo de L’Isle Adam (di lontane origini francesi, credo), spesso, data la sua incapacità di raccogliere la benché minima notizia che avesse un qualche interesse, per sopravvivere, si vedeva costretto ad inventare di sana pianta le notizie, e, una volta scoperto, non era stato mandato via a calci nel sedere solo per l’umana pietà del suo Direttore. Ma la notizia della macchina del Dottor Bottom era vera, accidenti se era vera.
“Il risultato della sua macchina è la gloria”, scriveva de l’Isle Adam. “Essa produce gloria come un rosaio rose.” E continuava: “così anche autori drammatici, cantanti o attori, privati fin dalla nascita di questa facoltà ormai insignificante, che gli ultimi letterati si ostinano a bollare col nome di Genio, bramano tuttavia di concedersi, pagando profumatamente, i mirti di uno Shakespeare o le palme di un Moliere… Una macchina per la Gloria: una macchina, mezzo meccanico, per la gloria, scopo intellettuale. Come è possibile? Vi giuro, è vero. Ogni gloria ha la sua claque e ogni claque la sua parte di frode, di meccanismo, di nulla, che si potrebbe chiamare la tattica, l’intrigo o, in genere, il saper vivere, la Pubblicità. O miracolo! Che grande uomo quel Bottom! Proprio la claque, con le sue infinite risorse. Questo Proteo, questa Idra, questo Briareo, che ognuno disprezza in pubblico ma, sotto sotto, ognuno ama; perché chi potrebbe obbiettivamente negarsi un quarto d’ora di successo? A chi non piacerebbe essere re per una notte? Nel suo intimo ogni attore o presentatore disprezza quei cretini che pagano e chiede agli autori un pubblico finto, se non perfetto, almeno perfettibile, come la claque, e Uao! uao! Ua, uau! Brau, au, au, au! Bene bravi bis! E quante infinite risorse ha una claque ben organizzata: grida di donne spaventate, singhiozzi soffocati, vere lacrime contagiose, risolini bruschi e subito trattenuti dallo spettatore che capisce prima degli altri, urla, soffocamenti, bis, tris, chiamate, lacrime silenziose, minacce, chiamate con aggiunta di urla, cenni di approvazione, opinioni espresse al alta voce, principii, convinzioni, tendenze morali, attacchi di epilessia, parti, schiaffi, suicidi, brusii di litigi (l’Arte per l’arte, la Forma, l’Idea), ecc.”.
Così scriveva de l’Isle Adam. Oh, che grande invenzione quel Bottom, pensai. Ed io, attore da quattro soldi, partigiano senza parte e artista senza arte, come potevo fare senza la macchina di Bottom? Ripensai in un flash a tutta la mia vita, alle occasioni sprecate e a quelle mai arrivate. Anni ed anni a menare il can per l’aia, a combattere contro i mulini a vento, come Don Chisciotte. Ma è inutile recriminare, si sa, inutile ricostruire la storia con i “se” e con i “ma”.
E quando alla fine avevo deciso di rinunciare per sempre ai miei sogni di gloria, ecco che mi viene incontro questa prodigiosa invenzione del dottor Bottom; da un ritaglio di giornale, la notizia di questo ritrovato della tecnica mi apre nuovi orizzonti e così riprendo a sperare che la situazione si possa ribaltare, in questa esaltante modernità che tutto può rendere possibile. Avevo già deciso di introdurmi nottetempo in casa dello scienziato per costringerlo a svelarmi il segreto della sua invenzione (come probabilmente aveva fatto il maledetto Prynne, alla fine lo avevo capito) e, dopo, buttare via la formula, anche a costo di doverlo minacciare se non ammazzare. Già pregustavo la fama e la gloria e tutto il resto che fino ad allora mi era stato negato, quando il giornale mi informa che, qualche giorno fa, il Dottor Bottom è stato trovato ucciso in casa sua, e il suo laboratorio messo a soqquadro. Qualcun altro ha avuto la mia stessa idea ed è riuscito a realizzare i suoi propositi, battendomi, di poco, sul tempo. Me misero! Ed ora che cosa posso fare? Non ce la faccio a reggere il colpo di questa ennesima delusione. Ed ora, per me, artista senza arte, partigiano senza parte, che cosa rimane, se non la morte?
PAOLO VINCENTI
Liberamente ispirato a Istrio-mastix o il flagello degli attori, di William Prynne (1600-1669) e a La macchina del Dottor Bottom, tratto da Racconti crudeli, del marchese Auguste Villiers de l’Isle-Adam (1838-1889)
Il dubbio e la sofferenza di chi segue la retta via e non ha successo…ma in fondo si tratta del successo del mondo…che finisce in una notte improvvisa a soqquadro….
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eh già, partigiano senza parte, artista senza arte, colto senza ascolto… spesso la vita è un vero inferno per il bravo narcisista
: )))
peraltro, la scelta estrema dell’io narrante già di per sé è una macchina di Bottom: esempi di artisti che hanno raggiunto fama planetaria dopo un suicidio ce n’è a iosa.
un bel racconto, che strizza l’occhio a certa prosa di Poe e al fatto che passano i secoli, ma l’essere umano è sempre quello: più che toccare il bottom, vive e mette casa su di esso…
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