Pubblicato sulla rivista Poesia, Crocetti,n.285, settembre, pp.56-57
Già apparso su http://golfedombre.blogspot.it/2013/09/annamaria-ferramosca-legge-le-volpi.html
STEFANO GUGLIELMIN
Le volpi gridano in giardino
Prefazione di Paolo Donini , CFR, 2013
Nota di lettura di Annamaria Ferramosca
Emergere dalla lettura di questa “anomala” e ricomposta raccolta di canti, in parte già editi, è forse il verbo che meglio esprime la mia uscita da un magma vitalissimo che letteralmente mi ha sommerso, come raramente mi succede leggendo poesia contemporanea. L’anomalia risiede nella volontà evidente di costruire un unicum accostando esperienze di pensiero e linguaggio -come mi conferma l’autore- che abbiano l’impronta dell’accoglienza indiscriminata e per questo fertilissima, perché il pensiero che muove la mia parola fonda nello stile plurale, perché plurale è la vita. Questo crossover di generi e registri, come rilevato con acutezza anche da Paolo Donini in prefazione, è superamento del cliché della compattezza di una raccolta poetica, necessità di guardare oggi verso un più largo orizzonte cognitivo-visionario , in un costante e dilatato incontro-scambio di poetiche.
Così questa scrittura si fa materia cangiante, poliedrica, ribelle, civile. Capace di trasmettere, per esempio, da un versante, lo stupore di fronte all’imprendibilità del femminile, dall’altro la presa d’atto-amara- delle infinite macerie etiche del nostro mondo, con tutta la ribellione e il carico di un cambiamento a partire da sé.
Nei Canti dell’Amore Coniugale nessuno-credo- prima di Guglielmin, ha saputo trasporre in poesia una percezione nuova del femminile di oggi, un’essenza di donna quieta e sapiente, e insieme una specie di folle naturalezza, quella misteriosa mobilità che assimila il femminile a creaturalità incontaminata, pur nello scambio di carnalità e pensiero, animale che stagiona e riparte e ancora plana riposa e di nuovo s’invola, mai solo. L’autore capta nell’essenza di donna note mai prima evidenziate in poesia (maschile), che esprimono quella capacità del genere, di saper scomparire facendo spazio al volo largo della specie, di attraversare con naturalezza la dimensione dell’uno per fondersi in quella corale – oggi più che mai necessaria -, quel suo offrirsi guardingo e insieme generosamente aperto al destino. Tutto questo si trasmette lungo i tredici primi Canti e si concentra mirabilmente nei versi in cui si dice del gesto della compagna nel suo voler compiacere il consorte chiamandolo poeta. Riconoscendo così di vivere, lui, la Grande Illusione della poesia con quella massima autoironia che lo eleva e dunque lo elegge poeta.
Nei Canti Partigiani la lente visionaria-razionale si sposta sul male di vivere, quella incomprensibile nostra contraddizione dell’ essere sociali e insieme irreparabilmente a-sociali, la dimensione grassa dell’occidente( per quanto ancora?), la sozzura della politica dei compromessi e della corruzione, l’incapacità del balzo etico globale, quello di vedere oltre e lontano, per il bene di tutti. E nell’ultima strofa Guglielmin trova un finale grandioso, nel rivolgersi con ironia anche a colui che lo sta leggendo, nel rimprovero rivoltogli di poter essere superficiale, dunque non dissimile da colui che mette alla berlina. Sebbene, subito dopo, in Voglio dire, l’onestà di pensiero fa includere anche se stesso nella folla di coloro che so che la violenza, so che l’ingiustizia… ma non basta se poi confondo patto con inciucio, se parlo con luoghi comuni…
Sì, sono stata esteticamente attraversata pure da una lingua che mescola note gergali vivide ad un lessico pieno, naturalmente raffinato e giusto per questo dire, da un ritmo chiaro, a volte incalzante – personalissima cifra – che risuona in profondità rendendo memorabile la scrittura. E, come l’autore spiega nelle note, lungi dal creare simboli-stereotipi, egli lavora nell’addensare metafore, che a noi appaiono incisive come colpi di scalpello sulla statua-testo. La poesia ne risulta emergere in profilo nitido, vero, sulla scena di frammenti sparsi che non sono altro che il nostro quotidiano di pena e di vuoto. E su questa frammentazione della realtà e dell’umano, appare fulminante, nel testo Incanto , quell’incipit: Vendo monade con vista.,che sarebbe stato anch’esso un titolo significativo del libro, comprensivo del sarcasmo e-diciamo pure- del divertimento del poeta, che salva lui e insieme salva anche noi , dall’annegare nel disincanto.
“Eppure la luce tiene in quella melma” dice Guglielmin, ritornando alla donna, figura che continuamente spiazza, dunque ricuce speranza – senza retorica – mentre il poeta la insegue, spiazzando anche lui chi legge, nell’offrirgli quella sua -di lei- parola che distrae, fruga, capovolge, addita. E ancora e sempre, crea.
Una scrittura che è specchio spietato, totale, della nostra inquietudine del vivere-pensare-comunicare, che appare come modello di una poesia del nuovo millennio, manifesto del possibile canto dell’oggi.
Annamaria Ferramosca
Grazie ad Annamaria per questa nota alla nuova raccolta di Stefano Guglielmin, che rileva elementi importanti della poetica dell’autore. Delle poesie che ho letto, nei link che riporto qui di seguito, mi ha colpito anche il ritmo e la musicalità del verso, il lavoro fatto sulla parola.
http://viadellebelledonne.wordpress.com/2013/06/06/stefano-guglielmin-le-volpi-gridano-in-giardino/
http://rebstein.wordpress.com/2013/02/20/le-volpi-gridano-in-giardino/
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grazie a te per la dilatazione, Abele. Il libro di Stefano Guglielmin, come ogni libro di ottima poesia, deve essere letto più volte, perché ad ogni rilettura apre a nuove inconsuete visioni sull’attualità e sulla nostra umanità che con essa interagisce. e il tutto avviene mantenendo un costante notevole spessore poetico.
un caro saluto,
annamaria
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