Danilo Dolci: Di tutti è solo quanto inaccessibile

by Giovanni Izzo

Di tutti è solo quanto inaccessibile

fino ch’è inaccessibile

a contatore l’acqua – manco buona -,

la luce a contatore,

e nella strada

per non morire troppo pieni

di merda e orina, si deve pagare.

Lo studiare, il capire – fino un certo

punto soltanto – e l’arte, a contatore,

l’amore a contatore.

 

Ma in quanto è troppo complicato e scomodo

Applicare a ciascuno il contatore

– come per respirare –

si lascia diventare fogna il cielo

– la sporcizia nell’aria ha uno spessore,

chilometri e chilometri – e la gente

quando può, si trova dirottata

a grandi mucchi – pur se ad uno ad uno –

a boccheggiare bisogni insopprimibili:

e sulle spiagge – un tanto a metro quadro –

il sole? costa soldi,

per l’ombra, soldi,

soldi, guardare il mare,

il profumo dei fiori, soldi,

soldi, trovare un minimo silenzio,

sta diventando un prezioso lusso

tuffarsi in acque non inquinate

ma forse già radioattive.

 

I più non se ne sono ancora accorti:

la gente non ancora derubata

del tutto, o avvelenata,

non sapendo di possedere cultura

va a comprarsi cultura in scatola,

sogna di lasciarsi derubare

sogna di vendersi ai propri boia.

E paga per suicidarsi

Ma non troppo, se no non può pagare:

soldi per far esistere gli sbirri,

soldi per fare fuori chi si oppone a quest’ordine,

soldi per aiutare i parassiti ad accalappiarla,

soldi per fingere democrazia.

 

Danilo Dolci, da Il limone lunare Poema per la radio dei poveri cristi (Laterza, 1970)

***

Il 30 dicembre 1997 ci lasciava Danilo Dolci. Lo ricordiamo con una sua poesia tratta da Il limone lunare (1970), che riteniamo particolarmente attuale in questa fase dell’era dell’“Antropocène”,  in cui l’azione degli esseri umani sull’ambiente domina nelle modifiche climatiche e biologiche che il pianeta subisce, con il degrado dell’ambiente direttamente correlato al degrado umano.  La “modernità” si è ormai rivelata un’illusione, stiamo pagando caramente alle nostre inadempienze. L’illusione lascia sul campo disastri, scempi e vuoti esistenziali.

Ringraziamo il maestro Giovanni Izzo per averci concesso di utilizzare una sua foto che cattura tali disastri e scempi e invitiamo  a partecipare al “Premio Costruire la Città Terrestre”, indetto dal nostro blog e dall’Associazione Festival per la legalità –Terlizzi . Il concorso è gratuito e rivolto a tutti gli interessati, inclusi gli studenti del triennio delle scuole superiori. Si tratta di realizzare delle opere ispirate alla figura, all’opera e alle battaglie per l’ambiente condotte da Danilo Dolci in una o più delle seguenti sezioni: narrativa, poesia, fotografia in bianco e nero.

Per maggiori informazioni: https://neobar.org/premio-costruire-la-citta-terrestre/


3 risposte a "Danilo Dolci: Di tutti è solo quanto inaccessibile"

  1. Pasolini e Dolci, un “uno-due” che stende. in particolare, resta modernissimo il concetto della “monetizzazione spinta” di ogni aspetto della vita nel mondomercato capitalista (“qualunque cosa ha un prezzo e un prezzo ha qualsiasi cosa” recita un vecchio nanoforisma), tanto che mi stupisce che nell’elenco sia sfuggito il “pensiero a contatore”. ma, soprattutto, l’intelligenza di Dolci prende corpo nella terza parte, quando non si può fare a meno di rabbrividire leggendo di un’umanità che “sogna di vendersi ai propri boia”. un’intuizione forte e precoce di quello diventerà l’ordine del giorno del “bisogno indotto 2.0” in cui il flusso biunivoco tra avere ed essere entra in loop ululando alla luna “pizzette Catarì, qual è il vostro segreto??!? se ho fame, me la fate passare, se non ho fame me la fate venire… pizzette Catarì, ora v’ho capito”. insomma, uno scenario da neorealismo distopico in cui la piena realizzazione della società consumistica che si è consegnata alla signoria del mercato viene raggiunto solo e soltanto nel momento in cui gli schiavi convinti di essere liberi s’accodano spontanei e gaudenti al banco macelleria, poggiando da soli la testa sul tagliere per congratularsi con la mannaia.
    davvero bella, poi, la foto in bianco e nero di Giovanni Izzo dove il rudere (di un abuso?) “impalla” la fotocamera turbando la profondità prospettica a perdita d’occhio di un mare schiumoso.

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