
Scrittura con vista di Abele Longo (Terra d’ulivi edizioni 2023)
Dalla prefazione
di Doris Emilia Bragagnini
[…]È una costellazione, questa nuova raccolta, composta da riferimenti legati da un filo conduttore che spiega le ali tra esperienze di vita e incontri, quelli che maggiormente hanno saputo lasciare un preciso segno e contagiare indelebilmente di poesia. I punti cardinali sui cui basare l’osservatorio immaginale sono le quattro citazioni scelte in esergo di Aeronwy Thomas, Dylan Thomas, Fernando Pessoa, Danilo Dolci. Identificazione ed empatia gli ausili assunti per intraprendere la rotta verso la dimensione poetica di un dire che annulli le distanze. Molti i nomi cui sono dedicati i testi, che focalizzano in particolare il rapporto tra gli esseri umani e lo spazio in cui si trovano ad agire, andando a sottolineare le contraddizioni e i paradossi di fragili equilibri sociali e naturali, temi cari al poeta. […]
[…]Possiamo pensare la raccolta come un viaggio che si compie in una geografia esistenziale. I luoghi precisi, che oltre a Laugharne hanno ispirato Longo, sono il Salento, sua terra d’origine, e Palermo, che considera sua città elettiva. Come per la foto di copertina, si fa riferimento a una visita a Laugharne, nel Galles del sud, nei luoghi in cui Dylan Thomas visse con la moglie Caitlin e i figli gli ultimi anni della sua vita. Il capanno, a picco sul mare, in cui Dylan si rifugiava per scrivere, da una parte rappresenta il bisogno della “vista”, dall’altra, invece, quell’esperienza in cui il poeta scrisse relativamente poco e dove spesso si trovò, dopo notti di bevute, ad appallottolare carte di versi cancellati e liste di debiti: scrivere è in minima parte/ una giornata di grazia/ il resto tabacco masticato/ birra che impasta la bocca (“Prendere dalla luna”). […]
[…] Le costruzioni immaginali di Longo, le concatenazioni, l’architettura dei testi, hanno mantenuto la particolare configurazione del suo libro d’esordio che, come dice Annamaria Ferramosca nella prefazione di Reversibilità, mostra la capacità dell’autore di “trasportare nella scrittura una sorta di visuale dilatata, con la sapienza di un regista che indaga ogni angolo del nostro tormentato territorio esistenziale. Il suo infatti è un procedere come per fotogrammi, zumate, flashes, che conferiscono alla poesia essenzialità e leggerezza e insieme realizzano un tentativo personale ed efficace di innovazione nel linguaggio”. Anche in Scrittura con vista, alla visione onirica e surreale, il poeta oppone una potente forza razionale. I testi restano sulla linea d’equilibrio mossa dagli opposti. La rivisitazione ironica, la tragica realtà dei fatti, emergono sul filo e dondolano gli estremi paradossi della vita: per strada un ragazzo vestito da corvo/ caduto fuori dalla pagina/ cercava un impossibile ritorno (“Origami”).
È uno sguardo temerario sul vero, sul limite dell’umano, sulle disuguaglianze sociali, varie fragilità, sulla morte, un perseguimento della sintesi e della sincerità che si avvalgono dell’asciutta creatività verbale, per arrivare vicinissimo all’evocativo voluto. Forse a differenza della radiosità del primo periodo dell’autore, questa nuova silloge è più lunare, ha una maggiore consapevolezza o amarezza di fondo ma nella versificazione, Abele Longo, mai rinuncia a ricercare il riscatto della bellezza, a spogliarlo di ogni mimetica sovrapposizione per così esporlo al chiarore dell’indicibile, della Poesia.
Il vapore dei tombini di New York (a Danilo Dolci) Chi scruta il cielo per sanare il mondo sa che ogni immagine contiene l’altro si sveglia con una lupara all’alba puntata nel silenzio del sentiero si chiede come si può vivere di vermi nelle viscere mangiare quando a due passi dalla cattedrale un bambino muore per fame il pianto sprofonda la notte all’Ucciardone banditi di pochi limoni contadini pagati due chili di pane lo sciopero come opera d’arte e invenzione a guardare dall’alto quando è sera ogni immagine è al suo posto continuano le tratte degli schiavi s’invocano razionalizzazioni vanno a ruba gli scarti dei supermercati smaltiti oramai i raccoglitori di erbe selvatiche e lumache impariamo a cercare il bisogno dentro quando cadono le foglie e cambia l’orizzonte ad aprire gli occhi sull’ovvio come il vapore dei tombini di New York avvolge in un confortevole tepore un qualsiasi natale prima che una nuvola si addensi o la fine arrivi dal mare Rondò (a Stefania) quando escono da scuola il mondo è del clamore dei bambini dal balcone si vede la luna e farà tardi sarà musica una casa vicino alla scuola una casa ad ogni cosa attendeva nella stanza l’attimo in cui fa sera l’effondersi graduale della loro presenza l’attimo in cui da vecchia lasciava fuori i vivi come sollievo dalle incomprensioni l’equivoco che fa sentire eterni o la mattina presto andando alla stazione s’insinuano nell’aria sfumature dense il mondo è dei merli dei cani senza guinzaglio come presagio l’attimo in cui non vogliamo partire la madre che l’aiuta a fare le valigie dà ordine alle cose sistema l’olio da portare via una casa ad ogni cosa una casa vicino alla scuola e farà tardi sarà musica dal balcone si vede la luna il mondo è del clamore dei bambini quando escono da scuola una casa per tornare l’estate delle cicale l’estate delle cicale una casa per tornare s’incanta la memoria sullo stesso fotogramma qualcuno che taglia la strada libera un pianto dentro dà ordine alle cose l’effondersi graduale della loro presenza tende l’orecchio alla calma del mare colma di conforto mentre abbraccia la madre Aspettava nel bosco Aspettava nel bosco in pigiama con il binocolo felice di averlo scorto dato in pasto smembrato delle poesie fatto un mazzo in mano la guida ornitologica cercando di catalogarlo turismo poetico del mare la luce grembomaterna abitudini migratorie e preferenze di stagioni la guida diceva campo autunno semi bacche pane latte e un vento che spaventa gli occhi fa del suo nome la vela di una barca la pioggia la rugiada una furia di parole mugola di scorza mucosa ulcerata esangui erose dalle piaghe intossica il fegato l’angustia dei piccoli posti la colossale frode del silenzio

Abele Longo
Nato a Depressa (Lecce), è docente presso la Middlesex University di Londra. Si occupa di ecocritica (cinema e poesia), ecopedagogia, traduzione audiovisiva e letteraria. Tra le sue pubblicazioni Danilo Dolci – Environmental Education and
Empowerment (Springer, 2020); ‘Roma, viandanza dell’esilio. Rafael Alberti tradotto da Vittorio Bodini’ (in N. di Nunzio
e F. Ragni, Morlacchi Editore, 2014); ‘The Cinema of Ciprì and Maresco: Kynicism as a Form of Resistance’ (in W. Hope,
Cambridge Scholars Publishing, 2010); ‘Subtitling the Italian South’ (in J. Díaz-Cintas, Multilingual Matters, 2009). Ha
inoltre pubblicato, per le Edizioni Accademia di Terra d’Otranto – Neobar, la raccolta Reversibilità (2012), come co-autore Pugliamondo (2010) e con il collettivo Poeti per don Tonino Bello La Versione di Giuseppe (2011) e Un sandalo per
Rut (2014). Fa parte dell’antologia, a cura di Giorgio Linguaglossa, Il rumore delle parole Poeti del Sud (Edilet Edizioni Letterarie, 2015).
L’esperienza siciliana di Danilo Dolci si espande e trova il suo senso anche nel resto del mondo nella prima poesia,
in tante parti dell’Africa e dell’Asia simuore ancora per fame. Sarebbe un’ovvietà, se le cose non fossero viste e considerate
da un pase ricco, come new York, la realtà risulta ovattata come fosse avvolta dalla nebbia dei tombini.
Mi soffermo in particolare sul bel rondò, perché anche la mia casa confina con una scuola elementare,
con la mia nipotina spesso guardiamo dal balcone i bambini che giocano durante la ricreazione, e a volte ci salutiamo,
(ieri un bambino mi ha chiesto: “What’s your name?”, gli ho risposto in inglese, e lui è corso a dire agli altri che aveva parlato con un signore inglese).
La scuola è come una casa. Nella poesia, al ritmo del clamore dei bambini, si intrecciano altre storie.
L’anziana nella sua casa, che comunque è un nido dove trova sollievo.
O il pendolare vincolato agli orari del treno, che pensa alla bellezza di essere merli o cani randagi.
O chi deve preparare la valigia per partire.
Ma in mezzo ad ogni storia il clamore dei bambini che è la casa
e comunque vada c’è sempre una casa in cui tornare, i bambini vanno a casa quando sciamano dalla scuola,
e lì hanno una madre da abbracciare.
Forse è il poeta con la p maiuscola(come direbbe Malos) colui che si aggira nel bosco col manuale di ornitologia del verso
e il binocolo per osservare meglio il paradosso della furia di parole e della frode del silenzio,
dell’apertura infinita del bosco e dell’angustia dei piccoli posti.
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Grazie Giancarlo. Anche qui in Inghilterra ci sono sempre più bambini che non hanno da mangiare. Ti riporto dal Guardian quanto segue, che mi ha molto colpito: “Last winter, I already had a group of children who stood round the radiator outside my office every morning because they had no heating on at home and needed to warm up,” said Paul Gosling, head of Exeter Road community primary school in Exmouth. “We will have far more children turning up to school hungry.” Sono bambini della primaria, come in Rondò, e bella è l’immagine del nido per loro che tornano a casa come per l’anziana donna che con la sera “lascia fuori i vivi”.
In quanto a malos, che preferisce la m minuscola, spero torni a trovarci 🙂
Un abbraccio
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giuro che la settimana scorsa sono pure andato a farmi visitare da un amico otorino.
“Francé” – dico io – “ti sbagli, dev’esserci qualcosa che non va”…
“è tutto apposto, malos” – sbuffa lui
“mah” – ribatto poco convinto: credevo che fosse un bravo otorino, e invece…
e invece era nel giusto: nessuna malattia, era solo colpa vostra se mi fischiavano le orecchie!
: ))
sì, insomma, dopo eoni d’assenza ripasso su neobar ecchettitrovo? ’sto bel tomo (nel duplice significato di pubblicazione libraria nonché di Abele fascinoso-sex-symbol-di-mezza-età, vedasi foto) che s’affaccia alla mia impolveratissima finestra di cristalli liquidi sul mondo!
: ))))
eh… e a proposito di finestre, bella la copertina “rompicapo”, nel senso che ci ho messo un po’ per orientarmi e per capire com’era messa la finestra (profondità, sezione etc) rispetto al perlinato azzurro… or dunque: direi uno specchio che non riflette la ragazza bensì un ambiente con finestra che si trova alle sue spalle… oppure, anche una porta con inserto in vetro (ma senza una maniglia, buffo, no?) che *non* si apre su di un angusto vano con finestra.
vabbè, comunque, ripeto, capita raramente d’imbattersi in copertine così significanti…
ma andiamo alle parole (che sempre sulle immagini prevalgono, almeno in termini d’articolazione e disquisizione del pensiero).
intanto Doris è sempre d’un’abilità chirurgica nell’operare a bordo macchina nella fabbrica dell’umano: le sue parole tracciano geometrie non euclidee per arrivare vicinissimo all’evocante assoluto esponendolo al chiarore dell’indicibile (peccato che in ultimo scovi una poesia maiuscola, ma tant’è, basta mettersi d’accordo ciò che s’intende, ok?)
; )
parimenti, l’apertura infinita del diaframma di Giancarlo segna l’ampiezza umana del soggetto (nel senso che il suo dire illuminante imprime vivamente i sensi (delle cose del mondo)… eh, ce lo vedo con la fortunata nipotina, mentre le insegna ad ascoltare calligrammi giapponesi di mondi fluttuanti o ad intuire la rarefazione lirica del frammento umano: l’evocativa saggezza dello sciamano (dalla scuola).
insomma, farsi guidare per mano dalla vista di Doris e Giancarlo lungo la scrittura con/di Abele è parte integrante del viaggio ed è davvero emozionante.
aggiungo solo che chi scruta in alto il cielo non s’accorge (del vapore dei tombini) e conseguente/mente giammai potrà sanare un mondo dove chi dorme fogna di prendere pesci e chi non dorme sprofogna nella notte insieme al pianto ucciardonico. ed ecco allora prendere corpus il vero e unico poeta, quello che con coraggio immerge le parole (ergo se stesso) nella fogna per sporcarsi dell’umano che noi siamo, per udirne il *tepore* e per condividerne, o meglio, condimoltiplicarne i bisogni (“impariamo a cercare il bisogno / dentro”). notevole lo speculare di “Rondò” – la vita è una ruota che gira, come ben sa la vecchia – dove l’intelligente costruzione riflessa (la prima strofa che torna a versi inversi alla quinta, per compiersi poi, sempre in speculare con “una casa per tornare / l’estate delle cicale / l’estate delle cicale / una casa per tornare”). terribile e potente, per forza evocativa il *verso messo di tra-verso*, singolo, “qualcuno che taglia la strada” con annessi metasignificati. delle tre ottime liriche qui riportate, “aspettava nel bosco” è forse la mia preferita, perfetta per come a “furia di parole” detona in chiusa nella “colossale frode del silenzio” senza lasciar scampo.
un abbraccio e complimenti ad un Abele più poeta che mai.
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Che bello sentirti malos! Ormai, come ben sai, siamo sempre più sparuti (per curiosità ho cercato il post su neobar in cui davo l’annuncio della nascita della mia prima creatura e ho trovato ben 59 commenti, altri tempi… 🙂 Bello che sei passato e sotto sotto ci speravo 😊
Per quanto riguarda le finestre, sono state il germe della raccolta. Un particolare per me importante è il fatto che la finestra interna sia enorme, spropositata rispetto alle anguste dimensioni del capanno (che originariamente immagino servisse come ripostiglio per gli attrezzi da giardino). Una finestra che apre così tanto sull’oceano da non lasciare scampo. E infatti non mi ha sorpreso poi scoprire che in quel capanno Dylan ha tutto sommato composto poco. Se la figlia Aeronwy, come riporto negli esergo, sriveva: e spiare mio padre scrivere poesie/ di gabbiani, colline e cormorani sugli estuari/ che osservava dalla sua grande finestra// il padre annotava nel suo diario: “Mi prende così tanto tempo scrivere e il risultato molto spesso è un uomo che urla in fondo al mare.”
Un abbraccio e torna a trovarci 😊))
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Qui è quando si muovono gli interni e ci guidano all’esterno, rarefatti dalle tendine.
Buon cammino, Abele!
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Vis(i)ta assai gradita, Maurizio 🙂
Un abbraccio
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