
Ho sempre sostenuto che un buon libro di poesia si fonda sostanzialmente sull’ispirazione, sull’originalità e sull’onestà, poi viene tutto il resto. Non che tutto il resto sia meno importante, ma in una gerarchia di cose per me essenziali quando leggo poesia, ci sono innanzitutto queste. E queste sono quelle che ho sentito e che mi hanno guidato nella lettura dell’ultima raccolta poetica di Marina Minet ”Scritti d’inverno”. Alita tra i versi di questa raccolta un’ispirazione, che può essere riconducibile a fattori razionali o fortuiti, e che pari ad un’illuminazione “divina” dà anima ai versi e alle parole di tutta la silloge. L’originalità è da sempre un tratto distintivo di questa poetessa, sia nello stile, sempre autentico e perfettamente riconducibile a sè, sia nell’audacia e nell’arditezza del dire creativo, orientato sempre e singolarmente alla verità. L’onestà è il suo un modo di fare scrittura, in base sì alle proprie visioni della vita e del mondo, ma soprattutto in base a principi morali ed etici universali di rispetto per “la parola” e per l’altro. Per Marina Minet, di fronte alla parole si è se stessi, non si bara, non ci si camuffa, non si mente. Si è se stessi con tutte le nostre fragilità, con tutti i nostri limiti, ma soprattutto con tutta l’essenza del nostro essere. Sono tratti essenziali questi, per entrare nell’humus creativo della poetessa, così come è essenziale saperne riconoscere le fondamenta e i tratti distintivi della cultura valoriale sarda: la riservatezza, la lealtà, la tenacia, il coraggio, la fierezza. La raccolta di cui vi parlo e che declama la sua originalità minimalista già nel titolo stesso “Scritti d’inverno”, è stata pubblicata a cura del Premio Città di Taranto, dove l’autrice ha vinto il primo premio per la poesia con la silloge inedita “Così vicino agli occhi”, un testo improntato al dialogo con una terra “altra” dalla propria, cercando nella perlustrazione del tempo, dello spazio e dei volti conosciuti, il solco dell’appartenenza. Assieme a questa poesia, altre otto costituiscono il nucleo della prima sezione titolata “Dialogo alla terra”. Fa seguito nella parte centrale della raccolta, composta da 21 testi, una sezione denominata “Il vero o il nulla” in cui il discorso si fa più intimo e più interiore, raggiungendo l’apice dell’intensità poetica con la lirica “Ridondanza” in cui i versi si fanno quasi preghiera, supplica, invocazione al perdono per “questa ridondanza / che versa lamentele/ per questi verbi mossi,/ severi come Dio/ per questo sguardo fiero che mostra verità” (p.30). La raccolta si conclude con una sezione che ha il titolo di “I treni di Auschwitz”, strutturata in 10 poesie, in cui l’autrice, attraverso un processo di riflessione e anche di identificazione con questo indicibile dramma della storia, cerca parole per scoprire o forse solo dire l’orrore e la follia, così come il dolore arcano di quei volti e di quelle “ossa” che “a fiumi scivolano lente” per poi ritrovarle “…ogni osso allineato/ al sopra e sotto senza legno/ fu vetro freddo al fiato” (p.53). Di bellezza sublime è, poi, il testo con cui ci si avvia verso la conclusione, dedicato ad Edith Stein monaca cristiana, filosofa e mistica ebrea convertita all’Ordine delle Carmelitane Scalze. Concludo questi brevi pensieri riportando in calce la motivazione della giuria del premio Città di Taranto che ha curato questa raccolta: «Un viaggio bellissimo è quello che ci propone Marina Minet con la sua poesia “Così vicino agli occhi”. La vicinanza la ritroviamo al rosso acceso della terra, all’impetuoso vivere di un’anima egregia, alle tante tempeste che ci chiamano a difendere le cose che amiamo. Marina Minet affronta le parole con coraggio, con fierezza. Ci trapassano, ma non passano, restano a bagnare la terra che calpestiamo e che amiamo».
Maria Pina Ciancio
A Edith
“Il Cielo non prende niente senza ripagare smisuratamente”
(Edith Stein)
Arrivò così la sera
come una caduta di foglie al frangere del vento
e niente m’impaurì
né il silenzio né la pace
né la strada smarrita sulla fronte
Quale schianto avrebbe potuto piegarmi
se la bocca benediva il fango
a ogni respiro
e tutte le pietà sembravano straniere
riflesse nella croce di mio padre
Arrivò così la sera, in un cercare di sguardi
col ticchettio dell’orologio come prova
di quell’attesa santa
deposta sulla sorte senza una preghiera
(a Edith Stein)
2015
Interessante questa silloge proposta da Maria Pina Ciancio. mi piacerebbe leggerla!
Un caro saluto,
Rosaria
ps ma non sei più su fb Mapi?
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bentrovata Rosaria e un saluto ricambiato con molto piacere
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