Roberta De Luca: Antropocene 2/ Ottima è l’acqua

Primo Levi

Antropocene 2/ Ottima è l’acqua
Esiste in natura un “brutto potere”, chiamato entropia, di cui parla Primo Levi in un breve saggio del 1983 (Il brutto potere) che si configura come una forza “non invincibile ma perversa, che preferisce il disordine all’ordine, il miscuglio al muro e la stupidità alla ragione”. Contro questa forza della degradazione e della morte si crea tuttavia una virtù opposta, l’omeostasi, un meccanismo di autoregolazione dell’ equilibrio naturale, che  ristabilisce l’ordine e che permette all’uomo e al pianeta di resistere e di vivere. Nell’era dell’Antropocene tale equilibrio si è profondamente alterato: possiamo dire che l’uomo ha assunto d’autorità il ruolo di “brutto potere” senza fornire come argine una virtù oppositiva, e il suo impatto sul clima e sull’ambiente, a partire dalla Rivoluzione industriale, ha provocato il “vizio di forma”, cioè la rottura degli ecosistemi, la modifica di equilibri biologici e naturali che si erano conservati intatti per diecimila anni. Il termine Antropocene è stato coniato da Paul J. Crutzen, premio Nobel per la chimica e scopritore del buco nell’ozono. È curiosa questa coincidenza. Anche Levi fu un chimico e dunque l’idea leviana che solo i “tecnici” possano emendare il vizio di forma non è né peregrina né isolata. Nella sua raccolta fantaecologica, Levi si occupa, tra le altre cose,  dell’inquinamento dei corsi d’acqua. Nel racconto Ottima è l’acqua (inizialmente lo scrittore aveva pensato di intitolare con questa citazione da Pindaro l’intera opera) è narrata la storia del chimico Boero, che, annoiato dal lavoro quotidiano in laboratorio, passa il suo tempo libero sulle rive del torrente Sangone, nei pressi di Torino. Un giorno,  improvvisamente e per caso, il protagonista volge lo sguardo verso l’acqua e scorge un vortice. Preleva un campione d’acqua, lo analizza e scopre che l’acqua presenta una percentuale di viscosità preoccupante. Ciò che aveva cercato inutilmente in giorni e giorni di analisi, si materializza nella “sensata esperienza”dell’osservazione diretta,  poi comprovata in laboratorio. Nella semantica leviana il termine vortice ha una valenza esistenziale, che ci riporta al grande vortice in cui lo scrittore “era incappato”, cioè Auschiwitz, e, dalla nostra prospettiva, una valenza profetica. I vortici oceanici, quelli determinati dalle correnti subtropicali, come fossero nastri trasportatori, hanno convogliato nel tempo accumuli massicci della plastica presente nei nostri fiumi e mari, a formare isole gigantesche  – con conseguente distruzione dell’ecosistema – che neanche un maremoto riuscirà a smantellare. Lo scenario è apocalittico, spaventoso. Levi e Crutzen, tuttavia, non rinunciano mai ad avere fiducia negli strumenti teorici e pratici che l’uomo possiede per invertire la tendenza al degrado, che lui stesso ha innescato, e per ristabilire l’equilibrio naturale perduto.

 

Primo Levi – Ottima è l’acqua

Boero discuteva con se stesso, nella solitudine del laboratorio, e non ne veniva a capo. Aveva lavorato e studiato duro, quasi due anni, per conquistarsi quel posto: aveva anche fatto cose di cui si vergognava un poco, aveva corteggiato Curti, di cui non aveva alcuna stima; aveva perfino (per calcolo o ingenuamente? Anche di questo non gli riusciva di venire a capo) messo in dubbia luce davanti a Curti l’abilità e la preparazione di due suoi colleghi e rivali. Adesso c’era, era dentro, a pieno titolo: possedeva un suo territorio, piccolo ma suo, uno sgabello, una scrivania, mezzo armadio di vetreria, un metro quadrato di banco, un attaccapanni e un camice. C’era, e non era splendido come si era aspettato; non era neppure divertente, era anzi molto triste pensare a) che non basta essere in un laboratorio per sentirsi mobilitato, un soldato sul fronte della scienza; b) che avrebbe dovuto, per almeno un anno, dedicarsi a un lavoro diligente e idiota, anzi, diligente appunto perché idiota, un lavoro fatto solo di diligenza, un lavoro già fatto da almeno dieci altri, tutti oscuri, tutti probabilmente già morti, e morti senz’altro nome che quello smarrito in mezzo ad altri trentamila, nel vertiginoso indice per autori delle Tabelle del Landolt. Oggi, per esempio, doveva verificare il valore del coefficiente di viscosità dell’acqua. Sissignori: dell’acqua distillata. Si può immaginare un mestiere più insipido? Un mestiere da lavandaio, non da giovane fisico: lavare venti volte al giorno il viscosimetro. Un mestiere da… contabile, da pignolo, da insetto. E non basta: fatto sta che i valori trovati oggi non vanno d’accordo con quelli trovati ieri; sono cose che capitano, ma nessuno le confessa volentieri. C’è una differenza, piccola ma certa, ostinata come solo i fatti sanno essere ostinati: del resto è una faccenda ben nota, è la naturale malignità delle cose inanimate. E allora si ripete il lavaggio dell’apparecchio, si distilla l’acqua per la quarta volta, si controlla per la sesta volta il termostato, si fischietta per non imprecare, e si ripetono le misure. Impiegò tutto il pomeriggio a ripetere le misure, ma non fece i calcoli perché non voleva guastarsi la serata. Li fece il mattino seguente, e, sure enough, la differenza rimaneva: non solo, era perfino leggermente aumentata. Ora si deve sapere che le Tabelle del Landolt sono sacre: sono la Verità. Uno viene incaricato di rifare le misure solo per sadismo, sospettava Boero: solo per verificare la quinta e la quarta cifra significativa, ma se la terza non corrisponde, ed era il suo caso, come diavolo la mettiamo? Si deve sapere che mettere in dubbio il Landolt è molto peggio che mettere in dubbio il Vangelo: se hai torto ti copri di ridicolo e ti comprometti la carriera, e se hai ragione (che è improbabile) non ne ricavi né utilità né gloria, bensì la nomea di, appunto, contabile, pignolo e insetto; e tutt’al più la gioia trista di aver ragione dove un altro ha torto, che dura lo spazio d’un mattino. Andò a parlarne con Curti, e Curti, come era prevedibile, andò in bestia. Gli disse di rifare le misure, lui rispose che le aveva già rifatte molte volte e che ne aveva fin sopra i capelli, e Curti gli disse di cambiare mestiere. Boero discese le scale deciso a cambiarlo, ma sul serio, radicalmente: che Curti si cercasse un altro schiavo. Per tutta la settimana non ritornò all’Istituto. Rimuginare è poco cristiano, è doloroso, noioso, e in generale non rende. Lo sapeva, eppure da quattro giorni non faceva altro: provava tutte le varianti, ripassava le cose che aveva fatte, udite e dette, si fingeva quelle altre che avrebbe potuto dire, udire o fare, esaminava le cause e le conseguenze delle une e delle altre: farneticava e contrattava. Fumava una sigaretta dopo l’altra, sdraiato sulla sabbia grigia del Sangone, cercando di calmarsi e di ritrovare il senso della realtà. Si domandava se davvero si era tagliati i ponti alle spalle, se proprio avrebbe dovuto cambiare carriera, o se doveva tornare da Curti e venire a patti, o se addirittura non sarebbe stato più sensato riprendere il suo posto, dare un colpetto di pollice alla bilancia e falsificare i risultati. Poi il canto delle cicale lo distrasse, e si perse ad osservare i vortici accanto ai suoi piedi. « Ottima è l’acqua », gli venne in mente: chi lo aveva scritto? Pindaro, forse, o un altro di quei valentuomini che si studiano in liceo. Tuttavia, guardando meglio, cominciò a sembrargli che qualcosa in quell’acqua non andasse. Conosceva quel torrente da molti anni, ci era venuto a giocare da bambino, e più tardi, proprio in quel punto, con una ragazza e poi con un’altra: bene, l’acqua era strana. La toccò, la assaggiò: era fresca, limpida, non aveva sapore, emanava il solito leggero odore palustre, eppure era strana. Dava l’impressione di essere meno mobile, meno viva: le cascatelle non trascinavano bolle d’aria, la superficie era meno increspata, anche lo scroscio non sembrava quello, era più sordo, come attutito. Scese fino al tonfano e vi gettò un sasso: le onde circolari erano lente e pigre, e si smorzarono prima di raggiungere la sponda. Allora gli venne in mente che le opere di presa dell’acquedotto municipale non erano molto lontane da quel luogo, e d’improvviso la sua accidia svaporò, e si senti sottile ed accorto come un serpente. Doveva portare via un campione di quell’acqua: si frugò le tasche invano, poi si arrampicò per la riva fin dove aveva lasciato la motocicletta. In una delle due borse trovò un foglio di plastica, che aveva usato qualche volta per riparare la sella dalla pioggia: ne fece un sacchetto, lo riempi d’acqua e lo legò stretto, poi parti come un turbine alla volta del laboratorio. Quell’acqua era mostruosa: 1,300 centipoise a 20o C, il 30 per cento di più del valore normale. L’acqua del Sangone era viscosa dalle sorgenti fino alla confluenza col Po: l’acqua di tutti gli altri torrenti e fiumi era normale. Boero si era riconciliato con Curti, anzi Curti con Boero, davanti all’incalzare dei fatti: stesero in fretta e furia una memoria in doppio nome, ma quando questa fu in bozza ne dovettero scrivere un’altra con fretta ancora maggiore, perché nel frattempo anche l’acqua del Chisone e quella del Pellice avevano cominciato a diventare viscose, e quella del Sangone aveva raggiunto un valore di 1,45. Queste acque resistevano inalterate alla distillazione, alla dialisi e al passaggio per colonne di adsorbimento; se sottoposte ad elettrolisi con ricombinazione dell’idrogeno e dell’ossigeno, si otteneva acqua identica a quella di origine; dopo lunga elettrolisi sotto tensioni elevate, la viscosità aumentava ulteriormente. Era aprile, ed in maggio anche il Po divenne anomalo, dapprima in alcuni suoi tratti, poi in tutto il corso fino alla foce. La viscosità dell’acqua era ormai visibile anche all’occhio non esercitato, le correnti fluivano silenziose e torpide, senza mormorio, come una colata d’olio esausto. I corsi alti erano ingorgati e tendevano a straripare, i corsi bassi invece erano in magra, e nel Pavese e nel Mantovano i rami morti si insabbiarono nel giro di poche settimane. Le melme sospese sedimentavano con maggior lentezza dell’usato: a metà giugno, visto dagli aerei, il Delta era circondato da un alone giallastro del raggio di venti chilometri. A fine giugno piovve su tutta l’Europa: sull’Italia settentrionale, sull’Austria e sull’Ungheria la pioggia era viscosa, drenava con difficoltà e ristagnava nei campi, che si impaludarono. In tutte le pianure i raccolti andarono distrutti, mentre nelle zone in pendio anche lieve le coltivazioni prosperarono più dell’usato. L’anomalia si estese rapidamente nel corso dell’estate, con un meccanismo che sfidava ogni tentativo di spiegazione: si registrarono piogge viscose in Montenegro, in Danimarca ed in Lituania, mentre un secondo epicentro si andava delineando nell’Atlantico, al largo del Marocco. Non occorreva alcuno strumento per distinguere queste dalle piogge normali: le gocce erano grevi e grosse, come piccole vesciche, fendevano l’aria con un lieve sibilo, e si spiaccicavano al suolo con uno schiocco particolare. Furono raccolte gocce di due o tre grammi; bagnato di quest’acqua, l’asfalto diventava viscido, ed era impossibile circolarvi sopra con veicoli gommati. Nelle zone contaminate morirono nello spazio di pochi mesi tutti o quasi gli alberi d’alto fusto, e pullularono le erbe selvagge e gli arbusti: il fatto venne attribuito alla difficile ascesa dell’acqua viscosa lungo i vasi capillari dei tronchi. Nelle città la vita civile prosegui pressoché normale per qualche mese: soltanto si osservò una diminuzione della portata in tutte le tubazioni d’acqua potabile, ed inoltre le vasche da bagno e i lavandini impiegavano più tempo per svuotarsi. Le lavatrici divennero inutilizzabili: si riempivano di schiuma appena avviate, e i motori bruciavano. Parve all’inizio che il mondo animale offrisse una barriera di difesa contro l’ingresso dell’acqua viscosa nell’organismo umano, ma la speranza ebbe breve durata. Si è stabilita cosi, entro poco più di un anno, la situazione attuale. Le difese hanno ceduto, assai prima di quanto non si temesse: come l’acqua del mare, dei fiumi e delle nuvole, cosi tutti gli umori dei nostri corpi si sono addensati e corrotti. I malati sono morti, ed ora siamo tutti malati: i nostri cuori, pompe miserevoli progettate per l’acqua di un altro tempo, si sfiancano dall’alba all’alba per intrudere il sangue viscoso entro la rete dei vasi; moriamo a trenta, a quarant’anni al massimo, di edema, di pura fatica, fatica di tutte le ore, senza pietà e senza soste, che pesa in noi dal giorno della nascita, e ci impedisce ogni movimento rapido o prolungato. Come i fiumi, anche noi siamo torpidi: il cibo che mangiamo e l’acqua che beviamo devono attendere per ore prima di integrarsi in noi, e questo ci rende inerti e grevi. Non piangiamo: il liquido lacrimale soggiorna superfluo nei nostri occhi, e non stilla in lagrime ma defluisce come un siero, che toglie dignità e sollievo al nostro pianto. Cosi è in tutta l’Europa, oramai, e il male ci ha colti di sorpresa, prima che lo comprendessimo. Solo ora, in America e altrove, si incomincia a sospettare la natura dell’alterazione dell’acqua, ma si è bel lontani dal sapervi porre riparo: intanto è stato segnalato che il livello dei Grandi Laghi è in rapido aumento, che l’intera Amazzonia si sta impaludando, che lo Hudson supera e rompe gli argini in tutto il suo corso alto, che i fiumi e i laghi dell’Alaska si rapprendono in un ghiaccio che non è più fragile, ma elastico e tenace come l’acciaio. Il Mare dei Caraibi non ha più onde.


4 risposte a "Roberta De Luca: Antropocene 2/ Ottima è l’acqua"

  1. Come annunciato in Antropocene 1/Fare i conti planetari, comincia oggi un percorso su Levi in prospettiva ecocritica. E’ un’occasione per conoscere l’autore oltre i confini del suo ruolo di grande testimone. Rimanendo tuttavia anche in quei confini. Un caro saluto

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  2. Il punto di partenza da un piccolo e quasi insignificante parametro scientifico che non funziona come dovrebbe, i cui fenomeni poi si espandono con una progressione geometrica, mi richiamano i racconti di Asimov (praticamente coetaneo), però qui c’è una visione etica più sviluppata. L’effetto di questa nuova acqua sui fiumi sul mondo, e poi all’interno dei corpi, mi presenta un’immagine dell’uomo nella sua corporalità come un piccolo mondo, in corrispondenza biunivoca con quello più grande, come fosse un suo frattale.

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  3. Racconto che parte con un certo pathos per poi diventare una specie di fredda cronaca del disastro, quasi a sottolineare come quest’ultimo abbia soffocato pure il sentimento che si può provare per l’equilibrio della natura. Certo siamo di parte, la natura in realtà non perde mai il suo equilibrio, entropia o omeostasi sono la stessa cosa, disordine e ordine intercambiabili…ovviamente però pure io facendo il mio interesse mi accodo al tifo per la seconda circostanza.

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  4. l’acqua, risorsa imprescindibile per la vita, quanto l’aria e la luce del sole. non a caso, ecco allora che il sistema mercato ne appropria… difatti, nostante un referendum vinto contro la privatizzazione dell’acqua, gran parte del patrimonio idrico del paese è gestito da società private o con “spirito privatistico” (obiettivo: fare profitto, ovvero, anche se la proprietà dell’acqua è pubblica, la sua gestione è di fatto privata).
    una realtà tra in viscido e il “viscoso” che rende metaforicamente ancora più attuale il racconto di Levi.

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