Boris Pasternàk: La stella di Natale (traduzione di Antonio Sagredo)

La stella di Natale
 
L’inverno tormentava ogni cosa. 
Dalla steppa  il vento urlava senza requie.
Nella grotta, sul fianco della collina,
il nuovo nato  aveva freddo.
 
Il fiato del bue lo scaldava.
C’erano nella grotta 
altri animali mansueti
e sulla culla  si spandeva un mite tepore.
 
I pastori assonnati scuotevano dai mantelli
la paglia dai giacigli e i granelli del miglio,
e scrutavano dai burroni
gli spazi della mezzanotte.
 
In lontananza, sepolte dalla neve: la pianura,
le pietre tombali dei cimiteri, le staccionate,                    
le stanghe dei carri che scorgevi nella neve,
e il cielo stracolmo di stelle incombeva sul camposanto.
 
E così  vicino da non averla mai veduta
più umile, più discreta di un lucignolo
alla finestrina di un riparo
una stella luccicava sulla via di Betlemme
 
Ardeva come  un pagliaio
lontana da Dio e dal firmamento,
ardeva come i bagliori di un incendio,
i fuochi di  una masseria  e un granaio in fiamme.
 
Spiccava come un covone  incendiato
di  paglia e di fieno
vagante  per l’intero universo
turbato da quella nuova stella.
 
Da ogni parte intorno a lei si spandeva  un fulgore 
rossastro sempre più ardente e colmo di presagi, 
e tre astrologhi si presentarono
al richiamo di misteriosi  fuochi.
 
Una carovana di cammelli portava  doni a non finire.                         
Piccoli e bardati asinelli, da sembrare più piccoli
mentre scendevano dal monte.
E, in una inspiegabile visione di tempi  così imminenti,                                        
si mostravano nelle lontananze tutte le cose che poi  si compirono.
Tutto ciò che fu pensato nei secoli, tutti i sogni e i mondi,
tutto il futuro delle gallerie e dei musei,
tutti i giochi delle fate e le opere dei maghi,
e del mondo tutti gli alberi di natale, tutti i sogni dei bambini.
 
Tutte le ghirlande e il tremolio di tutte le candele accese,                                           
e le meraviglie dei variopinti sfolgorii…
-   e sempre più pungente e rabbioso il vento flagellava dalla steppa…
-   tutte le mele e i globi dorati…
 
Dietro gli ontani si scorgeva un pezzo dello stagno,                                             
lo si vedeva di là anche dal lato opposto
oltre i nidi dei corvi e le cime degli alberi.
E lungo il terrapieno si riconoscevano
 i pastori, gli asini e i cammelli.
”Inchiniamoci davanti al miracolo, andiamo, andiamo anche noi”
così parlarono allacciandosi i mantelli.

Camminando nella neve si scaldavano.
Le  impronte di nudi piedi era una lunga traccia di lamine lucenti, 
una guida alla capanna attraverso la pianura scintillante.
E contro quelle impronte, come presso la fiamma di un moccolo,
i cani latravano ai raggi della stella.
 
Sembrava una fiaba la notte gelata: 
per tutto il cammino se ne veniva giù dai monti
innevati qualcuno che era, fra loro, invisibile.
I cani erano inquieti e guardinghi ,
e timorosi s’accucciavano ai piedi dei pastori.
 Procedevano uniti alle genti per quella strada 
degli angeli, per quelle contrade già conosciute.
Erano invisibili, come incorporei, trasparenti, 
ma l’impronta del loro piede restava sulla via.
 
La gente si radunava sulla rupe. L’alba era vicina.
E già i rami dei cedri erano visibili.
Maria chiese a quelli chi fossero.
Risposero che erano pastori inviati dal cielo
e che erano lì per cantare a loro due le lodi.
Lei disse che eran troppi e di aspettare sulla soglia.
 
C’era una bruma cinerina fin dal primo mattino,
e qui mulattieri e allevatori battevano i piedi.
Chi camminava urlava contro quelli a cavallo;
e vicino al tronco cavo colmo d’acqua
i cammelli mugolavano e gli asini scalciavano.
 
I primi albori ripulivano il cielo 
delle ultime stelle, come granelli di cenere.
Tanta era la gente  che Maria fece entrare
soltanto i Magi  traverso la soglia di pietra.
 
Luminoso il bambino dormiva in una culla di quercia,
pareva un raggio lunare entro un cavo tronco.
Non era avvolto dalla calda lana di  pecora,
lo era dal respiro di un asino e dalle narici di un bue.
 
I Magi nell’ombra, al buio della capanna
balbettavano, erano ammutoliti.
Ma qualcuno in quel buio prese 
con le dita uno dei tre Magi e lo spostò 
a sinistra verso la mangiatoia;
quello si voltò indietro: e sulla soglia , come in visita 
alla Vergine, mirava la stella di Natale.
 


Boris Pasternàk
(da  poesie del Dottor Živago) 
(trad. Antonio Sagredo - 2020)


3 risposte a "Boris Pasternàk: La stella di Natale (traduzione di Antonio Sagredo)"

  1. Grazie ad Antonio Sagredo per La stella di Natale, traduzione di una delle poesie che Pasternàk pubblicò come ultimo capitolo de Il dottor Živago. Buon Natale!

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  2. Grazie, Abele! Ricambio di cuore gli auguri a te e al tuo bellissimo blog che propone sempre post di alto livello culturale.
    Buon lavoro e buon proseguimento,
    Rosaria

    "Mi piace"

  3. Ecellente traduzione Davvero qui il poeta Pasternàk è sentito come più non può essere. Ho dimistichezza col mondo pasternakiano, cominciai a interessamene dall’inizio degli anni ’70, e ho letto quasi tutto è stato tradotto in italiano e i migliori traduttori del poeta so riconoscerli.
    Grazie a Abele Longo di questo dono natalizio.
    G. R.

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