Franco Intini: Due modi di dire silenzio, Tomas Tranströmer e Annamaria Ferramosca

Alexander Klingspor

 Due modi di dire silenzio, Tomas Tranströmer e Annamaria Ferramosca

 
1)BREVE PAUSA IN UN CONCERTO D’ORGANO (Tomas Tranströmer)

L’organo tace e cala un silenzio di tomba
Ma solo per pochi secondi.

La poesia inizia dove finisce il pezzo d’organo. Tutta la bellezza è concentrata in un prima, poi subentra la sua distruzione. La cattedrale come il centro dell’universo, il lampo nella singolarità di un punto

Poi si insinua da fuori il debole ronzio
Del traffico, l’organo più grande.

Tra interno ed esterno c’è continuità di suono dove il mondo di fuori lavora in pianissimo le sue note, anch’esse in qualche modo ordinate in uno spartito d’organo. Si distingue però il battito del proprio cuore in un’ intimità allargata  come un’altra orchestra di cui fa parte l’autotreno che intanto passa.  E’  la  rappresentazione di un’idea già presente nell’io che si trascina dietro immagini indistruttibili, da sé stesso generate

Sì, siamo circondati dal brusio del traffico che gira
Intorno alle pareti della cattedrale.
Là scivola il mondo esterno come una pellicola trasparente
Con ombre che lottano in pianissimo.
Come emergesse fra i suoni della strada odo
Nel silenzio uno dei miei battiti,
sento il mio sangue circolare, la cascata che
si nasconde in me, che mi porto dentro,
e ugualmente vicino come il mio sangue remoto
come un ricordo della prima infanzia
sento passare un autotreno che fa tremare i muri
vecchi di seicento anni.

Ma è anche l’innesco per un ricordo più potente, un abbraccio materno in un tempio fermo ad un’epoca remota in cui risuonano voci di adulti ed in cui le colonne trasfigurano in alberi

E’ quanto di più diverso ci può essere da un abbraccio
Materno, eppure proprio ora sono un bambino
Che sente gli adulti parlare lontano,
voci di vincitori e vinti si confondono.

Siamo dunque in un bosco irreale -dove le radici si uniscono a formare il pavimento e le chiome sono fuse tra loro- ma è solo per inoltrarci in un’altra immagine, in un viaggio che è come ridiscendere al regno dei morti

Sulle panche azzurre siedono sparuti parrocchiani.
Le colonne si innalzano come strani alberi:
niente radici (solo il pavimento comune) e
niente chioma(solo il soffitto comune).

Il sogno lo trasporta in un cimitero e la morte infine appare come esperienza già vissuta di esserci in attesa e in tutta la sua potenza

Io rivivo un sogno: sono solo in un
Cimitero. Ovunque lampeggia il fulmine
Fin dove arriva lo sguardo. Chi aspetto? Un amico.
Perché non arriva? E’ già qui.

dove essa ha casa e corrode ogni cosa fondendola con il terreno, contornandosi di misteri che parlano attraverso il lilla sconosciuto ed il buio in cui saetta il fulmine

Lentamente la morte avvita la luce da sotto,
dal terreno. La landa splende di un lilla sempre più forte
di un colore che mai nessuno ha visto…finchè la luce
pallida del mattino sibila tra le palpebre

A una breve pausa si sostituisce uno status angoscioso di silenzio senza senso, immanente alla vita in cui è apparsa e a cui la prima ha rimandato.

Ritornare alla luce non è solo risveglio ma riacquistare coscienza della propria esistenza che si porta dentro il cordone ombelicale del legame all’inesistenza, minandola alla radice, rendendola vacillante e specchio di un mondo sempre in forse irriducibile ad idee astratte, come non può esserlo un temporale in cui saettano lampi e fulmini imprevedibilmente.

ed io mi sveglio a quell’imperturbabile FORSE che
mi porta per il mondo vacillante.

E dunque anche il concerto d’organo, trionfo d’armonia e idealità che precede la pausa è affetta da questa incertezza?

E ogni astratta immagine del mondo è impossibile
Come il disegno di un temporale.

Sembra di sì ed è come assistere ad un sommovimento dove l’ordine supremo di un primo istante implica il disordine crescente di quelli successivi e dove alla certezza si sostituisce un’ incertezza via via più grande. Anche esso dunque vacilla, svela la sua non assolutezza.  Il libro delle contraddizioni si apre

A casa c’era l’Enciclopedia onnisciente,
un metro della libreria, imparai a leggere lì.
Ma ogni uomo riceve la sua enciclopedia scritta,
cresce in ogni anima,
è scritta dalla nascita, centinaia di
migliaia di pagine pressate le une contro le altre
e tuttavia c’è aria in mezzo! Come il fogliame
che freme nel bosco. Il libro delle contraddizioni.

è l’enciclopedia onnisciente che non conosce nulla e non può conoscere perché ogni cosa muta ad ogni attimo, ha solo febbre dentro, divenire qualcos’altro, fiamma che brucia ed è bruciata, onda che investe ed è investita

Ciò che sta là muta ad ogni attimo, le immagini
Ritoccano se stesse, le parole scintillano.
Un’ondata investe l’intero testo, ed è seguita
Dall’ondata seguente e la seguente…

Una breve pausa conduce il poeta al regno del nulla e questo a quello della mente che lo rispecchia fedelmente, con le sue pagine mancanti, gli spazi incolmabili nell’enciclopedia del sapere, in un continuo rimandare della certezza ad altro che sancisce una verità impossibile da fermare e definire, stritolata com’è nelle contraddizioni del divenire: ordine e caos, determinismo e indeterminismo,  presente e passato, armonia e frastuono, conoscenza e ignoranza etc.

 
2) METROPOLITANA 2 (Annamaria Ferramosca)

Anche qui il silenzio diventa protagonista. È all’interno di un vagone della metropolitana, dipinto come un girone dell’inferno quotidiano, in cui la poetessa mette piede:

Ci governa una luce fredda intermittente
mi chiedo come fermarla come
farne luce caldacontinua che diffonda
oltre le porte scorrevoli oltre
il bisogno di ossigeno e i contorni annegati del giorno
 

è lei infatti a percepire come condanna questa luce intermittente, fredda, subita dai passeggeri quasi a volerne condizionare i comportamenti che risultano infatti dominati dall’inazione:  impassibili, avvolti in attese amorfe e a indicare la salvezza in un “farne” luce ferma, liberatoria che diffonda oltre la porta scorrevole il suo essere caldacontinua


I compagni di viaggio impassibili

statue con minimi sobbalzi alle fermate
avvolte in attesa amorfa
Una rassegnazione senza pathos senza vendetta

Ad attraversarla è dunque un impulso, incoercibile perché profondamente umano, a colmare la distanza che divide le persone e, una volta superato il grande muro, a far riacquistare una dimensione allo spazio condiviso, rendendolo sede di azione, attività.

E’ possibile farlo? Alla poetessa, come al prigioniero nella caverna di Platone, sembra di sì. D’altro canto il senso della sua arte come quella del filosofo è proprio di cercare il dialogo con la coscienza collettiva, smuoverla in nome di valori universali, caldi per la luce del sole che li governa.  Declamare è la via per provare ad abbattere gli ostacoli che invece dividono il tutto in parti omogenee, marmoree e riappropriarsi di parole, gesti, interesse nei confronti dell’altro:

mi monta incoercibile una voglia
di abbattere il grande muro
decido di improvvisare  anzi
performo al centro del vagone
una poesia di quelle ritmate tarantate
 abbiamo altre parole questa notte
un corpo musicale
a vendicare il tempo passato senza fuochi...

A perdere però non è solo il poeta che al limite potrebbe rientrare in una di quelle categorie interpretative come ” non è per l’elemosina che lo fa\ forse delira chiamo il 118 ” ma soprattutto l’uomo che  si riconosce in un ordine dove per assurdo, è solo il silenzio di uno a dialogare  con il silenzio dell’altro.

Che ne è allora della parola?  Essa è semplicemente morta e dunque risulta solo fastidiosa, imbarazzante, inerte vettore di bellezza poetica e gli uomini di conseguenza si rivelano ancora una volta inattivi, sordi e incapaci di muovere un passo persino di fronte a un ritmo “tarantato”, a cui è impossibile resistere:

e’ imbarazzo palpabile-come m’aspettavo-ma
nessuna reazione di allarme o di pietà
nè un bisbigliare “non è per l’elemosina che lo fa
forse delira chiamo il 118
nessun cenno empatico o indulgente
solo impercettibili soste nel respiro
imbelli occhi bassi e
silenzio al mio silenzio.

A venir fuori è un’umanità paradossale che coltiva un’ indifferenza attiva e  pronta a respingere ogni tentativo di ingerenza nel proprio io diventato assolutamente incomunicabile e rassegnato. Silenzio dunque che rimanda il lettore al deteriorarsi dei rapporti umani all’interno della nostra civiltà e che, potentemente, interroga il poeta sulla possibilità di intercettare il proprio tempo e smuovere gli  abitatori dall’ indifferenza, assurto quasi a unico valore universale.

Note:
(1) “ Breve pausa in un concerto d’organo “ di T. Tranströmer  è tratta da Poesie del silenzio,2011 a cura di M. C. Lombardi, Crocetti editore.
 
(2) “Metropolitana 2”, di Annamaria Ferramosca è tratta dalla raccolta “Andare per salti”, Arcipelago Itaca edizioni 2017.


3 risposte a "Franco Intini: Due modi di dire silenzio, Tomas Tranströmer e Annamaria Ferramosca"

  1. Mi sento profondamente compresa in questo ascolto acuminato di Franco Intini, di cui ben conosco la capacità di farsi investire anche dal non detto nascosto tra le parole. E in questo testo, che descrive un episodio “di ordinaria follia” fatto da me realmente accadere in un vagone della mtropolitana, quasi a testare il livello di incomunicabilità cui siamo giunti, Franco riflette e prende atto del peso ormai sonoinsopportabile del silenzio/indifferenza che monta, che fa dell’uomo un alieno, e insieme della responsabilità di chi scrive nel non far spegnere la tensione alla comunicazione da sempre prerogativa dell’essere umano.
    E il pensiero sul silenzio di Tanstromer, Intini ha voluto affiancarlo alla mia visione in un parallelo impossibile, vista la siderale distanza dalla sua grandezza. Qui i testi sono analizzati minuziosamente dall’interno , evidenziando tutta la complessità dell’immaginario di questo poeta che sulle pieghe reali e metafisiche del silenzio ha scritto un’ intera raccolta, tutta da penetrare ed elaborare, traendone ognuno dense verità, come suggerisce Franco, con le sue luci deduttive. Franco che tanto ringrazio per il suo dono.
    Annamaria Ferramosca

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    1. Sono le differenze tra i punti di vista sullo stesso tema che maggiormente mi attraggono perchè sono queste che rendono il ricco vissuto di ciascun poeta, la sua elaborazione particolarissima a contatto con la realtà fenomenologica e che lo fanno emergere nello scenario della sapere, spesso e altrimenti riconducibile a mera conoscenza oggettiva. Ciao

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  2. il silenzio di tomba (Tranströmer), “quei pochi secondi”, è l’assenza dell’organo. E’ l’organo che assicura il flusso di “luce caldacontinua” (Ferramosca). Ed è per questo che nelle stazioni diffondono musica classica (penso alla mia stazione degli autobus ad Harrow on the Hill, immancabile Mozart ogni mattina presto). Il silenzio è luce, una luce forte che richiama la morte “Lentamente la morte avvita la luce da sotto,/ dal terreno. La landa splende di un lilla sempre più forte/ di un colore che mai nessuno ha visto…/ (Tranströmer); e la forza della poesia di Annamaria è nel vigoroso invito-dediserio (come il Dylan di Do not go gentle in that good night) a reagire, scuotere il silenzio e farne luce-musica di vita. E dall’organo di Tranströmer – non a caso all’organo viene affidato il requiem – si passa a una poesia “tarantata”, capace di scuotere dal torpore e infondere linfa vitale.

    Un grande grazie a Franco per questa lettura molto ispirata e ad Annamaria, poetessa a me particolarmente cara.

    Piace a 1 persona

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