La sensazione più facilmente “registrabile”, la prima a investire dal punto di vista percettivo alla lettura dei testi di Giacomo Maria Leoni, è una condizione di sfasamento, disorientamento, dovuto alla continua alternanza dei piani di riferimento: spazio/tempo, tu/io, fuori/dentro la propria interiorità. Continua alternanza, nella contratta ricerca di un punto combaciante di senso, dove attraverso il dettato poetico, la “denuncia” della mancanza di risposta, di appiglio, avviene per sottrazione del dettaglio, omessa ma strutturalmente resa fortemente attraverso una logica speculare di ribaltamento dell’idea, dell’identificazione in sé ma anche in altro da sé, dell’’osservare/si alla ricerca di un “valore” unico, misura certa di pensiero mai però “definito” o definitivo, in costante avvitamento e sovrapposizione di certezza (o incertezza). Trovarsi, esserci, dove, con quale risposta emotiva rispetto al contesto, è uno stato di continua possibile metamorfosi, stabilito non è nulla se non quell’unico segno tracciato idealmente sul foglio, come – nodo – sul quale scorrere la fune dei flash ideativi con cui l’autore “sorveglia” che il centro venga sempre a mancare. È nella tensione che sfiora i limiti della dicibilità delle cose che si annida la ricerca e la valenza di questo giovane poeta nel superarli. Giacomo Maria Leoni adotta un approccio verbale espressivamente semplice, lo antepone a filtri in diretto contatto con l’inconscio, evitando le figure per metafore altisonanti anche se a volte ne usa di complesse per l’elaborazione migliore dei concetti. Il verso, comunque colloquiale, non genera l’inganno di credere la sua poetica facilmente accessibile. C’è un forte rigore formale nel cancellare le tracce poste per essere seguite, in una specie di stanza degli specchi costruita a labirinto (molti altri i ragguagli “geometrici” disseminati nei testi a coordinare lo smarrimento), dove si fugge l’esitazione verso la soluzione inaccessibile, percorsa alla ricerca del – pezzo mancante – custodito all’interno di una lucidità di sguardo che disarma e si disarma, nel porgere l’indefinita nostalgia di/per quel punto dell’io ancora a venire ma che già rapisce della sua assenza.
Doris Emilia Bragagnini
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di GIACOMO MARIA LEONI
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Cerchi futuri, ritrovi scaglie
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III – Due
C’è stato un tempo in cui adoravo la tua voce
mi fissava come fossi il tu generico che poi
la ruggine l’acqua il vento la salsedine
e niente.
II – Tot
Un terrazzo dietro l’altro
ma tra le tre e mezza e le quattro e mezza
c’è almeno un’ora di differenza,
al massimo una vita.
I – Uno
Ci sono giorni in cui ti rimpiango, sai.
Penso alle cose che non tornano
e al paradosso della malinconia,
così bella che non ci si crede quasi mai.
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*
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Variazioni sulla malinconia
Quanto sei bella tristezza
quando diluvio e sono banale
come la pioggia quando piove
mi ricordi che deve esserci
una mia enorme coscienza da qualche parte
sull’Aurelia o a Calafuria
disegnata in una bossa di Jobim
intrappolata a una mostra di sarei
generica come il nulla
a quattro ruote sull’asfalto
una via stretta milioni di foglie
e di vie di una foglia
in una pozza in un temporale estivo
ce ne sono anche troppe
e servono soltanto a perdersi
senza pietà
in tutte le mie scaglie.
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*
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A un’ellisse
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Partire con un pianto già a distanza
con assenza puntiforme, l’occhio
verso
– vedi, non è da dimostrare
l’integrale del tuo sorriso sparso
fino all’epicentro
e nuoce gravemente alla salute:
ho perso la regola che tiene assieme
anima e rumore
in due fuochi vacanti
in un unico dissenso.
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*
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Fotocronaca di un riscontro d’aria
(sulla sinistra)
Lei non riconosce il mondo
dal fondo del bicchiere
ottagonale – ‘Tutto sommato’ – pensa lei – ‘non importa’
– tutto sommato lei non pensa, fa e basta
senza alcun integrale primo
(in fondo)
‘ Se Giacomo scrivesse poesie non lo farebbe
così, come la libertà,
non lo farebbe qui e non ora
che è già alba e rumore di sesso’
o forse solo un verso
(dal basso)
Lui si è alzato, non mangia più
le mani, non scrive la poesia
e lei è rimasta immobile
a contare
la sua derivata imparziale
(esterno salmastro: cigola più lo stomaco
delle persiane lato mare)
.
*
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Destinati a perdersi in controluce
Lo so che avevi chiesto per favore
di ritirare quel paio di cuori
ma non c’è neanche una nuvola a forma
di cose buffe, né un’altra corsia
su cui correrti incontro e così sia.
.
*
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Alhamdoulilahi
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Dormire in un taxi giallo
una Peugeot scassata, anni ‘70
tenuta insieme solo dalla voglia
di guadagnare un euro e mezzo euro,
tra terra rossa spazio e spazzatura
tra asini capre e buoi e merda
tanta merda che allora la fame no
ma una ragazzina, avrà avuto
i suoi dodici anni, ci ha preso
per le mani, ci ha detto
on vous aime beaucoup
e lo stomaco.
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*
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Un giorno del giudizio
.
A Domenico Viggiani e alla sua famiglia,
un occhio di pace.
Quella chiesa mi sembrava così alta
e quella donna così piccola
scarnificata dalla sua solitudine
nella moltitudine degli altri che venivano
per l’estremo saluto al suo futuro
Un bacio per testimoniare qualcosa
un nodo di nodi in gola
avrei voluto dirle chissà che, essere diverso dalla fila
da lontano le ho sentito singhiozzare
quando finirà?
ho pensato alle parole, mi hanno ucciso
le sue lacrime sulle mie guance
il marito che tentava di celare una guerra
dietro la sua compostezza militare
la sorella che non risparmiava neanche una lacrima
potesse servirle un giorno
Quella donna non era nemmeno più la coscienza
di una professoressa di Greco, né io il suo pupillo
che torchiava con fierezza, eravamo numeri
ho pensato alle parole, non ho fatto altro
che darle un bacio per testimoniare qualcosa
un abbraccio che avesse un po’ di forza
mi ha sussurrato Giacomo
mi ha carezzato il volto
come se mi fosse infinitamente grata
per la mia presenza in quella fila
interminata, come se valessi di più
e ho pensato a Domenico, stava per andare in America
aveva studiato quello che studiavo io
per andare in America magari, e invece
un albero
.
*
.
calendario mai
.
il cielo di agosto illumina il niente
posteggiato in doppia fila
come il pomeriggio
di cui non ho capito neanche un significato
nemmeno quello del mio compleanno tre giorni fa
il cielo di giugno è troppo corto per aspettare il gloria
alla fine di ogni salmo, anche se vedo l’abside
a santa maria novella e quasi credo a dio
ma dio è vecchio
e il texano che mi segue si lamenta delle tasse
mi costringe a credere all’uomo, poi a niente
il cielo di ottobre è troppo superiore
per ascoltare tutte le giampilieri
che il dio vecchio mette in terra
e se servisse una metafora, per dire
che tutto crolla o sta per farlo
il cielo di febbraio è troppo tardi
per pensare a maierato o san fratello
una frana di parole che mi possa risvegliare
perché una metafora è troppo tardi
e troppo niente
il cielo di dicembre mi dice chiaro e tondo
mentre cerca di vendermi mandarini
in mezzo all’autostrada per dakar
o ci sei o non ci fai niente
e hai voglia a replicare, anche piccato
ha tutte le ragioni e se le tiene
il cielo di marzo è tutto un altro cielo
da ascoltare o bombardare
ma io non ho voglia di camminare
verso tripoli o baghdad,
che in questa via ci trovi solo vecchi e corvi
e non è una metafora, e ci penserà una folla
tanto non cambia niente,
a meno che il cielo, ma troppi cieli.
.
[.]
Io ed il mio destino ce la spassiamo
ipotizzando l’uno l’inesistenza
dell’altro: io nel mio presepe
ho messo mattonelle e crepe
che fanno rima con niente, lui
nel dubbio tira la monetina,
contraddice la statistica,
diversamente sfortunato,
e quello che resta è sdraiato
di fronte al ministero del lavoro
e delle politiche sociali,
il barbone che tenta di scavarsi
un cielo sulla grata. C’è sempre
della poesia durante il mondo.
.
[.]
Cammino ai bordi della mia passeggiata
per sicurezza, mentre Torino è una signora
che ostenta i suoi portici
e toglie importanza al mio ombrellino.
C’è un adesivo che dice
traffic kills
e per questo museo del cinema
almeno un’ora di fila a piedi
sotto la pioggia
non del tutto inopportuna.
Il francese qua davanti pensa
che io voglia saltarlo
ma non sa che a casa ho lasciato
quell’anima e le chiavi
che non sono più nonna
ma solo Via Piave 22,
non sa che è un casino
andare al giro con due anime,
non sa nemmeno
stare sotto un ombrello piccolo.
.
[.]
Ieri mi telefona la vita, dice:
‘A volte vorrei essere nostalgica
del niente, soltanto nostalgia
senza passato, come un puro caso
a cui non credere.
A chi serve ricordare il passato
quando lo può sognare meglio?’
Io non rispondo, ho buttato il telefono,
ce l’avevo già questa idea.
.
*
.
Che numero sono
.
Non ho detto che sarei tornato
presto, ma solo
alla fine di questa eterna guerra
tra tasti bianchi e tasti
sbagliati, o almeno tutto
il tempo di un incidente.
Giudica tu, adesso
che ventisei sono
anni indimostrabili e non mento
sulla diagonale del mio senso
come quando gli anni erano venti
e ne dimostravo già quindici
e terrazza Mascagni mascherava
luglio e spiccioli tra i suoi rasoterra.
Era al chilometro improvviso della FiPiLi
di turno, con il tasso d’interesse triplo
e la mia poesia più grande
una di quelle che non so benedire
perché
l’ho salvata perché
il punto non è la cicatrice sul ginocchio, il gelo
impensato di ogni superstrada notturna:
è sentirla ronzare.
Un panama, una sera di sorrisi cloro pneumatici
urti elastici che neanch’io saprei
ricalcolare
quanto è passato in questo luglio
incidente, nell’altra possibilità
e comunque basta, ero lì
completamente mezzo
e ho sperato qualcosa che
due terzi a dir tanto
non ho sperato affatto, non c’era
spazio.
.
Poi
un riscontro d’aria,
più che puoi.
.
.
.
Doris conferma il suo “fiuto”. Ogni poeta che ci propone è sempre una grande scoperta. Si tratta di poeti, come nel caso di Giacomo Maria Leoni, che saluto e ringrazio, che hanno non poche affinità con la concezione di poesia di Doris. In questa proposta, colpisce quello che Doris definisce in termini di” sfasamento” e di “sottrazione del dettaglio”. Lo stile minimalista dell’autore contribuisce infatti a creare atmosfere rarefatte con tocchi surreali. Penso al titolo spiazzante della prima “Cerchi futuri, ritrovi scaglie.” In “Variazioni” tutto sembra ritrovare di senso e un contesto reale, ma nella chiusa ritornano “le scaglie”. Lo sfasamento si fa poi geometrico, dalla “liquidità” delle prime poesie si passa a una dimensione “aerea” di curve e movimenti, frammezzata da dettagli e panoramiche, nel linguaggio scarno di un copione “ineluttabile”:
(esterno salmastro: cigola più lo stomaco
delle persiane lato mare)
Storie che scorrono in flashback dalla luce nitida, di sentimenti fissati per sempre a oggetti e paesaggi, in cui emerge infine la voce poetante, il “Giacomo” che si sofferma su “pezzi” di vita, consapevole che “il cielo di agosto illumina il niente”.
grazie doris, abele.
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“C’è sempre / della poesia durante il mondo”. E’ il verso che mi colpisce di più: essenziale e chiaro come il ruolo di poeta che Giacomo incarna nelle mille sfaccettature del vivere e, a volte, del morire quotidiano. Se il canto coglie le sfumature e pone in rilievo sentimenti quali malinconia, tristezza…le “scaglie” si mutano in “foglie” e tutte le metafore disegnano già una via di bellezza.
Rosaria Di Donato
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meraviglia.
“destinati a perdersi in controluce” è la mia preferita in assoluto.
e grazie per questa scoperta.
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una presentazione talmente accurata e affilata questa di Doris, ripresa poi altrettanto in ottimo da Abele, che diventa difficile evidenziare qualche parte, pena perderne qualcuna. Dunque mi limito a sottolinearla tutta e ovviamente il come rispecchia la poesia di Giacomo Maria Leoni, i suoi toni, anche ironici e lievi, mai banali. Sottolineo anch’io il verso riportato da Rosaria dal quale scaturisce il tutto qui poetico e poi mi lancio in un wow per la mia qui preferita (quella che dà il titolo al post) e dellaquale Abele ha sottolineato ottimamente il finale:
Fotocronaca di un riscontro d’aria.
un caro saluto a tutti e un GRAZIE (come si vede gigante :))
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Gram è un autore che si è sempre donato come un distillato puro, senza alcuna reticenza.Le sue sono scaglie nate da un intrico di sentire e tentativi di approdo, tanto che questa mia interpretazione circa la sua scrittura , fa sì che ci riconosca il substrato padre presente anche nella poesia di Doris. Avverto per Gram, proprio in quel ribollente marasma interiore lo stesso punto di riferimento stabile; i suoi testi hanno sempre l’enfasi di un saluto al mondo fuori, con precisa volontà di superamento di ogni stallo tramite una sorta di presa spaziale. E vedo dunque questo spazio per Gram come un continuum tra time-past e time-future, intriso di elementi intimistici e personali simboli segreti, come è giusto che sia. Bello rileggerlo, e molto bella anche la presentazione. A voi di Neobar, saluti e ringraziamenti per le deliziose letture scelte.
( Bianca R. C)
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Che grande scoperta Giacomo! Tutte con qualcosa in più queste poesie. Mi sono piaciute tutte. Leggere ma interessanti, e proprio per questo invoglianti alla lettura, alla riflessione su ogni singolo verso o parola. Un vero piacere per testa e cuore. Veramente azzecate le parole di Doris:
“dove si fugge l’esitazione verso la soluzione inaccessibile, percorsa alla ricerca del – pezzo mancante – custodito all’interno di una lucidità di sguardo che disarma e si disarma, nel porgere l’indefinita nostalgia di/per quel punto dell’io ancora a venire ma che già rapisce della sua assenza”.
Grazie a Doris e Abele!
Ciao! 🙂
Fernando
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‘Calendario mai’ è stupenda
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Passo per ringraziare Abele per l’ospitalità e la sensibilità con cui si regala, attentamente, quando accoglie un nuovo compagno di viaggio, in quest’agorà senza l’assillo delle correnti, e anche il resto degli amici qui riuniti. Felice della comparsa di Naked L. che, oltre all’ottimo commento, ha fatto benissimo a richiamare lo pseudonimo con cui è più noto e ama farsi chiamare l’autore: gramuglio (gram).
Ciao a tutti, Doris
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Ottimo il lavoro di Doris, per la nota critica e perchè ancora una volta ha dimostrato di avere l’occhio lungo;-).Mi piace molto la poesia di Giacomo. E’ stata una vera sorpresa. “Fotocronaca e Che numero sono”…sono stupende. Bravo.
Saluti
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un grazie a tutti quelli che sono passati e passeranno, e un grazie particolare a Doris e Abele per l’esegesi e l’opportunità.
se qualcuno vuole passare dal mio sito di non solo poesia, basta cliccare su gramuglio.
giacomo
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Mi piace tantissimo la poesia di Giacomo, sarà per una sorta di affinità che sento col suo modo, sarà anche per l’appartenere alla stessa generazione… grazie a Doris della bella nota critica (la ricerca di un centro che non si trova eppure non si smette di cercare è rivelatrice) e a Giacomo per queste poesie, alcune le conoscevo, altre no. Una bella emozione, spero che avranno presto una pubblicazione ufficiale e la giusta attenzione da parte della critica.
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pienamente d’accordo con Davide, attendo anch’io una pubblicazione ufficiale. la carta, per me, profuma di vita.
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Già ti apprezzavo Gram, ma leggerti così tanto-tutto-di-seguito
è stato un bel viaggio rinfrescante e rigenerante.
Ti vedo come un Buster Keaton che deambula a qualche centimetro
da terra, per toccarla ogni tanto con un balzo e misurarla di qualche
passo per ritrovare il centro. Trovo straordinari quasi tutti i tuoi finali.
Bravissimo.
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