
by Frida Kahlo
Trotsky Nei pieni giorni di Trotsky le idee uscivano dai pagliericci di foglie di granturco come cicogne spiritate e danzavano la notte dietro le finestre dove alle prime luci baluginava il gioco del Nipro erano le silenziose nevicate di Janovka a far sentire il ronzio dei loro balletti come magri zampettii di pika nella più cavernosa tana della Russia meridionale oggi l’Ucraina si dilania tra chi vorrebbe andare in Crimea perché la paga è buona e chi brandisce simboli runici come il mistico Schwarze Sonne in cui si bagnò le code Himmler (però dicono che questi simboli discendono da motivi antichi che si rifanno a tradizioni slave e che Stepan Bandera fu un grande combattente) mi chiedo alla fin fine se sia vero che Stalin abbia spedito Mercader a Coyoacán a lisciare il cranio di Trotsky per l’ultima apparizione sul carro d’Apollo se sia vero che come disse Pertini Il compagno Stalin ha terminato bene la sua giornata nella dacia di Kuntsevo o se piuttosto non siano mai morti nella loro morte e continuino a strattonarsi la manica come quei personaggi di Guareschi per le contrade del reggiano benché i rivoluzionari siano più permalosi mi chiedo se la storia non sia fatta di tanti piccoli alberelli di quei siliquastri che crescono tra di loro lontani ma con le radici intrise nella piscia dell’altro che se tagli uno s’asseta anche l’altro mi chiedo come può un collo entrare in un cappio e una pallottola nel petto oggi che Trotsky è tornato a casa impara l’yiddish nella scuola di Gromoklej e fa di cognome Bronštejn mi chiedo come si può morire ancora onestamente con un tozzo di pane nero e del kyas nella pancia senza doversi rattoppare i calzini nella bara almeno un tempo il destino pare avesse più riguardo per le scappatelle con pittrici messicane dattilografe e ballerine del Bolshoi
tutte domande legittime, poeticamente ben poste e articolate ma, a quanto pare, senza alcuna risposta. saluti
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