Poetry Lab: Fernanda Ferraresso

by gaetano fracassio, rifugi

Da dove viene la tua poesia?
E’ il luogo dell’improvviso e della provvisorietà, le uniche doti di cui siamo ricchi e ci consentono la libertà. Viene dalla relazione, senza porre riserve con chi o che cosa, e dentro questa c’è anche la morte, sempre intessuta di vita. Se poi vuoi un luogo preciso viene dalla vita contadina, dai campi e dalla relazione con il cielo.

Per chi scrivi, come immagini il tuo lettore?
Quando scrivo non ho nome cognome o sesso. Sto ascoltando e leggendo..
Non immagino mai chi leggerà ciò che ho scritto.
Sono in caccia di tutte quelle figure che mi compongono e che, alla fine, riesco a leggere proprio per mancanza di identità. Credo che ognuno di noi non possa fare altro che leggere se stesso ed è se stesso che critica anche se legge attraverso gli altri. In questo modo riesce a leggere molte più figure di quel sé che altrimenti non vedrebbe (Dante nella Divina Commedia è tutti quelli che incontra, luoghi ed erbe e piante e animali, addirittura Dio). Nessuno di noi è un territorio circoscritto e limitato: le relazioni attraverso cui la vita ci tesse e ci genera amplificano il corpo, ma è proprio la relazione, che ci permette il riconoscimento in ogni altro essere, attraverso quelle che definisco ombre. Le parole sono per loro natura ombre. Per questo parlo spesso di buio, buio dentro le parole, che a loro volta, attraversandoci, lo versano in noi. E’ paradossale affermare che le parole offrono luce, no?

Come vivi, con te stessa e con gli altri, il tuo essere poeta?
Non mi sono mai definita così. Non ci riesco. Mi considero una che ascolta, legge e scrive, o dipinge, o progetta mentre compie l’azione fondamentale di vivere, cioè di porsi in relazione. Non penso che poesia abbia ambiti ristretti al segno della scrittura. Quando la si imbriglia in una categoria si finisce per impoverire noi e lei. Quanto al viverla con me stessa o con gli altri, torno alla radice di poesia che per me è relazione, legata profondamente all’ascolto di ciò che viene da fuori o da dentro, o da entrambi. La relazione avviene. (Questa relazione, per quanto mi riguarda, non include che marginalmente le manifestazioni che vanno per la maggiore oggi festival, reading e similia: troppo turbine, troppa confusione, troppa apparenza.)

Come hai iniziato?
Se si intende come ho iniziato a scrivere allora è semplice: ho iniziato costruendomi. Mi costruivo parentele, memoria, luoghi, occasioni. Trovavo la parola terra e ponte, capace di configurarsi sull’acqua, su ciò che è instabile ed è stata proprio la forma dell’acqua a capovolgere la mia attenzione. Acqua come smantellamento, capace di cancellare ogni precedente traccia e per questo elemento vitale. E’ stata la via con cui ho trovato che potevo essere senza avere un nome specifico, la via che mi ha portato alla provvisorietà, all’improvviso, di cui ho detto all’inizio, alla libertà, in sintesi, come quella dell’acqua.

Come ti veniva insegnata a scuola la poesia, che ricordi hai?
Mia madre è stata la maestra che mi ha fatto innamorare: leggeva per me, ero molto piccola, mettendoci dentro un fuoco, spalancandosi fino a diventare aria, respiro e io la imparavo, la passione, facevo di quel suo amore la mia memoria, volevo toccare la poesia per avere in me quello che vedevo e sentivo in lei nitido, diretto.
Poi a scuola non avveniva in questo modo, veniva richiesto altro: l’attenzione per la costruzione, la metrica, il riconoscimento di certi segnali che si attivavano nella scelta dei vocaboli, la vita del poeta, tutta la produzione, le conseguenze generate a seguito di contaminazioni religiose, passioni amorose, ideologie o teorie filosofiche, periodo storico, intersezioni o amicizie con altri artisti, la critica… Insomma una crosta che, spesso, allontanava dal profumo del testo, qualcosa di lieve, che si perde, oppure non focalizza l’attenzione sulla tensione di alcune opere. Ma serve, serve anche la disciplina e il rigore, serve a sfrondare, serve a decidere di buttare.

A chi fai leggere per primo i tuoi versi?
A nessuno. Li leggo io, dopo molto tempo o un po’ di tempo. Dipende. A volte li ripongo nuovamente, altre li correggo, li modifico, altre volte li cestino, a distanza di tempo o immediatamente dopo averli scritti.

Usi la penna e/o il computer?
Scrivo a penna o matita dovunque: quaderni, fogli o foglietti, libri, cartoline,fotografie, agende,… A volte dimentico, perdo questi appunti, a volte li unisco anche a degli schizzi. A volte li trascrivo al computer, ma altrettanto spesso scrivo direttamente al computer.

Quanto viene di getto o è frutto di lunghe elaborazioni?
L’idea è un getto, capita che si esaurisca in quel getto poche volte. Solitamente scrivo tutti i giorni, poi riprendo i testi e capita che si ricompongano, nella lettura, nel senso che ciò che era nato isolato trovi un nuovo corpo, in cui riesco a vedere meglio l’idea prima manifestatasi di sfuggita, come se fosse dentro la nebbia , in visioni frammentarie, morgane.

A parte le tue, quante poesie di altri pensi di ricordare a memoria?
No, non ricordo a memoria i miei testi, tranne alcuni brevissimi. Ricordo l’anima, dei testi, sia che siano degli altri o miei. Ringrazio la mia memoria di essersi fatta debole. Mi consente di restare in ascolto e di non dare per scontato ciò che è ricordo mnemonico. Dimenticare consente di dare a tutto quella misura di provvisorietà che rende ogni cosa prodigiosa.

Un consiglio prezioso da passare agli altri.
Vivere.

Un poeta su tutti.
Il vento, sa soffiarti sul palmo un universo intero e, in un istante, lo cancella , per far posto ancora ad altro, solo attraverso le bucce, l’ essenza, i detriti del mondo stesso.

roberto matarazzo - stati-relazionali

RIFUGI

Ogni giorno
passo ad ascoltare i nidi

dentro i rifugi
depongo grani di riso e miglio
costruisco case come fasce di neonato
intorno alla schiusa
e alla balaustra
aspetto insieme ai sogni
disposti in immobili percorsi
i primi segni

resto
in silenzio
come se solo quell’attimo
quell’attimo in cui la soglia
si fa stazione dell’essere
qui in questa forma
equivalesse a toccare un miracolo.

Allora aspetto
aspetto il segnale
il primo movimento di quell’attimo.

L’ARMATURA DELLA ROSA

*
Le lettere, insieme, formano l’assenza.
Così Dio è figlio del Proprio Nome. R.B.

Prima
prima che esca
prima che nasca
prima ancora che ci sia un corpo c’è
un segno sotto
là sotto la terra
un testimone che non parla
un luogo che aspetta.
C’è la trama di un testo
e il gesto di un verme forse un atto di tragedia
e sconfina il suo disegno va oltre la scrittura.

Segna con una traccia rossa la prima pagina
del libro, perché la ferita è invisibile al suo inizio.R.A.

Il seme pone con cura la sua storia
tra un prima e domani dispone con grazia la sua morte
con lievità depone una resurrezione.
Torcendosi alla luce cresce esce dal cuneo quel nucleo che tumula
sempre la sua attesa.
Vedere è attraversare gli specchi.

In fondo, c’è la notte dell’ultimo astro. R.E.

E’ una notte senza luci l’inferno
precipita ogni giorno in sé stordendoti come una danza
o dentro la bestemmia di una sorte muta il salmo che non sai.
La vita è un veleno che si beve adagio
Niente al confronto possono i fulmini che strappano le fibre
le orde degli insetti la catastrofe dell’inverno quando i rasoi ti strisciano/
sull’osso è il corpo che ti si disfa addosso.
Una debolezza lancinante diventa sistema e nei sensi assieme alla paura/
quella linfa sempre più s’intarla nel centro del tuo frutto.
Ordito e trama si armano tessendosi l’un l’altro sul dorso
ancora un poco la morte un poco di più l’ombra e il mistero
che lento si avvicina ti raggrinza le pieghe del ventre
ora che il verde non è che un’ insegna sbiadita
un precipizio dove l’ora non conta i suoi giorni e i mesi e gli anni
in te sono fitti come aghi una cintura di bianchi spinosi
aculei nella polpa del sogno l’inizio non ancora perduto.
Si nega ancora un poco quel nero sopra le foglie
amaro ancora di più appena l’alba solleva le sue tende
cammina cammina s’incammina verso una luce che tu sola vedi
inchiodata nell’invaso tra i silenzi di tutto ciò che non si mostra.
Lieve attorno alla cinta delle mura da cui pensavi d’essere difesa
ancora più vicina alle case dei malati
un rovo di pensieri dove una volta c’era la scuola
un ciclo elementare tra le sostanze delle piante
le puntigliose guerre delle larve gli uncini acuminati delle vespe.
C’erano sortilegi legati alle curve di quei ponti
d’aria dietro i muretti altre rose ti tendevano gli agguati.
E il legno verde la tua unica gamba
la radice in cui ti eri nascosta in settembre s’è seccata
quando avevi cominciato ad esistere nel suo ovario.
Ma lei, tua madre, aveva detto che si doveva aspettare
ancora aspettare, perché mettessi le prime foglie.

Un istante basta a prendere coscienza d’un secolo. R.K.

Mi chiedo come una rosa possa avere memoria.
Eppure questi accadimenti ricordo di averli visti
di averli vissuti nella linfa e
non avevo nemmeno un anno
anzi non ero ancora nata
avevo forse un segno scritto dentro il fianco
là dove la nonna mi punse con i ferri da calza
preparandomi all’inferno.
C’era una casa la sentivo
una grande casa che odorava di cere e di fumo
e intorno mia madre
si stendeva mani bocca e piedi oltre le stanze al di là delle pareti
superando le porte e le fessure dei legni.
Vedevo enormi tesori crescere negli specchi delle sue voci
ricordo le immagini allungarsi nelle profondità di quelle prospettive
infittirsi agli stipiti dei balconi rigati di vuoto per lo studio dei tarli
rigirarsi agli angoli nelle sagome dei piedi che si facevano gradini
sopra le scale dove la notte si fermava al limite dei cassetti
nelle ghiacciaie della cucina
nelle cove delle madie imbevute come spugne di un odore aspro
di vino rinchiuso troppo a lungo
e il pane sapeva di muffa nel profondo del buio.
E’ questa la mia veste
è questa mi dico
l’armatura della rosa.

Un’ombra non è altro che un’ombra.
Il linguaggio è solo l’inizio dell’origine.


28 risposte a "Poetry Lab: Fernanda Ferraresso"

  1. Quanto Ferni dice nelle sue risposte conferma la mia immagine di lei. L’immagine di un’autrice che ha un rapporto viscerale, “mitico”, con la scrittura, nato da una frequentazione assidua e da uno studio serrato e appassionato. “L’idea è un getto,” sostiene, ma poi c’è tutto un lavoro (nuovo e alle spalle) che permette di creare componimenti dal grande respiro, capaci di ricongiungerci con noi stessi e sentire la terra dalle radici.
    Abele

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  2. conoscendo abbastanza bene, nei limiti che conoscere davvero è e resta intrapresa impossibile (fernanda ferraresso cita il Suo Dante che resta il Mio Dante, riletto l’anno scorso a cavallo di un momento, per me tragico, e che mi ha donato sensazioni nuove riscoprendo antiche emozioni) la Poeta F.F. dico che lei ha penna sofisticata e intelligente, la Sua idea del come si genera e si partorisce la OPERA (lotre i linguaggi in sé) la condivido in pieno e resto colpito da quando ferni afferma delle costruzioni relazionali, sorta di labirinto delle idee che mena al fare.. invierò un mio singolare pezzo “STATI RELAZIONALI”, desunto da un incrocio su possibili sensi della fisica contemporanea in relazione al mio fare.. ottima intervista e aggiungo solo che la Nostra, nell’aderire alla mia iniziativa “Ex Libris”, donò un gioiello letterario di classe altissima.. colgo occasione per inviarle un carissimo, intenso, saluto come, e allo stesso modo, saluto Abele Longo, squisito Signore di questa Agorà..
    r.m.

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  3. Un caro saluto a Clelia, Roberto e Lucia
    e un grande grazie a Roberto per il lavoro che ha voluto dedicare alla poesia di Ferni,di forme e colori in perfetta sintonia con una poesia che non si lascia racchiudere, metafisica e materica allo stesso tempo. Altrettanto bella e significativa l’immagine del pittore e fotografo Gaetano Fracassio scelta da Ferni . L’immagine fa pensare a una vecchia stalla dove vivono probabilmente dei migranti con le loro valigie legate alle mangiatoie. Luoghi della “provvisorietà” e della vita nel suo scorrere incessante.
    abele

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  4. mi sono piaciute le domande rivolte a Fernanda (e relative risposte) poichè da esse emerge la mia visione della sua scrittura, fatta di segni profondissimi lasciati ad ogni passaggio
    la relazione è il tessuto della vita, infatti il consiglio che lascia/passa è di vivere
    leggerla è per me una crescita, un’ampliamento, in dialogo perfino con ciò che ancora non comprendo

    un caro saluto anche a Roberto e complimenti per l’immagine realizzata

    Elina

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  5. Ringrazio tutti voi, in questa comunione del sentire, dell’ascolto reciproco che, tutti, ci mantiene nel rifugio della vita come ospiti. L’uno per l’altro casa, l’uno rispetto all’altro segno, riferimento nella migrazione, mappa scritta nel cuore dell’origine comune.
    Un grazie particolare a Roberto per il dono e ad Abele che mi ospita con la grazia e l’attenzione che ormai sembrano doti in disuso. A tutti tutti un sentito grazie.
    ferni

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  6. E’ bello leggere quest’ intervista di Ferni e anche i suoi versi. C’ è molta intensità in entrambi e, allo stesso tempo, grande coinvolgimento che l’ autrice trasmette anche ai lettori. Penso anch’ io che Fernanda Ferraresso sia nomade, viandante sulle strade della vita. Le sue molte anime le consentono di intrecciare relazioni profonde con vari aspetti della realtà e, soprattutto, con la natura di cui Ferni anela ad essere un elemento integrante, con cui vorrebbe, a volte, fondersi. C’ è molta energia nelle sue parole e il suo stile infonde nuovo vigore alla parola poetica sentita come una possibilità di ri-generazione. Sicuramente la poesia è per lei anche un rifugio, ma non nascondimento, anzi dis-velamento di sé.

    Un caro saluto,

    Rosaria

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    1. Ciao Marina, anche io come te: non so, ma mi trovo ad assorbirle, le correnti della magmatica vita, il suo vento, le sue acque, i minerali, …, proprio come fa un albero, una rosa, la terra. E spesso mi sento in sospeso, pur non percependo pause tra uno stato e l’altro dell’esistere. Ti abbraccio,f

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  7. sono verticali, le parole di F.F., ascendono.
    Invitano il fruitore a porsi in ascolto: trattenendo il respiro. Al culmine, precipitano nel vivere, nella quotidianità, in sofisticata ricerca di semplicità

    Bella.
    Un’autrice che sconoscevo e che ho, in queste rime e nelle risposte, apprezzato sinceramente.

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  8. Questa poesia sembra sbirciare da uno spacco, da una feritoia all’interno di un mondo ctonio invisibile dalla superficie ma brulicante come un formicaio. Oppure un mondo nel suo formarsi nascosto, come un pulcino che si forma nell’uovo.
    E vive il tempo dell’attesa che questo arcano si manifesti

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  9. * Grazie Rosaria per avere trovato in me la nomade: è proprio così che mi sento nella sostanza, senza leganti eppure profondamente in relazione con la vita, di cui il mondo naturale si fa maestro, divulgatore, lente, tessitore, e ciascuno di noi è suo elemento, vivo, sempre, non oggetto o soggetto in cui concentrare l’attenzione. Per essere elementare ed elementale occorre una grande maestria e, ne sono certa, non siamo ancora riusciti, dopo secoli di osservazioni,dissertazioni, dissezioni, riflessioni, contorci-menti, giunti dove natura ancora insegna dalle sue università, dislocate ovunque, in una ramificata meravigliosa rete di viventi.

    * Grazie Api! Pettirosso è il soprannome con cui mi chiamava mio padre, per quel mio modo di affrontare le cose, e per il mio modo di subirne le conseguenze, anche dolorose.

    * Lieta di conoscere Stefano Giorgio. Verticali e orizzontali, piani o rette, punti e ancora altro, sono il mio pane quotidiano: le discipline geometriche, mi hanno offerto una grande possibilità di guardare me come un punto, elemento senza misura, capace di essere P,M,R,K,…, e come tale con la possibilità di proiettare l’infinito o di accoglierlo, esserlo, consapevole che è un mo(n)do tra i tanti,innumerevoli labirinti della costruzione, che, alla fine, si allineano nelle nostre prospettività lungo l’orizzonte, e ciascuno ne ha uno suo, alla sua altezza, con cui comunque può dialogare con ogni altro punto, anche punto di vista. La direzione, comprende almeno due versi, dipende in quale spazio si muove il punto, all’interno dell’infinito. Anche la vita, alla fine, risulta appartenente a questa infinità.

    * L’aggettivo: ctonio, relativo al mondo che si compone nella lettura dei testi, mi ha particolarmente colpito, poiché in esso,oltre al legame con la terra, c’è anche un moto tellurico, e dunque l’elemento della provvisorietà che, secondo me, ci contraddistingue, non visto in modo coercitivo, negativo, ma come modo che ci apre ad altre possibilità di essere, in-feri, portati, a galla, o attraverso,la frattura della terra, che poi è a sua volta in una invisibile frattura del cosmo, se gli riconosciamo una polpa, una sostanza, un corpo. Inoltre quell’aggettivo mi lega ad una visione “femminile” in senso antico, arcaico, sciamanico, e quindi mi concede una radice profonda, molto profonda, anche se si perde, di essa, l’origine. Ringrazio dunque Giancarlo per queste sue proposte di lettura.
    Tutte, sono ulteriori possibilità che mi avete offerto per “veder-ci”. Grazie
    ferni

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  10. La sorgente della poesia di Ferni è il cervello. Si sente chiara nelle sue parola questa fonte. Ma non si tratta di materia fredda e grigia. L’origine “mentale” della sua poesia è visibile, è tangibile. E’ una poesia “mentale” fisica. Senza ossimori. E’ una fonte continuamente irrorata dal sangue del cuore che pulsa con potenza; è continuamente alimentata dalla forza degli elementi naturali che dialogano e interagiscono con il corpo-mente-anima perfettamente integrato. La “mente” di Ferni ha persino una lingua che ha la lucentezza ina-udita di una neo-lingua. In poche parole, la poesia di Ferni mi piace.
    PVita

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  11. interviste come questa, permettono, consentono di definire quegli unici punti, ammesso che ve ne fossero, di buio, intorno ad un’entità fatta di poesia.
    Così sei Fernanda. Contrasti di luce identici alla tua poesia – ne resto impigliata. E ti ringrazio di questa corrispondenza.
    E grazie a te, Abele per la possibilità. Sempre.

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  12. cara ferni, mi sono ritrovata in molte delle tue risposte. la vita in primo piano, dove poesia è l’artigianato amoroso definito, senza vaghezza. eppure nei versi il movimento creatore creaturale contraddice le linee nette, si apre all’indefinibile lo lambisce se ne impregna restituendo a brani il fondo misterioso che emana dalla natura e dalle correnti interiori inconsapevoli. brani da incanto, con il ferro fuso di ferni dentro

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  13. Caro Pasquale: ho una testa…dura e,dentro, il cervello è simile ad un deserto in movimento. Ci soffia sempre il vento.A volte piove un sole di foglie, rosse, cupe ed è per questo che lo si può scambiare per un fiume di sangue.
    C’è una fonte, in quel deserto, così profonda, sotterranea mi percorre e fiotta, a volte suoni, altre fantasmi dei suoni che scambio per segni e allora corro, col pennino ad intingervi la punta della parola e, sorpresa, ne vedo il pozzo che non ha fondo.

    Grazie Francesca:ascolto spesso la tua voce e me ne sto zitta mentre nel cielo tra le righe o sulla superficie della pagina trasforma la vita in un incontro, ogni volta diverso.

    La vita sì, cara Annamaria,che ci fornisce strumento e incanto, mistero e silenzio, impronte e vento, il sogno e una riva di disincanto.

    Grazie ancora una volta, sono sorpresa, davvero, per questa vostra attenzione. Sono da tempo abituata al silenzio del mio “convento” e ogni voce è motivo di festa. ferni

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  14. ecco come ritrovare quella bellissima tua indicazione sul “mangiare” dalla stessa carne, pure se in modo e tempi diversi. Eppure ci sono degli slanci empatici in quello che dici nella intervista e anche nei paesaggi intensi
    “brulicanti” dice Giancarlo al suo solito in modo estremamente efficace, e continua:”come un formicaio. Oppure un mondo nel suo formarsi nascosto, come un pulcino che si forma nell’uovo.
    E così, in quell’immagine dell’uovo (memoria. famiglia. terra. genesi. unione.tempo che diviene) mi ritrovo in pieno quando ti leggo, come se la calaza fosse l’allungo di filamento e l’albume, nel suo velo, in un continuo proteggere / ri-velare quello in continuo essere/divenire nel sacco vitellino.

    Brava Fernanda
    e grazie ancora (e sempre, vedi come sono solenne :)) ad Abele
    ciao!

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  15. Grazie Margherita,grazie d’esserti fermata a condividere la polpa. Mangiare la vita e lasciarsi mangiare dalla vita,come una ruota del mulino nell’acqua. Grazie, per il tuorlo,il sole dell’uovo e la pelle d’albume lucente.Nutrono quanto la notte e il giorno.ferni

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  16. sono convinta anch’io che, al di là della possibile immediatezza di scrittura di ferni , ci sia una grande elaborazione mentale, anche perchè la mente di ferni è complessamente strutturata. la sua è una poesia colta e metafisica in cui, oltre alla proposta di un discorso mediato dalle molte letture e incontri e riflessioni, c’è il suo animus poetico, molto spesso luminoso, splendente.

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  17. “Trovavo la parola terra e ponte, capace di configurarsi sull’acqua, su ciò che è instabile ed è stata proprio la forma dell’acqua a capovolgere la mia attenzione. Acqua come smantellamento, capace di cancellare ogni precedente traccia e per questo elemento vitale. E’ stata la via con cui ho trovato che potevo essere senza avere un nome specifico, la via che mi ha portato alla provvisorietà, all’improvviso, di cui ho detto all’inizio, alla libertà, in sintesi, come quella dell’acqua.”

    Ho letto diverse volte questa intervista a Fernanda e ne sono rimasta molto colpita. È il modo di porgersi, nel dire, come offrire di sé, attraverso le vive mani, l’acqua di cui parla… Una bellissima emozione nell’avvicinare la sua sensibilità, umana ed artistica.

    Doris

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  18. Ringrazio anche Doris Emilia Bragagnini,per aver intinto la sua mano e l’attenzione sull’acqua, un elemento che considero fondante, vita e morte in quell’acqua, e ogni forma di riproduzione e “seduzione”, li-qui-do l’amore viola se stesso, si trasforma, come l’acqua, evapora e ricondensa in ogni altro corpo.Grazie,ferni

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  19. Durante una discussione “leggera” sul socialnetwork maledetto che mi ha portato a riavventurarmi nel territorio della poesia dopo anni di crisi abbandonica, mi è capitato di rispondere ad una sedicente poetessa che il suo “sversamento oracolare” era interessante e senza dubbio lodevole , ma non faceva proprio per me “quel” modo di avvicinare la poesia fatto di visioni, deliri, passioni dionisiache e interpretazioni profetiche e sibilline della realtà, e costruzioni oniriche del proprio universo interiore.
    L’incontro con la poesia di Fernanda mi ha fatto completamente ricredere intorno a questo banale e superficiale pregiudizio.
    Quella poetessa non era Fernanda. Lei l’ho scoperta un pò di tempo dopo, e ne sono rimasto affascinato.
    E’ come se fossi stato iniziato a un mistero eleusino dopo avere resistito con riluttanza a un richiamo mitologico, un mondo di segni e tracce, simboli, fonemi, richiami, brusìi, disseminati sul suo percorso. Ferni o f come si firma nei suoi commenti mi risponde sempre in versi, in allocuzioni, in singulti, in bisbiglìi, in barriti, in cinguettìi. Ferni conosce il linguaggio degli uccelli e dei rettili, quello dei muti, quello dei fiori. Ferni mi traduce il complesso divagare di un fiume, o conosce la traiettoria della pioggia e l’effetto che provoca sulla nostra psiche. Ferni vuole arrivare in fondo al labirinto della sua rosa.

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  20. Caspita che meraviglia!Soprattutto il fondo: il labirinto della rosa che, infatti, quando si disegna assume la stessa forma del labirinto e poi i rimandi,le “soffiate” tanto per stare nella curva del fiume di cui mi ha fatto dono Francesco.Grazie, mi piacerebbe proprio essere poliglotta come tu mi consideri. Un tempo, quando ero piccola, avevo trovato il modo per dialogare con le formiche:facevamo a gara, io a portare lo zucchero e loro a scrivere sui muri di casa, mio padre a ritradurre i confini.Grazie,Francesco.ferni.

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