Juan Gelman – Sulla poesia (trad. Abele Longo)

ppjuan-gelman

Commentando la presentazione delle prosenze inquietanti di malos (qui), è venuto fuori, a proposito della eterna disputa Prosa vs Poesia, Juan Gelman, e ho pensato di proporvi una mia traduzione di una sua poesia, dal titolo quanto mai significativo, “Sobre la poesia”, che fa parte della raccolta “Hacia el sur” (1982) e fu letta dal poeta in occasione del conferimento del premio Cervantes nel 2011. Non voglio tornare tanto sulla questione, e caricare di responsabilità questa poesia nella disputa/pretesto, come dice malos, nei confronti della prosa, visto che, inoltre, questa poesia sa molto di prosa, così come tanta prosa sa essere poesia, ma riflettere sull’importanza che la poesia, come anche la prosa, può avere nella nostre vite; ovvero, come lo zio juan di “Sobre la poesia”, permetterci di “cinguettare” anche nelle situazioni più insolite. Juan Gelman nacque a Buenos Aires nel 1930 da una coppia di origine ebrea ucraina, ed è morto nel 2014 a Città del Messico. Noto per la battaglia condotta in memoria del figlio e della nuora, uccisi nel 1976 dalla giunta del generale Videla, e per essere riuscito a ritrovare, nel 1999, la figlia della coppia. Autore di oltre 20 libri di poesia, di Gelman sono stati pubblicati in Italia Gotan (1980), Lettera a mia madre (1999), Nel rovescio del mondo (2003), Doveri dell’esilio (2006), Valer la pena (2007), Com/posizioni (2011), sotto (2011) e L’accanito cuore amora (2014).

Sulla poesia

“Avrei un paio di cose da dire/
che nessuno la legge molto/
che questi nessuno sono pochi/
che tutto il mondo si preoccupa della crisi mondiale/ e

di mangiare ogni giorno/ si
tratta di una questione importante/ ricordo
quando morì di fame lo zio juan/
diceva che si dimenticava di mangiare e non era un problema/

il problema venne dopo/
non aveva denaro per la bara/
e quando passò il camion municipale per portarlo via
lo zio juan pareva un uccellino/

quelli del comune lo guardarono con disprezzo/ mormorando
che c’era sempre qualcuno a dare fastidio/
che loro erano uomini e sotterravano uomini/ e non
uccellini come lo zio juan/ soprattutto

perché lo zio cantò cip-cip fino al crematorio comunale/
cosa per loro irrispettosa e si sentirono molto offesi/
e ogni volta che gli davano uno schiaffo per fargli chiudere la bocca/
il cip-cip volava per la cabina del camion e cip-cippava nella loro testa/ lo

zio juan era fatto così/ gli piaceva cantare/
non vedeva la morte come motivo per non cantare/
entrò nel forno cantando cip-cip/ salirono le ceneri e cinguettarono un po’/
e gli uomini del comune si guardarano le scarpe grigie per la vergogna/ ma

tornando alla poesia/
i poeti ora se la passano piuttosto male/
nessuno li legge molto/ quei nessuno sono pochi/
la categoria ha perso prestigio/ per un poeta ogni giorno è più difficile

ottenere l’amore di una ragazza/
candidarsi come presidente/ che un negoziante gli faccia credito/
un guerriero compia delle gesta perché lui le canti/
un re lo paghi tre monete d’oro per ogni verso/

e nessuno sa se è perché sono finite le ragazze/ i negozianti/ i guerrieri/ i re/
o semplicemente i poeti/
o tutte e due le cose ed è inutile
rompersi la testa con questa questione/

Il bello è sapere che uno può cantare cip-cip
nelle circostanze più insolite/
come lo zio juan dopo morto/ come io ora
per conquistarti.”

(Traduzione di Abele Longo, 2017)

 

Juan Gelman: Sobre la poesía

“Habría un par de cosas que decir/
que nadie la lee mucho/
que esos nadie son pocos/
que todo el mundo está con el asunto de la crisis mundial/ y

con el asunto de comer cada día/ se trata
de un asunto importante/ recuerdo
cuando murió de hambre el tío juan/
decía que ni se acordaba de comer y que no había problema/

pero el problema fue después/
no había plata para el cajón/
y cuando finalmente pasó el camión municipal a llevárselo
el tío juan parecía un pajarito/

los de la municipalidad lo miraron con desprecio o desdén/murmuraban
que siempre los están molestando/
que ellos eran hombres y enterraban hombres/y no
pajaritos como el tío juan/especialmente

porque el tío estuvo cantando pío-pío todo el viaje hasta el crematorio municipal/
y a ellos les pareció un irrespeto y estaban muy ofendidos/
y cuando le daban un palmetazo para que se callara la boca/
el pío-pío volaba por la cabina del camión y ellos sentían que les hacía pío-pío en la cabeza/el
tío juan era así/le gustaba cantar/
y no veía por qué la muerte era motivo para no cantar/
entró al horno cantando pío-pío/ salieron sus cenizas y piaron un rato/
y los compañeros municipales se miraron los zapatos grises de vergüenza/ pero

volviendo a la poesía/
los poetas ahora la pasan bastante mal/
nadie los lee mucho/ esos nadie son pocos/
el oficio perdió prestigio/ para un poeta es cada día más difícil

conseguir el amor de una muchacha/
ser candidato a presidente/ que algún almacenero le fíe/
que un guerrero haga hazañas para que él las cante/
que un rey le pague cada verso con tres monedas de oro/

y nadie sabe si eso ocurre porque se terminaron las muchachas/ los almaceneros/ los guerreros/ los reyes/
o simplemente los poetas/
o pasaron las dos cosas y es inútil
romperse la cabeza pensando en la cuestión/

lo lindo es saber que uno puede cantar pío-pío
en las más raras circunstancias/
tío juan después de muerto/ yo ahora
para que me quieras.”


9 risposte a "Juan Gelman – Sulla poesia (trad. Abele Longo)"

  1. Bella poesia, mostra come paradossalmente quell’anomalia che è la poesia si possa annidare coi suoi cip cip nelle cose più normali della quotidianità come camminare, mangiare e anche morire, perché in fondo è una pratica, e come suggeriva Ginsberg “facile come respirare”.

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  2. io amo Juan Gelman. l’ironia mesta se non tragica di queste righe è nuda poesia come non se ne legge spesso. peccato che l’interrogativo sul perché i poeti “ora se la passano piuttosto male” (domanda retorica posta dall’autore) non abbia scosso, assieme a quelle di noi lettori, le coscienze di milioni di pseudo-colleghi poeti sparsi per il mondo, risvegliandoli dal loro torpore *auto-letterario*.
    eppure basterebbe smarrirsi tra le righe di questa splendida lirica per ritrovare la poesia (non è mai troppo tardi), basterebbe individuare il “qualcosa” che vive in queste righe e che invece langue in tanti altri componimenti in versi (o in “righe acapate”, fate vobis, che tanto poco cambia).
    basterebbe smettere di giocare al topoeta di biblioteca e calcare le strade come un gatto randagio (Pasolini docet).
    è finito il mondo, ci chiede beffardo Juan Gelman, sono finiti i poeti o sono scomparsi entrambi? eh, come sappiamo bene, uscendo di casa la mattina o aprendo una pagina web, né l’una né l’altra ipotesi è realistica. Gelman lo sa benissimo, infatti tutta la prima parte della sua lirica è l’unica possibile risposta al problema, ovvero al fatto che la maggior parte dei poeti (non tutti per fortuna, di certo non Gelman) hanno disimparato il mondo o, più semplicemente, si dimenticano di raccontarlo essendo troppo impegnati a raccontare se stessi e le proprie parole.
    ragazzi, questo scritto è un manifesto letterario, altro che cip cip (e non a caso si intitola “sulla poesia”)!! Gelman buca il foglio, buca la poesia, torna a farla attraversare da refoli di vita e di morte, altro che seghe da arrotaparole e penedamore.
    ma davvero qualcuno crede che Gelman non sappia perché “la categoria ha perso prestigio”? eppure ce lo urla a gran voce nell’ultimo verso: la categoria ha perso prestigio e significato nella società perché in larga parte non sa più guardarsi intorno e raccontare la vita degli altri esseri umani, perché in larga parte scrive *per sé*, mentre – ecco la forza del verso finale – io poeta dovrei “cantare” per *conquistarti*, io devo tenere a mente che scrivo per te lettore, per comunicare, per narrare, per coinvolgerti in una pausa di riflessione sudata di vita che non sia solo ed esclusivamente la mia vita e il mio dolore.
    in verità, in verità vi dico, fratelli, è più facile che scriva poesie un clochard coperto di stracci che uno scienziato della parola e del sentimento.
    grazie grazie grazie e un abbraccio ancora ad Abele per avermi fatto incontrare papà Juan.

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  3. @Giancarlo. “Facile come respirare”, ma anche libera e imprevedibile, capace di oltrepasarre ogni ostacolo, inarrestabile.

    @malos. Grazie a te, per la tua bellissima disanima. Quel “bucare il foglio”, l’andare oltre che attribuisci a Gelman, mi ha fatto ricordare questi suoi versi, in cui la scrittura viene vista come reazione a una nostra intima situazione di disagio, in cui confluiscono inevitabilmente quei “refoli di vita e di morte” e ne diventano condizione necessaria:

    Il peso
    Il peso della parola viene da una pelle tesa, furia o pena, infanzia.
    Il vuoto del profondo, appoggiato al vento.

    (da “Salarios del Impío”)

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  4. Bravo Abele! … “eterna disputa Prosa vs Poesia” :: credo, ormai, che quando si parla di *bella letteratura* esista solo il bilanciere dell’uguaglianza tra i generi e la loro fusione. Il testo che hai tradotto, magnifico, ne è la prova… E Gelman ha classe, è fluente nella scrittura, ironico anche su temi drammatici – la realtà tutt’intorno e dentro, così si misura nella melanconia, senza piangersi addosso… Davvero grande*

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  5. ecco cosa deve fare la poesia: smuoverti entusiasmarti svegliarti farti gioire o farti incazzare farti rotolare ascoltare fremere spaccare sollevare …

    e grazie.
    (che belli i blog come questo! che bella la prosapoesia la poesia prosa la poesia la prosa la vita e tutti – un abbraccio in particolare a Abele e aMalos!)

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  6. Grazie Abele, per questa traduzione: è un testo molto bello e provocatorio che sottolinea senza enfatizzare e con consapevolezza l’importanza della poesia riconoscendola come un canto libero.
    Rosaria

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