CLAUSTROFONIA di Doris Emilia Bragagnini, nota di lettura Anna Rita Merico

Claustrofonia -

Doris Emilia Bragagnini

CLAUSTROFONIA

sfarfallii-armati-sottoluce

sezioni: sfarfallii-armati-sottoluce; ipernauta; se il fiore dell’ora;

regoli; eroi celesti; giunchiglie trapassate; nonnulla da tenere.

Giuliano Ladolfi Editore, 2018

di Anna Rita Merico

 

Viaggio arcano, lallante nella parola. È parola che assorbe e invade ogni poro del corpo vivente. È parola che risucchia l’io nella ricerca di un luogo altro. Luogo di nota distorsiva in cui essere in presenza piena. È parola che chiede di realizzare una forma e spogliare il mondo per condurlo alle proprie essenze. Una poesia che pensa l’indicibile per orientarsi verso il dicibile. È il chiaroscuro di Merisi che continua a produrre, a rilasciare senso di domanda. È parola che si radica nel mutante di ciò che sta accadendo, oggi. È parola che sgretola la pretesa di dire.

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Mi decretai la morte il giorno di grano perpetuo

splendeva una stele sotterranea e

fu talpa farsi sorda di clausura

tremando poi – tellurica – nel raggio d’oltremondo

così tenero e malsano da penetrarvi il cuore

senza respirare trattenendo il cosmo esplodendo di piacere1

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Nei versi è Persefone a continuare a parlare, a scandagliare la profondità, a soffiare sullo scomparireapparire di un’ibernazione attraverso cui sfilarsi via dal dolore e compiere attraversamenti in avamposti dell’anima. È quello dell’Autrice, un verso abitato da colma sonorità. È parola che cerca varco tra gli archetipi e le ossessioni di uno spazio che pare irreale ma che è, nei fatti, spazio domestico in cui s’annida cosmo capace di rendere implosione ed esplosione di sillabe intrise di arcane memorie e amniotiche lucidità. Il mondo, nei versi di Doris, non è mai centrato, come una cerbottana la cui molla – tirata – non riesce mai a far giungere al centro la pietra lanciata. Di tale scacco l’Autrice fa senso.

Non c’è nulla dietro l’angolo. Il verso è pienamente nudo, essenziale, ridotto al proprio osso di significato e, pertanto, potente. È verso che compare, disfa e tesse l’illusione che precede la visibilità della parola. È illusione che coinvolge tutti i sensi. È scrittura che sposta l’orizzonte. È testo che evoca azione rammemorante. È testo che lascia emergere frutti sterminati lasciati esplodere all’interno di ciò che, ancora, non è esploso. Doris ci narra un big bang del sentire dell’anima. Il Suo è un tempo attraversato in maniera affabulante, sigillante, rombante. È un tempo che ama legarsi al movimento ondivago della parola. Lo scenario delle visioni si articola pieno: lenzuola stese dondolanti come strappi nella carne2 il passato che ha le chele, gli spilli che restano gelidi nel cuore, le pagine invisibili, il corpo mascherato da universo intero.

La bellezza riconosciuta, trovata e trasfigurata nello spazio domestico che s’erge a cosmo. Cosmo di spazi ed energie in movimento.

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Mi rimane poco da dire se non l’inevitabile vuotezza

(scrivere vuotezza è di moda e sa molto più di vuoto)

di un mondo a colori che non distinguo

Tutto si spalma (il termine spalmare è tecnico)

su pochi fogli di lattuga cerebrale che ancora lascio

per le chiocciole trapanatrici di pensiero3

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E’ un progetto testuale in grado di sperimentare l’andare verso una memoria cellulare che coinvolge corpo e parola. Sono, comunque, corpo e parola situati nell’esperienza. È, però, esperienza trascesa dal sentire. È un sentire che rilancia a partire da un gatto, da uova, dal pane, dai frutti. Si cammina e, tra le righe, compaiono cornucopie di spazi trasformati in visioni adagiate tra acquasantiere panciute e altari barocchi: dimensioni altalenanti insieme ad architetture e luci notturne capaci di preludere a nascite primordiali pulsanti verso il desiderio di invadere e dire il mondo. Le macchie di silenzio intrecciano echi e lallazioni. L’Autrice fa i propri conti con la tensione di accesso all’universo del dicibile e incontra lo scacco della nebbia che chiede offerta di libagione per poter essere oltrepassata. Dinanzi a ciò, Doris annulla la percezione razionale e si apre tutta al sentire per associazioni e immagini. La Sua tensione si orienta verso la possibilità di dire l’essere del proprio sguardo fondante mondo.

La ricerca dell’Autrice si colloca nello spazio pieno della differenza del versificare a partire dal proprio essere donna. Dell’essere donna Doris sente il battito della difficoltà a poter utilizzare le parole date per dire mondo e il proprio sentire profondo. La pulsazione del corpo, in Doris, si manifesta attraverso la dichiarata discesa nell’universo del profondo: regno di Persefone, dicevamo. Regno dell’emersione, regno della tessitura del tempo ciclico in cui il chiuso, il non oltrepassabile, l’ombra, l’assenza, il claustro vengono innervati con il movimento della circolarità. È la circolarità ritmica e musicale ad attivare il battito d’ali capace di mostrare la leggerezza della ricerca: l’Autrice si pone di fronte alla possibilità di abitare spazi bui, nascosti e chiedere, da lì, l’esplosione creatrice di un sentito universo interiore.

E’ un universo che anela ad ammantarsi di parola altra da quella trovata nelle stanze donategli dalla poesia conosciuta. La silloge della Bragagnini si colloca, sicuramente, all’interno dello spazio di ricerca contemporaneo esperito da donne che stanno attraversando spazi di senso linguistico ancora non esplorato né conosciuto. È poesia che non si ferma dinanzi ai mutismi emergenti e percepiti nell’intimo e neanche di fronte agli ignoti sentieri che non sono, ancora, in grado di esprimere tutto il sentire femminile. Il linguaggio poetico di Doris dice e mostra il farsi di questa sorta di prezioso pigmento che è la parola stemperata nel lapislazzulo sabbiato di un sentire incrostato di silenzi e macchie d’interdetto. Da ciò nasce questo dire, questa forma del verso, questo ondivagare tra immagini e suoni. È una forma che afferma la necessità ma, anche, il desiderio di voler uscire dal buio, dal claustro dell’inaccessibile.

Nel verso di Doris non c’è mai strepito o intemperanza o velocità d’esito. Tutto è riposto nell’ordine di un cassetto di tele fresche di bucato. La poesia di Doris conosce quelle tele che sanno della carsicità ritmica cui sono destinate: sparire nel buio claustro del cassetto, ricomparire alla luce obbediente del sole di una mattinata che non si sa bene quando giungerà e che le vedrà stese, profumate d’arancia e d’alloro, a dire di una stanza del pensiero, di una stanza del sentire, di una stanza dell’attesa paziente. Nella tessitura lenta e senza scosse si forgia la possibilità del dire che Doris cerca con disciplina e profondo sentire. Doris è di antica femminea radice e, di ciò, il Suo verso si nutre mostrando lenta forza e lucida lama di personale visionarietà che buca il senso dato e squarcia territori vergini del dire e del significare la realtà.

Nella sezione “nonnulla da tenere” che chiude l’interessante scrittura in poesia di Doris Emilia Bragagnini, si dipana lo scorrere del tempo inframezzato da successioni rapide intrise di pensiero le quali reclamano l’ascolto, l’uscita dalla verticalità della notte, la riduzione lillipuziana o lo slabbramento all’infinito del sentire, la mancanza della parola e il suo mendicare rotondità di senso, il riconoscimento dell’ossessione che perfora la mente incistandosi nella domanda esistenziale: c’è una chiusa provvisoria che contiene l’intero percorso tracciato nella silloge.

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Avevo un corpo un tempo lo sentivo contro il vento

ci sono punti d’attracco che sanno perdermi lo stesso4

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Il “nonnulla da tenere” si palesa come luogo del passaggio sacro. Il passaggio dal corpo nato al corpo che chiede di nascere ed essere non in senso biologico ma nello spazio simbolico del nuovo che chiama a sé la differenza. Lo spaesamento, il sentirsi senza “attracco” dicono di navigazione in acque altre dello e dallo spazio dato, riconosciuto universalmente come spazio possibile per una donna. Claustro è un chiuso da cui emergere, claustro ha suono che giunge da un dentro capace di spingere alla parola, parola poetica, per significarsi. Doris chiama a sé la potenza della notte cosmica e del cosmo tutto per dire il senso di un sentire che è genesi di mondo differente. Allude ad un mondo pulsante dentro ed intorno alla dimensione del segreto arcaico. Dinanzi al segreto Lei (l’io poetico) prende smalto, lacca e forma esteriore in modo da contenere ed evitare l’esplosione del corpo che non vuole più sottrarsi ad un pulsare inseguito e che è stato, sino ad ora, inaudito, scandaloso.

Gli opposti, i paradossi in Doris hanno il sapore di una carezza in versi. È carezza che l’Autrice adagia sulla realtà chiedendole di darsi, di mostrarsi. È realtà ignota che, l’Autrice, accarezza con la scrittura per evocarla a sé in tutto il suo nuovo di giardino in primavera.

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Curo i miei fogli come in una culla, li accudisco

ci giro intorno se li lascio so sempre dove sono e ci ritorno

li riassesto li dispongo li sposto gli rimbocco le parole

accarezzandoli con gli occhi a volte li detesto

sempre con quella bocca aperta come passeri neonati

Cip cip cirip a chiedermi del cibo che ho nascosto o non ricordo

Evito i beccucci non li guardo, allungo tapparelle faccio ombra

forse si addormentano5

.

Un viaggio incredibilmente ricco quello tra le pagine di questa silloge la cui attualità si mostra parola dopo parola. È attualità che ci indica tensioni e provvisori punti di arrivo di una umanità che muta, emerge, scopre viottoli e camminamenti alla ricerca di nuove connessioni con il proprio stesso sentire. Di ciò, Doris Emilia Bragagnini, scrive stringendo tra le mani non una penna ma un pennino capace di registrare movimenti in zone telluriche dell’essere, oggi.

Anna Rita Merico

selezione testi letti dall’autrice D.E.B.

riferimenti:

1 La stazione in Doris Emilia Bragagnini, Claustrofonia Giuliano Landolfi editore 2018, pg 35

2 ivi pg 45

3 Tendenzialmente, ivi pg 105

4 ivi, pg 119

5 Nido, ivi pg 106

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Anna Rita Merico vive nel Salento. Originaria di Nola (Napoli). A Nola ha imparato il senso profondo dell’antropologia attraverso l’imponente Festa dei Gigli (patrimonio immateriale U.N.E.S.C.O.), le strade del libero pensiero attraverso lo studio dei due nolani Giordano Bruno e Pomponio Algieri. Laureatasi presso Università Federico II in Filosofia con tesi in Dottrine Politiche sul pensiero di Carla Lonzi che le ha consentito di intraprendere un percorso mai lasciato: quello sulle politiche della soggettività. Ha tenuto insieme due parti importanti della propria attività: l’insegnamento e la ricerca sugli studi legati alla conoscenza del pensiero femminile con particolare riferimento all’epoca contemporanea ed al medioevo. Intensa attività di saggista, collaborazione a riviste e partecipazione a collettanee. Nel corso del tempo lo spazio preso dalla scrittura poetica, pur essendo stato un luogo da sempre praticato, è andato delineandosi come centrale nell’attività creativa di pensiero definendosi come punto d’incontro generativo tra conoscenza filosofica e poesia. Nell’arco produttivo dell’Autrice ha avuto un ruolo centrale la domanda sull’essere della parola e la sua genesi nell’impasto con il silenzio e la spiritualità. Oltre alle sillogi qui raccolte, sempre per Musicaos Editore, ha pubblicato (2020) la raccolta di testi poetici Era un raggio… entrò da Est, e Fenomenologia del silenzio (2022).

Doris e Marty

Doris Emilia Bragagnini nata in provincia di Udine dove tuttora risiede è presente in riviste letterarie cartacee e online, antologie e poemetti collettivi, in numerosi accreditati lit-blog. Lead editor di “Neobar” collabora come redattrice anche per il “Giardino dei poeti” sostenendo la divulgazione poetica. Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno e spagnolo. Il suo libro d’esordio è “Oltreverso” (Zona 2012) prefazione di Augusto Benemeglio, seguito da “Claustrofonia” (Ladolfi ed. 2018) prefazione di Plinio Perilli, segnalato al Premio Lorenzo Montano (2019) e segnalato al Premio Bologna in Lettere (2019), selezionato tra i finalisti al Premio Pagliarani 2019, segnalato al Premio Umbertide xxv Aprile (2020). Il suo blog personale QUI


2 risposte a "CLAUSTROFONIA di Doris Emilia Bragagnini, nota di lettura Anna Rita Merico"

  1. Claustrofonia è una continua rivelazione, come conferma questa avvincente lettura di Anna Rita Merico, che indaga a fondo un dettato centellinato in ogni suo suono silenzio immagine, restituendoci la potenza di un “viaggio arcano, lallante nella parola”. Illuminante il richiamo a Persefone che continua “a parlare, a scandagliare la profondità” così come “l’Autrice si pone di fronte alla possibilità di abitare spazi bui, nascosti”. Mi è molto piaciuta questa definizione della scrittura di Doris, un incanto: “Tutto è riposto nell’ordine di un cassetto di tele fresche di bucato. La poesia di Doris conosce quelle tele che sanno della carsicità ritmica cui sono destinate: sparire nel buio claustro del cassetto, ricomparire alla luce obbediente del sole di una mattinata che non si sa bene quando giungerà e che le vedrà stese, profumate d’arancia e d’alloro, a dire di una stanza del pensiero, di una stanza del sentire, di una stanza dell’attesa paziente. Nella tessitura lenta e senza scosse si forgia la possibilità del dire che Doris cerca con disciplina e profondo sentire. Doris è di antica femminea radice e, di ciò, il Suo verso si nutre mostrando lenta forza e lucida lama di personale visionarietà che buca il senso dato e squarcia territori vergini del dire e del significare la realtà.”

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  2. Quando, poco più di una decina d’anni fa mi affacciai al mondo della poesia, una delle prime poetesse che attrassero la mia attenzione fu Doris. Scriveva in modo stratosferico e per me fu un vero piacere avventurarmi nel suo universo misterioso e colmo di fascino. Davanti a me si spalancavano temi e versi che esprimevano universi nuovi e sconosciuti. La casa poetica che ci ospitava dopo un po’ fu sconvolta da un terremoto umano-letterario e non fu facile rimanere in vita sul web, aggrappati a questa o quella scialuppa che dopo un po’ perdeva consistenza e si disintegrava a causa di una bufera perenne in cui soffia la vocazione al litigio propria dei poeti. Col tempo i gusti si sono evoluti e così le scritture. Rimane oggi intatta la stima reciproca e la passione immutata per la stessa arte di cui testimonia degnamente Claustrofonia, ben argomentata nell’introduzione da Plinio Perilli e qui da Anna Rita Merico. Auguro il meglio a Doris che lascio con questi versi davvero potenti tratti da “La terrazza”:
    “le parole sì le parole[agiscono]frontalmente appese\come insetti sulla carta moschicida”. (Claustrofonia pag. 45 )
    ciao Franco

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