Il colatoio
In questo colatoio
se ci separiamo uno dopo l’altro finiamo nello scolo
ora che nelle case abbiamo anche il superfluo
ma è come se non avessimo nulla
ora che abbiamo il reality e il confessionale
ma non sappiamo cosa piangere
il futuro è un chiodo arduo tra le mani
il futuro non è un punto di destino
la gioia è triste
la bellezza un fatto increscioso di cronaca:
minorenni scalfite dai lupi
fiumi evacuati dai pesci
tribù che si diserbano nella sporcizia
In questo colatoio
si vive in una compulsa aggregazione
di malaria e all you can eat
non nasce più il ginkgo biloba
e i tempi sono frastagliati di perplessità
al largo del ghiacciaio Totten
In questo colatoio
a reggere il manico di vite labili e terrose
è una supplica malata di Parkinson
un ex tronista che rantola più roco
affacciato alla coscienza:
non ammazzatevi
Immagine potente dei tempi, di quel che siamo e presto non saremo. Come il Totten dell’Antartide che galleggia più di quanto pensiamo.
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Proprio stamani, prima di prendere il solito treno, mi sono fermato dal mio negoziante preferito (l’ultima bottega di alimentari sopravvissuta ai megamarket) a prendermi qualcosa per pranzo, a un certo punto gli ho detto, “pensa, oggi sono 40 anni dal giorno in cui partii per il servizio militare (il senso è questo, la frase più colorita)” “ricordo quella mattina, c’era un ghiaccio per il Viale, che sembrava una pista di pattinaggio” e lui “adesso è più caldo” e io “eggià, il riscaldamento globale” e lui “eh, sanno di non far bene, ma lo fanno lo stesso”.
Questa poesia di Capaccio esorta a non ucciderci di superfluo, esorta, esorta, tutto quei sordi, che sanno di far male, ma ugualmente si avviano al tramonto e il Totten dell’Antartide confuso con un whisky on the rocks. Malcapitati che siamo: sappiamo e non muoviamo un dito.
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“non sappiamo cosa piangere”, eppure “la gioia è triste”. un combinato che dice molto sul colatoio.
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