Neve a Settembre
(a tutti i bambini mai nati)
Neve a settembre
sotto il sole infilzato che raggela
Piegata su un utero negato
nel rimando accucciato del distacco
una donna sazia il pianto
e di zanne s’ingrazia le rughe
Neve a settembre
inerte intorno al ventre
come terra arresa al contadino
fra giri d’orologi senza tocchi
un passo scorre senza impronta
Neve a settembre
al rovescio d’ogni trapianto
con spicchi flessi
in letto al secchio
come limo ignorato
una chiazza battezza colpe al fato
Neve a settembre
brindando con coppe
colme di latte rancido
una maschera scarta carni
scolando polpe offese
al taglio obliquo
della clemenza china
La mensa allestita dalla morte
adagia la tovaglia sull'altare
il vino e il pane, in comunione
ne innaffiano l’accordo
sforbiciando a vuoto
incenso al dilaniato
Penzoloni l’attesa
penzoloni le gambe
penzoloni un destino
Fra gambe spalancate in rammendo
a stringere preghiere senza croci
una donna interrompe un cammino
Un grido all’alba
spegne un cero estinto
e di notte
ne nasce istante al timbro
L’obolo del tolto è già passato
sprofondando questue in limbi fitti
E garze in scambio a organze
s'adempiono scrittura
ché d’altri
mai ne eleveranno uguali
Neve a settembre
fra cambi di sfondi accidentali
in gelo al solco rifiutato
la morte ingrazia morte
tritando figli, a farne guscio al cielo
E salamandre a rosicchiare intorno al collo
a ogni lunazione storta
reggeranno sedie all'impiccato
oscillandone cavicchi
al sia così
che poi sarà
in culto a bocci potati
senza sfoltirne strazio
(da Delle madri, con Disegni di Roberto Matarazzo, prefazione di di Maria Pina Ciancio, postfazioni di Mario Fresa e Pierino Gallo, Edizione L’Arca Felice p.44)
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Nella tua raccolta Delle madri ho trovato un misterioso mescolamento di luce e di dolore, di spaesamento e di conforto.
In questi versi, l’amarezza e il male che così spesso feriscono l’esistenza assumono il timbro e il colore di un’impreveduta dolcezza che sembra tutto assolvere e liberare; sembra, dico, perché sempre si avverte la presenza, lontana ma fortissima, di un’ombra lunga, di un aspro e duro patimento che, mostrandosi dal fondo del suo ama-ro silenzio, vuole potentemente rivelarci - in un istante – l’ineffabile incomprensibilità di ogni evento umano.
Mario Fresa