Ma vai falco sparviero
sulla città che cammina
con buona ramogna dal marembraccio
oltre il fremere inconsciamente inabile
del cerchio meridiano inchiavardato a bietta.
Fuga dagli alberi dipinti
dagli oceanici agglomerati verticali di balene.
Finalmente un soggetto compie un’azione
un sanguineto goccia tra i serti umbre nere di frenaglia
corre una passerella scrostata sorretta da catene
se mi punge la tua lingua straniera non sentirò più
l’infiammazione pentecostale della “langue” e della “parole”
solo carpenteria metallica, antenne tra i gasometri
ascolto di musica dagli orbitali.
Il cik ciak di una exit routine dal mondo brutto
carica la sua mezza voce.
Nessuna introspezione, anzi si potrebbe dire una
estrospezione, quando l’esterno penetra
e decide per noi di ingattigliare occasionalmente l’inconcluso.
Cerimoniosamente il ceto medio solivo e gregale
sul limine ermetico del Camparino in galleria
rende strana la struttura di abitudini
la sua complessità postulabile
con l’istinto congetturale
del verzicare la palancaia.
Metà uomini e metà gas
quasi avessero in circolo l’icore
questo assortimento di fenomeni
scaldi nel dragaggio ai telefonini
dell’ectoplasma di un partouze.
Alla barca infinita degli esuli
sollevano i remi fatti
di lunghi vapori dei navigli
e di povere barbe rosse.
Deambulo tra l’orticello di guerra e uno schermo bianco
una pagina di quaderno senza nemmeno la quadrettatura
una matita abbandonata alla deriva genetica
barbuglia nella sua estasi occhialuta.
Una processione di esseri sfibrati
linee di fuga con passi ricorrenti
nel molestare i miei sogni
dagli origlieri di cellophane
ringhiano alla città
sinistri millepiedi
dai fragili meccanismi di scutigera.
Con la mascherina hai l’aspetto di un quadrante
che i palazzi osservano increduli
con un effetto sottilmente minaccioso.
Il male proviene dai fondachi antichi
che solchi dalla città morta verso la città viva.
Da cane sollevo la testa.
per respingere quel pensiero che esce dalla bocca
spurgo del muro, vomito del mattone
di un’ultima cena che strapiomba dentro lo spavento
farti chiamare schwester è un vezzo o una verità
slacciati dal gurt di contenzione
mi fai sentire un disumano, ma
non il fuggitivo che fuggì dal suo tempo.
La sicurezza dal passo veloce
affiochita si raggriccia nel certame disforico
per rotolare sempre più giù
fino al barrage del cifrante.
Sontuosa, mi viene da dire alla prima lettura, in sospensione nelle pieghe dei suoni. La rileggerò più volte per cercare di entrare nei suoi meandri. Grazie.
Raffinatissima ricerca linguistica di Giancarlo Locarno che mette a dura prova il lettore, ma che lo compensa con la ininterrotta musicalità dei versi e con la continua provocatorietà delle immagini. Si notano le contraddizioni del nostro tempo asociale e schiavista:
“Alla barca infinita degli esuli
sollevano i remi fatti
di lunghi vapori dei navigli
e di povere barbe rosse.
Deambulo tra l’orticello di guerra e uno schermo bianco
una pagina di quaderno senza nemmeno la quadrettatura
una matita abbandonata alla deriva genetica
barbuglia nella sua estasi occhialuta.
Una processione di esseri sfibrati
linee di fuga con passi ricorrenti
nel molestare i miei sogni
dagli origlieri di cellophane
ringhiano alla città
sinistri millepiedi
dai fragili meccanismi di scutigera”.
mi parlano molto le parole, ma poco il tuo pensiero.
se volevi così ok (ma resti nascosto nell’elitaria cerchia del Poeta). sconfin’ami verso l’altro – non verso l’alto – se vuoi, supera appena il limite e accovacciati a parlarmi una poesia.
: ))
io so ascoltare (e ascolto).
: )
scherzi a parte, notevole la ricerca semantica e la resa formale.
epperò “la resa” non ci porta lontano: magari sbaglio, ma combatterei di più nel tentativo di aprire un varco verso frazioni più estese della popolazione umana, id est verso un’arte più “sociale”…. e sottolineo che per me *sociale* non vuol dire “commerciale” (come sai bene) e non implica nemmeno “rinuciare a dire”…
tornando alla “sorella”, nota particolare per “Il cik ciak di un’exit routine dal mondo brutto / carica la sua mezza voce”, una coppiata di versi davvero riusciti, per la scutigera (miriapode che da sempre mi atterrisce e nel contempo mi affascina) e per la chiusa spettacolare con il “barrage del cifrante”.
Sontuosa, mi viene da dire alla prima lettura, in sospensione nelle pieghe dei suoni. La rileggerò più volte per cercare di entrare nei suoi meandri. Grazie.
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Raffinatissima ricerca linguistica di Giancarlo Locarno che mette a dura prova il lettore, ma che lo compensa con la ininterrotta musicalità dei versi e con la continua provocatorietà delle immagini. Si notano le contraddizioni del nostro tempo asociale e schiavista:
“Alla barca infinita degli esuli
sollevano i remi fatti
di lunghi vapori dei navigli
e di povere barbe rosse.
Deambulo tra l’orticello di guerra e uno schermo bianco
una pagina di quaderno senza nemmeno la quadrettatura
una matita abbandonata alla deriva genetica
barbuglia nella sua estasi occhialuta.
Una processione di esseri sfibrati
linee di fuga con passi ricorrenti
nel molestare i miei sogni
dagli origlieri di cellophane
ringhiano alla città
sinistri millepiedi
dai fragili meccanismi di scutigera”.
Superba e bellissima la “Figura-Matite colorate”!
Un cordiale saluto a Giancarlo e Abele,
Rosaria
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mi parlano molto le parole, ma poco il tuo pensiero.
se volevi così ok (ma resti nascosto nell’elitaria cerchia del Poeta). sconfin’ami verso l’altro – non verso l’alto – se vuoi, supera appena il limite e accovacciati a parlarmi una poesia.
: ))
io so ascoltare (e ascolto).
: )
scherzi a parte, notevole la ricerca semantica e la resa formale.
epperò “la resa” non ci porta lontano: magari sbaglio, ma combatterei di più nel tentativo di aprire un varco verso frazioni più estese della popolazione umana, id est verso un’arte più “sociale”…. e sottolineo che per me *sociale* non vuol dire “commerciale” (come sai bene) e non implica nemmeno “rinuciare a dire”…
tornando alla “sorella”, nota particolare per “Il cik ciak di un’exit routine dal mondo brutto / carica la sua mezza voce”, una coppiata di versi davvero riusciti, per la scutigera (miriapode che da sempre mi atterrisce e nel contempo mi affascina) e per la chiusa spettacolare con il “barrage del cifrante”.
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