Continua… La Rivoluzione degli Eucalipti!

Continua… La Rivoluzione degli Eucalipti!

 La notizia del prolungamento della Mostra di Nina Maroccolo “La Rivoluzione degli Eucalipti” (inaugurata a Roma, il 14 Maggio, presso la Galleria d’Arte Moderna di via Francesco Crispi, doveva chiudere a fine Agosto, ma sarà prorogata fino al 10 di Ottobre), è davvero una bella cosa. Grazie al placet della Sovrintendente Capitolina ai Beni Culturali, Maria Vittoria Marini Clarelli, e del responsabile delle Attività Espositive, Claudio Crescentini – e oltretutto il conforto della Critica – il gesto creativo di Nina è diventato quasi e come un rito, insieme sinestetico ed epocale.

Scriverò dell’albero della protezione. La caratteristica propria di mutare.

Le sue mute, quasi scorticamenti di pelle.

Scrivo con gli alberi, assieme a loro, la mia vita è infibrata del loro

esistere.

Si fa espressione dei sentimenti più puri.

Si chiama: DEVOZIONE.

La Natura Tempio, la Natura Rito, ha ritrovato in quel magico drappello di eucalipti salubri e temprati, annosi e a loro modo mitici delle “Tre Fontane” (nella Roma che chiede anche alla Storia la fertilità delle proprie radici), non solo la certezza dello spazio e la volubilità del tempo, ma, molto di più, l’infibrarsi rigenerante (Nina direbbe “primevo”) del loro stesso pensiero poetico.

Albero salubre e terapeutico per eccellenza, l’Eucalipto è diventato, nell’immaginario e con l’immaginazione di Nina Maroccolo uno splendido, travagliato anche, ambasciatore vegetale capace di raccontare la crisi planetaria in atto, l’emergenza climatica, le jatture della stessa (cattiva) Politica, quando vuole usare e abusare della Natura per fare maggior profitto, con lo scotto – viceversa – della buona coscienza

(e quest’ultima, per fortuna, no, che non si lascia mai intimidire).

Ancora grati a chi ha amato addentrarsi con saggi e studi di profonda adesione (da Eraldo Affinati a Gian Piero Stefanoni, da Niccolò Rinaldi a Francesca Di Castro, da Lucia Guidorizzi a Paolo Carlucci, da Bruna Alasia a Licio Ugo Racovaz etc.). E mi piace segnalare un recentissimo, gustoso poemetto “critico” di Marco Palladini, un po’ alla maniera (si parva licet) di Emilio Villa quando si dedicava con cadenza teorico-poematica all’arte di Burri o Fontana, Mirko e Gastone Novelli…

A volte non c’è di meglio della poesia, per circonfondere e circondare – decrittare, esplicare, il gesto concreto e insieme indicibile che suffraga l’arte, adempie e avvera l’arte… Ma ecco un bel brano, caustico e profetante, di Palladini, tratto appunto dal poemetto in progress, critico e sinestetico, ironico e severo, su Nina eucaliptica

   …

   Nina Maroccolo è questo paziente, metodico, ispirato

Artifex che con callide manipolazioni e tecniche di abluzioni

Trasduce l’eucaliptico fogliame e cortecciame

In un magico paesaggio inedito, come un paesaggio

Che sta dietro il paesaggio (Andrea Zanzotto dixit),

Come visioni che stanno dietro la sua visione visionaria

Una così nomata ‘rivoluzione eucaliptica’

Come eutopia in divenire, luogo altro di un accordo

Tra scienza botanica e arte che irraggia armonie impensabili,

Vettori simbiotici di meraviglie in serie, tra grumi, gocce,

Scie, orme, solchi, geroglifici, nervature, flabelli, linee,

Cascatelle, rivoli, trasparenze, profili, tagli, ciuffi,

Onde, rilievi, sbreghi, cicatrici, circoletti, rugosità, riflessi

Noi, personalmente, recuperiamo un testo che avevamo poi deciso di lasciar fuori dal catalogo eponimo (o meglio “libro d’arte”) de La Rivoluzione degli Eucalipti, che d’accordo con Nina si era scelto di chiamare, trasformare nell’explicatio fedele e diligente dell’ABSTRACT.

Abbiamo chiamato a suggellare, supportare questa nuova iniziativa, anche una breve, affilata riflessione attuale dell’amico Vincenzo Notaro: magna pars e nocchiero di Disvelare Edizioni (nonché animatore artistico e progettista grafico dell’“Officina Mirabilis”), che hanno reso, esteso, stampato e legato a libro, catalogo, codice policromo ed emotivo, la lunga ricerca di Nina, il suo gesto artifex, e i suoi accelerati o dolcissimi soffi d’anima.

Vincenzo riproporrà qui anche il suo lungo, bel saggio “iniziatico” che racconta Nina – e insieme profetizza, nell’hic et nunc, la Mistica pazientata, rivissuta e seminata di questa piccola, grande Mostra,

cioè gesto che si fa evento. Le immagini – alcune altre foto, tra le opere ben collocate, impennate, e le cronache vissute della permanenza museale – sincronizzeranno, disveleranno sguardi e modi, emozioni e parole; il poeta “veggente”, eterno fanciullo dalle suole di vento, diceva: Illuminations.

                                                                    Plinio Perilli  

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photo Vincenzo Notaro

DELL’ARTE PRODIGIOSA

Su La Rivoluzione degli Eucalipti di Nina Maroccolo

Vincenzo Notaro

Ci sono opere d’arte che recano una luce nouminosa così intensa da costituire all’atto stesso della messa a terra un prodigio.

Ossia, la reificazione di certe opere è qualcosa di non facilmente spiegabile, eppure non del tutto soprannaturale, perché è qui e ora che accade: un fatto che si spinge un passo oltre il razionale, oltre gli strumenti tecnici, oltre le modalità conformi e convenzionali.

Parlare d’arte in questi termini, si sa, è fuori dal dibattito contemporaneo, un ardimento che condanna o illumina sta al fruitore deciderlo.

Quanto va detto in questa sede è che oltre il materialismo, oltre il nichilismo artistico odierno, c’è ancora chi nulla ha a che fare con la guerra a suon di arguzie e battutine; esistono ancora artisti lontani dalla peste del real-marketing – mi riferisco al pallido greenwashing, alle operazioni finanziare in criptovaluta, alla controdittatura dei complottismi scadenti quanto le libertà imbelli che invocano.

Così, mentre l’arte contemporanea si paluda tra banane appiccicate al muro, non-fungible token, scemenze libertarie e filtri Instagram d’autore, c’è ancora un microcosmo artistico autentico e resistente che produce quella che possiamo definire ‘arte prodigiosa’: un’arte che va avanti, va oltre, e si concretizza in mostre difficili, libri eroici e fatti, appunto, non spiegabili da hype e logiche di sistema.

Come la proroga de La Rivoluzione degli Eucalipti di Nina Maroccolo, che sarà in mostra fino al 10 ottobre 2021 alla Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale.

Ben quaranta giorni in più ai tre mesi e mezzo previsti! Un accadimento singolare, esito di anni di ricerca e lavoro dell’artista, fiorentina d’origini e romana per amore, svolti contro ogni sorta di difficoltà; un prodigio avvenuto anche grazie a chi ha creduto nel meravigliante progetto di Nina Maroccolo fin dal primo momento e fino in fondo, uomini e donne animati da ispirazione, passione, criticismo, visione e luce.

La Rivoluzione degli Eucalipti restituisce all’Italia un antidoto al veleno delle brutture contemporanee (non solo artistiche); un’arte che cura, e però nulla a che fare con le cretinerie olistico-newage-benaltriste; un’arte totale, i cui processi psicologici (di alchimia interiore) restano complessi quando non enigmatici. Un’arte che procede per viatici pericolanti, umbratili e accidentati (malattia, lutti, conflitti… per tornare alle difficoltà di chi quest’opera l’ha vissuta in prima persona), e pertanto richiede finanche al fruitore uno sforzo, quasi un atto di fede: andare oltre, fino al cuore dell’ispirazione, fino alla scintilla di luce, rischiando di cambiare… con tutto il sacrificio che può comportare e con tutto quanto realmente accade a chi smuove le forze spirituali che – con buona pace dei nichilisti – vibrano in noi. Per sfiorare almeno un barlume di grazia, la grazia che è bellezza, verità e dono.

Dunque, non perdetevi questa mostra, una mostra importante, e per il viaggio immaginifico che dischiude e per un auspicabile futuro dell’arte italiana; non perdetevi il libro, primo volume della collana ‘le Sibille’ di Disvelare edizioni, un libro che è un’opera a sé, frutto di ricerca su tutti i piani, nel quale troverete, in dialogo con le opere in mostra, il più commovente romanzo lirico della Maroccolo.

La Rivoluzione degli Eucalipti è una visione sinestetica, terapeutica e luminosa sulle più stringenti criticità del nostro tempo, affrontate, però, da un punto di vista ‘inattuale’… e perciò eternante.

Evento patrocinato da Roma Culture

Organizzazione Zètema Progetto Cultura

Mostra a cura di Plinio Perilli

Cura grafica e comunicazione Officina Mirabilis

Libro d’arte edito da Disvelare edizioni

Info e contatti: www.ninamaroccolo.art

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photo Vincenzo Notaro

LA PROFEZIA DEL QUI E ORA

Sulla mistica di Nina Maroccolo

Vincenzo Notaro

«La gioia prima è conforme alla varietà;

la gioia suprema è conforme alla maturazione;

l’estasi della cessazione è consumazione;

e la gioia nata insieme [prima e suprema]

è conforme al senza segno».

Mahakalatantra

Molto raramente, nel devoto peregrinare di chi è chiamato alla ricerca spirituale, si ha la fortuna di incontrare qualche mistico vero. Quando ciò capita – e mai per caso – accade qualcosa di trasformante.

Tempo fa, conobbi un russo, fondatore di un kaula di tantrika, al quale ingenuamente chiesi dove sarei dovuto recarmi per essere iniziato in un kaula di lignaggio tradizionale…

Mi rispose qualcosa che suonava così: «sarebbe inutile andare in India o in Tibet, semplicemente non saprebbero come trasformare un occidentale».

Secondo il mio conoscente, l’ostacolo insormontabile sarebbe stata la profonda differenza dei linguaggi simbolici. Senza le giuste chiavi immaginifiche, insomma, nessuna trasformazione si sarebbe schiusa in me.

Questa semplice osservazione, nel mio percorso si è rivelata cruciale: mi ha trasformato.

Ma c’è un altro aspetto operativo, poco compreso dai tradizionalisti, che si intuisce da una riflessione che Hillman fa di passaggio nel Saggio su Pan: l’anima e il suo immaginario mitopoietico sono materia viva, e per vivere devono trasformarsi. Ciò che non si trasforma muore.

Ogni culto ha il suo corpus di pratiche legate al modo di percepire sensorialmente il divino, un’infinità di stratificazioni che ineriscono storia, ambiente, costumi, vissuti personali. Queste stratificazioni lasciano tracce. Tracce che si trasformano in continuo: parole, suoni, mantra, yantra, geometrie, colori, mandala, sigilli, preghiere, formule, invocazioni, visioni.

Per paradosso: ciò che è eterno, per esser sempre tale – uguale a sé –, eternamente si deve trasformare.

E veniamo a questo meravigliante lavoro di Nina Maroccolo.

Gran parte dell’arte contemporanea considerata alla moda, che con una infelice espressione da galleristi stanchi potremmo definire ‘nel dibattito’, si è ridotta ad argute battute autoreferenziali prevedibilmente erogate in serie, o ad astrazioni distratte per edonisti da salotto.

Sembra si sia reificato quel «mondo disertato dagli dèi» melanconicamente cantato da Hölderlin, un mondo ridotto a un deserto che, «come sopra così sotto», è arido tanto spiritualmente quanto fisicamente – basti pensare alla grave crisi climatica in atto, tra i temi centrali di quest’opera.

Al contrario, l’arte di Nina Maroccolo è ‘fuori dal dibattito’, è oltre l’arte stessa, è mistica, religiosità, rivoluzione. È profezia.

E per esser tale, si è dovuta svestire dei simulacri del fare arte. O meglio, Nina quei simulacri non li ha mai vestiti. Nuda veritas, Nina è libera dai tecnicismi della fotografia e della poesia: il suo processo creativo è una sperimentazione, laboriosissima, scevra da consuetudini e regole, tant’è che un fotografo riterrebbe impossibile fare ciò che Nina fa con strumenti che potrebbero essere considerati perfino inadatti…

Eppure le sue opere sono sotto i nostri occhi, così vere e pulsanti, così profonde e misteriose.

La sua assoluta originalità sta qui.

Se penso alle macerazioni mi riaffiorano alla mente, al contempo, passi dai tantra tibetani, così come le riflessioni del filosofo giardiniere Gilles Clément sull’arte involontaria: «Esiste tuttavia una zona indefinita nella quale si incrociano il dominio elementare della natura – le contingenze – e il territorio marcato dall’uomo. Questo terreno d’incontro produce figure che sono al tempo stesso lontane dall’arte e vicine […]. Quest’arte poco considerata, perché non premeditata, galleggia sulla superficie delle cose. […] È un’arte disarmata, sprovvista di azioni e di opportune missioni; si sottrae alla politica, si espone in fretta e subito scompare. Priva com’è di un’utile consistenza, non la si può volgere al proprio profitto, poiché non appartiene a nessuno. È un effimero e sottile stato dell’essere. Talvolta, una luce. Prima di tutto, è uno sguardo».

Ella stessa, nel dar principio alla Rivoluzione, scrive delle sue macerazioni: «[…] come un giardiniere d’altri tempi, prendo da terra lo scarto dello scarto, e lo metto dentro una piccola vasca di vetro trasparente. / La riempio d’acqua fino all’orlo. / La lascio fuori mattina e sera, soggetta alla luce, alle temperature, alla pioggia se piove, al freddo se fa freddo. Ogni giorno fa fede alla sua unicità. / La metamorfosi della materia, il suo donarsi è un’auto-conquista. Una forma di libertà che si esprime senza induzione umana».

Da questo procedimento, propriamente alchemico, come si vedrà più avanti nel testo, Nina dischiude «nuovi mondi». Mondi esistenti qui e ora, unici e differenti da tutti gli altri «infiniti mondi» e, proprio per questo, accesso al segreto onnipervadente che vibra in ogni cosa.

Altro paradosso: il regno dell’imperituro e della non-individuazione è accessibile solo nella piena presenza nel qui e ora.

In quest’opera ci sono le chiavi simboliche di una disciplina arcani a uso di noi occidentali contemporanei. Tra lirica e fotografia, in una devozione profondissima e commovente, Nina attraversa dal vajrayana all’ars combinatoria, smuovendo le segrete rispondenze ermetiche, fotografando le cicatrici di una donna che ha guardato in faccia la vita, la morte, la resurrezione, il dolore e l’estasi della gioia, e ha ritrovato una tale armonia con la Natura da riuscire a scioglierne il misterioso cuore: vibrazione fondante i fenomeni vibrata dai fenomeni stessi.

Ne La Rivoluzione degli Eucalipti troverete, più vive che mai, le chiavi pulsanti di una mitologia perennemente cangiante che, proprio in quanto tale, non può far a meno di lottare per la vita, sua, degli altri, dei bambini, della Natura messa in pericolo dall’abbrutimento dell’uomo.

Dal particolare all’universale: dalla folgorazione delle iridescenti cortecce degli Eucalipti, Nina è riuscita a produrre un balsamo – veram medicinam – che concilia mistica e scienza, arte e natura, toccando tematiche di stringente importanza: la violenza, il cancro, la crisi ambientale… la Grazia, Dio, Avalokitesvara

Note:

Il presente testo è tratto dal volume La Rivoluzione degli Eucalipti di Nina Maroccolo, Disvelare edizioni, 2021.

Per motivi di compatibilità web, i caratteri diacritici non compaiono in questa versione.

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photo Vincenzo Notaro

Per un umanesimo vegetale da riscrivere.

(Su La Rivoluzione degli Eucalipti di Nina Maroccolo)

ABSTRACT

della Mostra e del Catalogo d’Arte

“La Rivoluzione degli Eucalipti” – il libro d’arte, dunque il Catalogo: ma anche la Mostra di Nina Maroccolo presso la Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale – si apre con una dichiarazione vorremmo dire di poetica su La materia e la sua metamorfosi: “La macerazioni sono necessarie. Ci portano alla comprensione di verità che vorrebbero eguagliare Natura e Uomo… Forse a macerarsi sono i nostri rami prosciugati, le vecchie mute che nel canto e nei suoni ci portano al setticlavio delle ‘partiture vegetali’.”…

Ma c’è un ma. Una jattura, una stortura, un’aberrazione: “Dovrò anche scrivere quanto l’eucalipto sia stato sfruttato attraverso la clonazione. È un albero sempreverde che ha la caratteristica propria di crescere rapidamente, è coltivato in tutto il mondo.”… Quello che in pieno ‘800 era l’albero salubre per eccellenza, si è ritrovato così al centro dei disastri ambietali e della silvicoltura più sconsiderata.

Nina per almeno sei anni, dal 2014, ha visitato, registrato tutti i cambiamenti, i linguaggi, il sentire straordinariamente rivelatorio dei vecchi eucalipti impiantati a boschetto alle Tre Fontane (periferia romana verso l’EUR), un secolo e mezzo fa, nell’auspicio delle sue virtù benefiche e antimalariche… “Scriverò dell’albero della protezione”…

Il vero e proprio proemio del libro/mostra, è l’Omaggio all’EARTH DAY, la giornata mondiale della Terra, istituita dalle Nazioni Unite nel 1970, ogni 22 aprile – in omaggio ad un sentito appello ecologista del Presidente Kennedy (nel discorso inaugurale della Presidenza del 20 gennaio 1961). Nina scrive idealmente alla sua anima, gli racconta del nostro irrisarcibile “debito con la natura”.

L’Immaginario non vive indisturbato, problema dopo problema – riconoscendo e testimoniando però l’antidoto supremo di Bellezza e Visione, ci s’infiamma l’anima – ci induce a resistere.

Le arcane vette di Kailash, le tibetane, himalayane massime cime del pianeta, parlano profetiche col sommo Universo, adirate contro l’Uomo, gli uomini che “sembrano attratti da ciò che è insensato”, e “credono che la soluzione dei conflitti sia il conflitto stesso”: mentre “Terra Madre sta morendo”…

Il dialogo susseguente, lievita nel solco come di un’operetta morale leopardiana: accesa però della reverenza cosmica e della Compassione spirituale d’una antica parabola o jātaka buddhista; indirizzata tutte al Sublime Avalokitèsvara, l’Illuminato… “Sto andando, Madri… Questo cielo è tornato a risplendere!”.

Eppure, “Il Caos tornò nei nostri cuori”. Portando con sé “le più fragili creature viventi”…

“A quel tempo viveva un coro all’unisono di bambini”… Il loro impegno e messaggio, è un pacifico proclama di sopravvivenza: noi vivremo dentro la caverna d’eucalipti / sarà la nostra nuova casa / le apocalissi non ci spaventano / le abbiamo già vissute”…

   La Civiltà sorge, insorge e accelera. Loro che furono, e vissero “la notte carsica”. Fu già salvezza sopravvivere, evolversi, giungere a un nuovo “tenero mattinale”…

Col personaggio inopinato e stravagante di Salvatore Lucinio – filosofo libero, moralista del Bene – Nina Maroccolo s’inventa quasi l’ambasciatore, semplice e quotidiano, di una Città Interiore che “si fece geografia del destino”… Mentre onora e pazienta “la vita che dentro si trasforma”, palpitando la concreta “possibilità di liberare se stessi e gli altri”.

Dal lockdown al breakdown, “Salvatore non amava stare solo”, sentirsi il corpo chiuso, e non poter “dialogare con esso”. Eppure, raggiungendo e piangendo “l’ombra perduta”, poteva finalmente tornare “un uomo libero” .

Continuano le parabole e insieme i jātaka della Maroccolo.

Ora rincorre in Alaska il celebre scrittore Jack London, negli anni pionieristici della Febbre dell’Oro: “Ehi, mio lupo celeste! Anima libera!”…

Poi s’intrufola in Australia ai tempi del geologo Melvyn Lintern, che scoprì e rivelò particelle d’oro sull’apparato fogliare, i ramoscelli e la corteccia degli eucalipti.

Tutti gli anni qui s’assommano e confluiscono, e insieme si distinguono, si percepiscono come piccoli o grandi esempi di virtù metaforiche. Ecco le miniere di carbone degli Anni Venti, in Inghilterra. Ecco, ancora più radioso ma anche turbato, esaltato d’ombra, il DreamTime australiano, l’Età del Sogno dei primi aborigeni: “L’arte univa il presente al passato e gli essewri umani all’Oltre-umano”,,,

In un colloquio intrigante col Dott. Crispi, medico e guaritore di Psiche,  Salvatore Lucinio sogna ed insegue un “luogo dove consegnare quel che resta del nostro eco-sistema mentale”…

Ma tutti sono passati in rassegna o sono chiamati a farlo. L’agronomo De Andrade, a nome del malverso e maldestro nuovo mondo dei profitti: “Fu lui, agronomo con spiccato senso degli affari, a introdurre in Brasile alberi esotici provenienti dall’Oceania: gli eucalipti”…

“Le aziente procuravano lavoro. Erano convincenti. Incoragganti. Bugiarde. Si arrivòalla violazione dei diritti umani”.

Alessandra bambina – del suo tempo ma anche del nostro, sconfinata e creaturale – si rattrista guardando in televisione l’Amazzonia bruciare, bruciare sempre e ancora. Ancora piccola, ignora però i segreti, le proprietà, le profezie e i misfatti del DNA, ad esempio, dell’Eucalyptus Grandis… “Il sequenziamento del genoma è stato fondamentale per la scienza: sia per comprendere la biologia adattativa delle piante sempreverdi, sia per la bioenergia. La mappatura completa ha permesso di rilevare 36.000 geni presenti nell’albero”. Il doppio circa che nella mappa umana.

Che emozione, per Alessandra ormai donna adulta, scrivere come una lettera alla cara Devonia  della “tensione originaria”:

“L’evoluzione è una ferita immedicabile. Necessaria. / Ma tu, tu ama la tua Storia. Amati nelle forme dei giganti. / Nelle piante aliene.”…

Ancora, Nina/Alessandra scrive e racconta, implora e persegue e onora l’eucalypto come “canale privilegiato per mantenere intatta la memoria delle piante. Per un umanesimo vegetale da riscrivere.

M’insegnò la via dei fiori… le virtù medicamentose”…

“Caro progenitore, devo andare.

Sono richiamata a un presente chiamato Apocalisse.”

Lucinio, tanto, come un antico filosofo, un Marco Aurelio dei poveri, un bizzarro Seneca dei semplici, che passeggia quasi dentro un dramma di Shakespeare, “chiamò a sé le parole”. È un personaggio meravigliosamente assurdo e beckettiano, divertito e divertente, cioè un illuminato. “La voglia di rinascere”: “grazie alla saggezza, egli viene purificato.”

Tornano i bambini, torna in Nina/Alessandra il ricordo permanente della dolcezza materna: tornano “i piedini tra i petali”: “camminavo un giorno d’inverno / con le scarpe della domenica, / e portavo un canto di gioia nelle tasche”.

A quel tempo di tutti i tempi, “vivevano bambini chiamati Tommaso, Alessandra, Lila, Giacomo e Paolo”…

“Ci siamo svegliati, Lucinio! Ci siamo svegliati!” esclamarono in coro….

“Siamo fiori di Loto, budda incarnati con la terribilità negli occhi!”…

Tommasino è un bimbo che è morto. “Sono stati i grandi a ucciderlo”…

Ma certo è partito in purezza per l’aldilà.

“Possiamo affrontare tutto!”. “Ricordare e sognare ci fa sentire più forti!”. Le singole apocalissi si erano ben nascoste. I bambini riuscirono a superare la crisi riconoscendo terrore come sentimento-fossile

Ma non stava ai bambini “trovare significati dentro memorie diverse che riportano, quasi sempre, eventi inenerrabili.”…

I ragazzini si rifugiano per salvarsi.

E nelle grotte dell’inizio di ogni civiltà, insieme ai loro sogni, nascono e crescono l’alfabeto, i graffiti, vengono scelte le geomanzie, levigate le sculturine…

Prima in concreto – nelle età originarie, devoniane, ancestrali e paleolitiche; ma ora anche eternate in caverne di metafora: “Nell’antro oscuro una lieve fiammella incarica la propria luce / di illuminare le pareti lisce degli eucalipti. Quale meraviglia! / Terra Madre, fertile e giusta, vi incise un nome. / Amore”.

Il loro Decalogo ha del prodigioso, emoziona perché è emozionato:

“Andremo dove tutti gli altri non vanno… Andremo molto lontano… Scriveremo la nuova storia”…

Un catalogo insieme artistico e probiotico… è quello che riesce a tornare alla Natura come alle radici stesse delle proprie parabole, alla linfa della sua eredità: “In una delle lingue aborigene koala significa senza acqua“…

Struggente, questo binomio, questo scambio simbiotico e provvidenziale: “Il rapporto unico tra koala ed eucalipto, fa parte dei tanti miracoli che la natura compie: entrambi possiedono, infatti, un genoma simile.”

E comincia anche il racconto dolorosamente cronachistico – il compianto epocale delle ultime Apocalissi del pianeta. “Dal settembre 2019 qualcuno esulta sulle ceneri boschive e animali dell’Australia. Sono esseri umani, arrivati per magistero distruttore. Cinque mesi tra le fiamme. E parte dell’Australia non ha più vegetazione.”

Andateglielo a dire, ai negazionisti d’ogni crisi climatica, agli azzimati e ricchi lestofanti lobbisti, senza scrupoli, di una certa industria energetica…

Ribaditelo, gridatelo pure, che La Perdita dell’Origine ci conduce, di sofferenza in sofferenza, a sempre nuovi collassi cosmici… E bastasse la luce, il fervore con cui Nina convoca sempre nuova poesia!:

“Insonnia di radici per l’Eterno.

Il picchio spiumò. Morì con il becco confitto nell’albero.

L’albero pianse resina e salutò l’amico.”

Ma la sentenza di Nina Maroccolo esce dal tepore a volte statico o pavido della poesia, e s’incorona delle spine di una pesante, profetica corona accusatoria:

“L’essere umano, quaggiù sulla Terra, stava male. Lo attraversava un sentimento intimo, diffuso, decifrabile come colpa virale. La colpa manifestandosi, e, per sua medesima colpa, fu la prima causa di nuove malattie”…

L’eucalipto no; lui “era un rivoluzionario. Stava vicino a tutte le forme di vita impegnate nella lotta per la sopravvivenza… L’albero sempreverde scriveva la poetica dei fragili. Degli ultimi.”

Fioccano altre parabole, insieme ispirate e veritiere. Il Jack London del 1902, che per scrivere deve vivere, deve aderire totalmente al Popolo dell’abisso dell’East-End londinese, povero e derelitto: “Jack si costrinse alla miseria… Quelle povere madri figliavano continuamente. Morivano continuamente.”…

Ad altrettanta miseria fu costretta già dalla sorte – e più o meno negli stessi anni, vicino al lungomare laziale di Nettuno – la genìa della Famiglia Goretti. Zanzare e disperazione, lavoro tanto, soldi pochi, nulla, e la pena infernale di vivere, sopravvivere nelle Paludi Pontine, provandosi a bonificarle…

Questo il destino familiare della fanciulla Maria Goretti, prima che la violenza annebbiata, tarata, febbricitante, dell’altrettanto povero, giovane colono Alessandro Serenelli, dannatosi in un raptus di Lei, le spalancasse – morendo “tra la crudeltà delle carni vive per setticemia” – le porte fiduciose del Paradiso. Non prima d’aver perdonato il suo disperato violentatore.

Mister Es – il Signor Inconscio – dunque attraversa, passeggia (ma come un detective, comunque un reporter antropologico-culturale…) per tutta questa trama d’arte, e romanzo caparbiamente bifronte, transustanziato tra immagini e parole.

“L’immaginario indisturbato. Quante magagne… Chi legge non solo ci crede, fa congetture sulla speranza. Fare i bagagli per il Tibet! Le montagne rideranno di voi. Anche i tibetani, anche i poveri monaci che di tanto in tanto si suicidano.”…

È un po’ il bilancio estremo di tutta la mostra – e l’accomiatarsi del romanzo-catalogo. Nina Maroccolo non si sa se è finita, sfinita, più addolorata, preoccupata o sarcastica: “Ammazzare si ammazza! Cari miei, la democrazia è stata poco più di un sogno. Un soffio e via! Le dittature esplicite, ancora e sempre più, seminano zizzania. Quelle implicite, morte! Ed è la morte che parla un linguaggio universale. Punto.”

Ricette non ce ne sono, però sì messaggi, decaloghi sacrosanti (a questo pounto, uguali, sia per grandi che per bambini), stoici e incarnati buoni propositi: “Facciamo un girotondo, un giro-Terra, un giramento per la situazione globale. Sappiate, a me non mi digitalizzano!”…

“Licinio direbbe: è la vita espressa. Se arrivi primo vinci. Se arrivi ultimo sei ultimo.” Ed ecco l’ironico, agrodolce doppiosenso, cioè svelato l’arcano: “Lucinio non andò mai a trovare Mister Es. Se si fossero incontrati Lucinio avrebbe, forse, riconosciuto se stesso.”…

Tre Apocalissi in una, chiudono il percorso. “Estate 2017. Roma – la torrida. 30° di temperatura alle ore 8. Traffico impossibile. Traffico babelico”… Tutti invitati all’equinozio dei nostri inferni

L’invocazione è doppia. Pubblica: “Roma è una città incurabile. Tutti i medici lo sanno.”

E privata: “Anch’io sono malata. Vivo il cancro come necessario cambiamento. Lo esploro.”

Acerrima la rivelazione, tutta intima, angustiata, ma in fondo anche epocale. Sindromi, patologie, neoplasie fin troppo diffuse: “Mi dico che la parte sana del mio corpo ha il dovere di sostenere quella malata. È una dinamica fatta di reazioni tempestive, un sentire teso al cambiamento.”

“Muovere un senso primordiale del Noi nella preghiera,” – scrive, invoca Nina nella sua inquieta, ma decisiva preghiera laica – “nel silenzio, nel rapporto simbiotico con la Natura. Io e il mio corpo, per mille volte plasmato dentro la materia. Io che sono io ogni volta che rinasco, penso al passaggio da un corpo annullato dentro la sua Pompei, alla sua imperfetta rinascenza.”

Neanche la parabola del Cavallo che amava Bach… riesce a rispondere, o meglio evocare, la Natura che “ci richiama alla sua gloria… Le abbiamo inflitto una ferita perfetta.”… “Il cavallo fece fuoriuscire la sua voce da cavallo come una voce umana”.

La voce interiore poi dell’Antilope Tibetana non arriva a virgolettati, ad aggregare frasi, ma in fondo le immaginiamo: “all’attuale tasso di uccisione, tra meno di cinque anni, la specie sarà estinta”.

La sinfonia del pane è l’ultima visione simbolica, scena e scenografia analogica, parabola sinestetica con cui Nina ci delizia e ci scuote, ci salva e ci soccorre. “Subimmo una trasformazione. Diventammo teatranti, protagonisti caritatevoli per dare senso a un Sé mancante. Rubammo il palcoscenico alla creature notturne, ladri di sogni e di poesia – questo fummo: poveri linguisti della veglia.”

Un Bernini senza tempo col suo colonnato, artifex d’un barocco post-postmoderno; Lucinio-Avalokitèsvara diventato un homeless più addormentato che dissidente, un povero derelitto calatosi, accucciato in una scatola… Mentre la voce di Cristo, impennata tra miraggi e invocazioni, teatralizza un indispensabile, riavverato sacramento d’Umanità. Si può dialogare col Salvatore? Poderoso e incredulo del suo stesso Eccelso… Nina si azzarda a farlo, lievitando umanissima:

“Abbiate cura di voi… Lasciate che il mio dolore sia il vostro pane!”

“Non ho questo coraggio” sussurrai. Egli sentì.

“Mangia il mio corpo di pane. Sono io a pregarti di farlo”.

Il Credo è in tutto il libro, non solo nel finale. Ricerca e approdo, naufragio mai deluso:

“La nostra unica scelta è abbandonare ciò che sappiamo. Ciò che credevamo di essere.

Essere soltanto ciò che si è”.

 

(gennaio 2021)                  

                                                                              

Plinio Perilli     

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Vincenzo Notaro
Creativo, eretico, comunicatore militante. Sogno un orto sul mare vicino a un vulcano.
Conscio che la superficie sia eccesso di profondità, studio il rapporto estetica/metafisica.
Nella vita mi occupo di editoria d’arte, new media e pubblicità etica.
Saggista, artista visivo, compositore (v. Orchestra Esteh).
Aree di studio: comunicazione • estetica • filosofia del linguaggio • storia dell’arte e della musica • filosofia del rinascimento • dottrine mistico-religiose • teologia negativa • iconografia • psicologia • filosofia politica.

Contatti: goo.gl/ppEKjx

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Nina Maroccolo (Massa 1966) ha studiato Decorazione pittorica e fotografia d’arte all’Accademia di Belle Arti di Firenze; ha lavorato nell’ambito del Restauro su Carta a Palazzo Spinelli; ha appreso ed esperito l’arte dell’intaglio e dell’intarsio su legno tenero presso le botteghe degli artigiani fiorentini. È stata mezzo soprano nel coro a otto voci della Cattedrale di Santa Maria del Fiore, per la direzione del M° Don Luigi Sessa. Ha fatto parte dell’etichetta discografica indipendente CPI, della City Lights Italia, consorella europea della storica City Lights fondata da Ferlinghetti a San Francisco. Membro fondatore del gruppo artistico-sperimentale ATEM, dieci anni fra parola, musica e performances dal vivo. Vive e lavora a Roma dal 2004. Artista in continua esplorazione, scrittrice, performer teatrale, conduce una ricerca legata alla simbologia e alla metamorfosi stessa dell’universo Natura. Cerca l’unitarietà fra le arti, partendo dalla scrittura. Tra le sue pièces teatrali, interpretate e cantate, ricordiamo almeno l’estemporanea Partitura per ferro e terra dedicata all’opera dello scultore Jaume Plensa, Teatro Limonaia (Firenze 2002). Annelies Marie Frank (dal suo libro omonimo), Teatro Vascello (Roma 2005). Nastro – Omaggio a Giacomo Manzù (Salone del Libro, Auditorium DM, Torino 2012), cortometraggio per voci recitanti, Stefano Amorese e Nina Maroccolo, elettronica, corto/videoarte. Regia di István Horkay, musica del M° Daniele Venturi. ME DEA, testo e regia di Marco Palladini. Con Nina Maroccolo e Giulia Perroni (Teatro Aleph, Roma 2014). Al suo esordio cinematografico come protagonista del film d’arte LA SESTA VOCALE. Regia di Iolanda La Carrubba, colonna sonora di Gianni Maroccolo: opera finalista al “Festival Internazionale del Cinema di Berlino 2013” nella rassegna Director Lounge DL9. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Il carro di sonagli (City Lights Italia 1999), Annelies Marie Frank (Empirìa 2004), teatro, con una lettera di Alda Merini. Illacrimata (Tracce 2011), poemetti, prefazione di Paolo Lagazzi. Animamadre (Tracce 2012), romanzo, prefazione di Fabio Pierangeli. Malestremo – Sedici viaggi nell’Altrove (Tracce 2013), racconti, prefazione di Marco Palladini.

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Plinio Perilli (Roma, 1955) ha esordito come poeta nel 1982, pubblicando un poemetto sulla rivista “Alfabeta”, auspice Antonio Porta. La sua prima raccolta è del 1989, L’Amore visto dall’alto (Amadeus), finalista quell’anno al Premio Viareggio), ristampata nel 1996. Seguono i racconti in versi di Ragazze italiane (Sansoni, 1990, due edizioni, Premio B. Joppolo). Chiude una sorta di trilogia della Giovinezza con il volume Preghiere d’un laico (Amadeus, 1994), che vince vari premi internazionali: il Montale, il Gozzano e il Gatto. Petali in luce, una sorta di diario lirico condensato e sublimato in 365 “terzine”, è uscito nel 1998, presentato da Giuseppe Pontiggia (Amadeus). Recentissimo, il suo “canzoniere d’amore” Gli amanti in volo (Pagine, 2014), che comprende poesie e poemetti dal 1998 al 2013. Una raccolta antologica delle sue poesie, Promises of Love (Selected Poems), è stata tradotta in inglese da Carol Lettieri e Irene Marchegiani, ed editata a New York nel 2004 presso le Gradiva Publications della Stony Brook University. Nel 2011 il suo poemetto L’Aquila, sorvolandosi, dedicato al tragico evento del terremoto del 6 aprile 2009, ha vinto il Premio Internazionale Scanno per la Poesia. Come critico si occupa specialmente di convergenze multidisciplinari e sinestesie artistiche (Storia dell’arte italiana in poesia, Sansoni, 1990), nonché dell’insegnamento della poesia ai giovani e nelle scuole (La parola esteriore. I nuovi giovani e la letteratura, Tracce, 1993; Educare in poesia, A.V.E., 1994). Del 1998 è un grande studio antologico sul ‘900 italiano in rapporto all’idea di Natura (Melodie della Terra. Il sentimento cosmico nei poeti italiani del nostro secolo, Crocetti, 2ª edizione 2002). Collabora a numerose riviste e ha curato molti classici, antichi e moderni, dal “Canzoniere” di Petrarca alle liriche di Michelangelo, dai “Taccuini futuristi” di Boccioni alle poesie di Carlo Levi, dagli scritti di Svevo su Joyce a “Inventario privato” di Pagliarani e “Variazioni belliche” di Amelia Rosselli.  Un suo vasto e intrecciato repertorio sui rapporti fra il Cinema e tutte le altre arti: “Costruire lo sguardo”. Storia sinestetica del Cinema in 40 grandi registi (Mancosu Editore, 2009), ha reso finalmente omaggio a tutte le magiche corrispondenze e i più fantasiosi sodalizi espressivi, che intrecciano e irradiano, insieme, l’ispirazione e l’immaginario. A seguire, il volume di scritture e memorie testimoniali RomAmor (“Come eravamo 1968-2008”), edito nel 2010 presso le Edizioni del Giano, tutto dedicato al rapporto fra Roma come entità ed amalgama letterario, e i grandi numi tutelari della seconda metà del ’900, fino ai nostri ultimi anni: da Gadda a Moravia, da Flaiano a Pasolini, da Amelia Rosselli a Dario Bellezza, etc. Ha tenuto numerose conferenze, presentazioni e prolusioni presso le maggiori università italiane ed americane.


4 risposte a "Continua… La Rivoluzione degli Eucalipti!"

  1. Davvero importante questa proroga per una mostra di qualità!
    L’arte di Nina è unica e vissuta, efficace la concezione di profezia e di mistica che evidenzia Notaro.
    Profondamente sinestetica la concezione critica di Perilli , che ringrazio per il ricordo.
    Mostra e catalogo da sentire come tappe del nostro drammatico presente,
    Alberi dunque da considerarsi come fatica dell’essere natura , una sacralità fragile e nella tenerezza di un ramo sento la rivoluzione più autentica e futuribile!

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